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Ladri di biciclette - Wikipedia

Ladri di biciclette

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« Rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca »
Ladri di biciclette

Il piccolo Bruno in una scena del film.
Titolo originale: Ladri di biciclette
Lingua originale: {{{linguaoriginale}}}
Paese: Italia
Anno: 1948
Durata: 93'
Colore: B/N
Audio: sonoro
Rapporto: {{{ratio}}}
Genere: drammatico
Regia: Vittorio De Sica
Soggetto: Luigi Bartolini & Cesare Zavattini
Sceneggiatura: Cesare Zavattini , Vittorio De Sica , Suso Cecchi d'Amico , Oreste Biancoli , Adolfo Franci , Gerardo Guerrieri
Produttore: {{{nomeproduttore}}}
Produttore esecutivo: {{{produttoreesecutivo}}}
Casa di produzione: {{{casaproduzione}}}
Distribuzione (Italia): {{{distribuzioneitalia}}}
Storyboard: {{{nomestoryboard}}}
Art director: {{{nomeartdirector}}}
Character design: {{{nomecharacterdesign}}}
Mecha design: {{{nomemechadesign}}}
Animatori: {{{nomeanimatore}}}
  • Lamberto Maggiorani Antonio Ricci
  • Enzo Staiola Bruno
  • Lianella Carell Maria
  • Gino Saltamerenda Baiocco
  • Vittorio Antonucci Ladro
  • Giulio Chiari Mendicante
  • Elena Altieri Signora benefattrice
  • Carlo Jachino un mendicante
  • Michele Sakara Segretario
  • Emma Druetti
  • Fausto Guerzoni Attore amatoriale
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Episodi:
Fotografia: Carlo Montuori
Montaggio: Eraldo da Roma
Effetti speciali:  
Musiche: Alessandro Cicognini
Tema musicale: {{{temamusicale}}}
Scenografia: Antonio Traverso
Costumi: {{{nomecostumista}}}
Trucco: {{{nometruccatore}}}
Sfondi: {{{nomesfondo}}}
Sequel: {{{nomesequel}}}
Si invita a seguire le linee guida del Progetto Film

Ladri di biciclette è un film italiano del 1948 di Vittorio De Sica (regia, produzione e sceneggiatura) è considerato un capolavoro del neorealismo cinematografico italiano.

Il film è basato sul romanzo (1945) di Luigi Bartolini adattato al grande schermo da Cesare Zavattini.

Il film si avvale della partecipazione di attori non professionisti.

Indice

[modifica] Trama

Roma, secondo dopoguerra: Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), un disoccupato, trova lavoro come attacchino comunale. Per lavorare, però, deve possedere una bicicletta e la sua è impegnata al Monte di pietà, per cui la moglie, Maria deve impegnare le lenzuola per riscattarla. Sfortunatamente, proprio il primo giorno di lavoro, la bicicletta gli viene rubata mentre incolla un manifesto cinematografico. Antonio rincorre il ladro, ma inutilmente. Andato a denunciare il furto alla polizia, comprende che le forze dell'ordine non potranno aiutarlo nel ritrovare la bicicletta. Tornato a casa disperato e amareggiato, coinvolge nella ricerca un suo compagno di partito che mobiliterà i suoi colleghi netturbini che all'alba, insieme a lui e a Bruno, [1] che pure così piccolo lavora da un distributore di benzina, andranno a cercarla a Piazza Vittorio prima e a Porta Portese[2]poi, dove tradizionalmente allora, e dicono anche oggi, andavano a finire le cose rubate.

Ma non c'è niente da fare, la bicicletta ormai smembrata nelle sue parti non si trova. Per la disperazione Antonio si rivolgerà persino ad una "santona", una sorta di veggente, che accoglie nella sua casa una varia umanità afflitta e disgraziata. Il responso sibillino della santona è quasi una presa giro: «O la trovi subito o non la trovi più».

A Porta Portese un vecchio barbone viene visto da Antonio insieme al ladro, che subito si dilegua. Anche il vecchio vuole sfuggire a Maggiorani che lo segue sino ad una mensa dei poveri dove dame di carità della pia borghesia romana distribuiscono minestra e funzioni religiose agli affamati. Antonio costringe il barbone a farsi dare il recapito del ladro ma è solo per caso che s'imbatte in lui in un rione malfamato dove tutta la delinquenza locale sostiene il ladro minacciando la vittima del furto. Neppure il "buon carabiniere" - figura tipica e popolare dell'uomo giusto ma benevolo - chiamato, vista la malaparata per il padre, da Bruno può fare nulla, in mancanza di testimoni, per arrestare il ladro.

Stravolti dalla stanchezza Antonio e Bruno aspettano l'autobus per tornare a casa quando il padre vede una bicicletta incustodita che tenterà di rubare ma sarà subito fermato e aggredito dalla folla. Solo il pianto disperato di Bruno, che muove a pietà i presenti, gli eviterà il carcere.

Il film si chiude sul mesto ritorno, mentre si sta facendo notte a Roma, di Bruno che stringe la mano del padre per consolarlo.

[modifica] La storia del film

Dopo l'insuccesso commerciale di Sciuscià presso un pubblico abituato ai film dei "telefoni bianchi" degli anni del ventennio fascista o ai "filmoni" che venivano da Hollywood, De Sica volle a tutti i costi realizzare questo secondo film al punto da investire i propri denari nella sua produzione. Del romanzo originale come delle sceneggiature, oltre sei più quella dello stesso De Sica, nel film non è rimasto nulla. Il racconto alla fine sistemato da Cesare Zavattini mostra però la traccia di queste numerose sceneggiature nella serie di quadri che accompagnano la vicenda del protagonista. Sono dei bozzetti che vogliono "realisticamente" mostrare al pubblico la vita italiana dell'immediato dopoguerra. «Un ritorno alla realtà», così avevano detto i critici in occasione della proiezione di "Sciuscià"; una realtà a cui voleva tornare lo stesso De Sica dopo le sue esperienze di attor giovane canterino nei film di Mario Mattoli e Mario Camerini degli anni trenta.

Aveva detto De Sica : «La letteratura ha scoperto da tempo questa dimensione moderna che puntualizza le minime cose, gli stati d'animo considerati troppo comuni. Il cinema ha nella macchina da presa il mezzo più adatto per captarla. La sua sensibilità è di questa natura, e io stesso intendo così il tanto dibattuto realismo» (cfr. “La Fiera letteraria”, 6 febbraio 1948)".

Fu per questo, che il regista nonostante le grande difficoltà a reperire fondi per la realizzazione del film, rifiutò i sostanziosi aiuti dei produttori americani che però avrebbero voluto al posto di Maggiorani addirittura Cary Grant.

Il pubblico del cinema Metropolitan di Roma non accolse bene il film, anzi rivoleva indietro i soldi del biglietto. Tutt'altra accoglienza alla proiezione del film a Parigi con la presenza di tremila personaggi della cultura internazionale. Entusiasta e commosso, René Clair abbracciò al termine del film De Sica dando il via a quel successo mondiale che ebbe in seguito il film e con i cui proventi il regista riuscì finalmente a pagare i debiti fatti con "Sciuscià".

[modifica] Critica

Il film girato nell'ormai lontano 1948 può essere preso come un termine di riferimento storico per un confronto della realtà sociale della Roma dell' immediato dopoguerra, con quella di oggi, per capirne i difetti e apprezzarla, se possibile, negli aspetti moderni.

Si è scritto unanimemente della grande interpretazione dei due protagonisti - a cui certo contribuì in modo determinante la guida della regia di De Sica - "presi dalla strada" ,come allora si diceva.

Ma in realtà c'è una terza protagonista nel film che è la città di Roma con i suoi abitanti.[3] È una Roma che, rappresentata nel bianco e nero della pellicola ,appare nella sua grandezza non deturpata e resa piccola dall'informe ammasso di veicoli e di varia umanità che oggi la caratterizza. Le sue strade appaiono semivuote, larghe, caratterizzate da una monumentalità oggi scomparsa: le sue vie e le piazze del centro sono libere da quello strato informe di lamiere che nascondono la sua grande architettura. Anche i rioni del centro, quelli allora ancora proletari, appaiono belli nella loro struttura, povera e malandata ma che richiama l'aspetto, quasi medioevale, di quelli che erano nelle età passate, i quartieri della città. Persino l'estrema periferia dei palazzoni popolari, ancora più campagna che città, conserva una forma architettonica genuina, contadina che si riflette nelle fattezze e nei modi dei suoi abitanti.(cfr. "Il Cinema, Grande storia Illustrata" op.cit.)

L'estrema povertà del dopoguerra è quasi riscattata da questa originaria autenticità di una città "pulita" nella sua architettura e nella spontanea moralità dei suoi suoi cittadini. L'umanità romana presentata nel film è fatta di gente che, nei suoi vari strati popolari , dai compagni di partito di Maggiorani, ai netturbini, agli stessi malavitosi di quartiere, ai postulanti della santona, alle dame di carità, al "buon carabiniere", si caratterizza per uno spirito di partecipazione solidale con gli altri, non è chiusa nella sua indifferenza, è aperta e genuina come le strade e i palazzi della Roma di "Ladri di biciclette". È ancora un'umanità che, come appare nelle scene corali del film, condivide le sue necessità e miserie.[4]

È un film che va visto oggi per capire le nostre differenze con il passato.

Un'altra protagonista del film è la bicicletta, divenuta da mezzo popolare di trasporto , un elemento vitale di sopravvivenza per il protagonista del film. Le biciclette attraversano tutta la storia del film, appaiono e scompaiono - o isolate o in mucchi, o integre o fatte a pezzi - come un incubo agli occhi del piccolo Bruno e di suo padre. La bicicletta rappresenta la tentazione che spinge Antonio a rubare, l'esca con cui l'omosessuale di Piazza Vittorio attira il piccolo Bruno, la perdita del lavoro e la disperazione finale di una povera famiglia che aveva riposto in quell'umile oggetto tutte le sue speranze di sopravvivenza.[5]

[modifica] Manifesti e locandine

Per l'Italia, la realizzazione dei manifesti e delle locandine, fu affidata al pittore cartellonista Ercole Brini, che dipinse i bozzetti ad acquarello e tempera, in uno stile che potremmo definire "neorealista" molto adatti allo spirito del film.

[modifica] Note

  1. ^ Bruno era interpretato dal piccolo Enzo Staiola che De Sica trovò nel quartiere popolare romano della Garbatella. Staiola girerà poi circa 80 film con grandi interpreti come Anna Magnani ed Ava Gardner, ma, con il suo naso a patata, con la sua giacchetta sdrucita e più grande di lui, con la sua sciarpetta delle dimensioni di una esigua striscia di stoffa, rimane indimenticabile nella storia del cinema solo per "Ladri di biciclette". È come un controcanto, un'ombra che, sempre all'inseguimento frenetico del padre, quasi dimentico di lui nella sua disperazione, lo accompagna con le sue gambette, per tutto il racconto del film. Bruno è un bambino nei suoi tratti e nelle sue movenze ma non lo è più poiché già condivide il malessere degli adulti.
  2. ^ Antonio e Bruno a Porta Portese vengono sorpresi da un temporale da cui si riparano sotto un cornicione dove arriva un gruppo di seminaristi stranieri, anche loro zuppi d'acqua, che parlano ad alta voce nella loro lingua sotto lo sguardo stupefatto dei due protagonisti meravigliati di quel linguaggio incomprensibile. Tra questi c'è un pretino che non è altri che Sergio Leone, il grande regista degli "spaghetti western".
  3. ^ «Tutta la vita di Roma passa in questo film chiuso nel rigido giro d’un sabato e d’una domenica; tutta la vita della Roma periferica, dai quartieri più miseri a quelli borghesi di Piazza Vittorio: i mercatini di Porta Portese, la Messa del Povero, il Banco dei Pegni, i commissariati, le rive del Tevere, lo Stadio, persino le case più equivoche...(Da Il Tempo, 22 Novembre 1948)
  4. ^ «È questo mondo De Sica ha voluto offrire di nuovo alla nostra meditazione e alla nostra emozione; un mondo che non è più quello sconvolto e tragico di Sciuscià, ma che, come quello, è altrettanto disperato ed autentico, altrettanto perentorio nell’esortarci a una solidarietà cui solo l’anima italiana di De Sica poteva dare intenzioni così profondamente italiane.» (Da Il Tempo, 22 Novembre 1948)
  5. ^ «La bicicletta di Antonio è rubata insieme con i suoi sogni di una vita migliore...La perdita della bicicletta era una tragedia enorme per Antonio e la sua famiglia, come era analogo per la perdita o la mancanza di qualsiasi elemento essenziale di vita che previene la povertà e la sofferenza.» Da

[modifica] Bibliografia

  • Il Cinema, Grande storia Illustrata, Volume terzo di De Agostini Novara, 1981
  • Franco Pecori, "Vittorio De Sica", Il Castoro Cinema, 1980

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamento esterno


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