See also ebooksgratis.com: no banners, no cookies, totally FREE.

CLASSICISTRANIERI HOME PAGE - YOUTUBE CHANNEL
Privacy Policy Cookie Policy Terms and Conditions
IRI - Wikipedia

IRI

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Questa voce è di parte

Questa voce di politica è ritenuta non neutrale: per contribuire, partecipa alla discussione.
Motivo: La voce tratta l'argomento fornendo un giudizio, evidentemente negativo, e dando risalto solamente all'aspetto deteriore delle partecipazioni statali nell'economia in Italia. Vedi anche: Progetto politica Portale politica Segnalazione di Edowikip (msg)Edowikip (msg)

bussola Nota disambigua – Se stai cercando altre voci che possono riferirsi alla stessa sequenza di 3 caratteri, vedi IRI (disambigua).
Istituto per la Ricostruzione Industriale-IRI
Logo
[[Immagine:{{{foto}}}|200x200px]]
Tipologia azienda pubblica
Borse valori
Fondazione 1933 a Roma

Fondata da

Governo italiano

Chiusa

{{{data_chiusura}}}

Sede principale

Roma, bandiera Italia

Gruppo {{{gruppo}}}
Filiali

Persone chiave

Settore

Prodotti

Fatturato

Margine d'intermed.

Risultato operativo

Utile netto

Dipendenti
Slogan '
Note {{{note}}}
Sito web www.iri.it

{{{dettagli}}}

Progetto Economia
« Il vero italiano vede con occhiali Salmoiraghi (Iri), si serve di elettricità della Finelettrica (Iri), ascolta programmi della Rai con dischi Cetra e pubblicità Sipra, (...) telefona con l’Iri,(...), affida i risparmi alle banche dell’Iri, legge giornali sostenuti dalla pubblicità Iri.... »
(S. Ricossa, Come si manda in rovina un paese, Rizzoli, 1996)
« ...il Mostro, simbolo dell'assistenzialismo, della rigidità, dello spreco del pubblico denaro e di tutti i misfatti possibili... »
( da un documento anonimo intitolato IRI: il testamento del mostro, citato da M.Pini, I giorni dell'IRI, Arnoldo Mondadori, 2004)

L'IRI, acronimo di Istituto per la Ricostruzione Industriale, è stato un ente pubblico del Governo italiano nato nel 1933 per volere dell'allora governo Mussolini per evitare il fallimento delle principali banche italiane (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma) e con esse il crollo dell'economia, già provata dalla crisi economica mondiale iniziata nel 1929.

Nel dopoguerra allargò progressivamente i suoi settori di intervento; nel 1980 l'IRI era un gruppo di circa 1.000 società con più di 500.000 dipendenti. Per molti anni l'IRI fu la più grande azienda industriale al di fuori degli Stati Uniti d'America; ancora nel 1993 l'IRI si trovava al settimo posto nella classifica delle maggiori società del mondo per fatturato.[1] Trasformato in società per azioni nel 1992, cessò di esistere nel 2002.

Indice

[modifica] Le origini

Nasce come un ente temporaneo con lo scopo prettamente di salvataggio delle banche e delle aziende a loro connesse. Il nuovo ente è formato da una "Sezione finanziamenti" e una "Sezione smobilizzi". Nel 1930 la crisi di liquidità del Credito Italiano porta alla fusione con la Banca nazionale di credito. Il Credito Italiano assume le attività e le passività a breve scadenza della Banca nazionale del credito (BNC), cedendole gran parte degli investimenti a lunga scadenza. In un secondo momento la BNC cede le sue partecipazioni in società industriali alla Società finanziaria italiana (Sfi), mentre le partecipazioni immobiliari e le partecipazioni in aziende di pubblica utilità vengono trasferite alla Società elettrofinanziaria. Sfi e Società elettrofinanziaria vengono messe in liquidazione nel 1934 dopo essere passate sotto il controllo dell'IRI.

Nel 1931 l'intervento pubblico riguarda la Banca Commerciale Italiana, che di fronte alla crisi del 1929 aveva aumentato la propria esposizione verso il sistema industriale. Il crollo delle quotazioni richiede l'intervento statale che consiste nella cessione dalla Comit alla Sofindit (Società finanziaria industriale italiana) la totalità delle azioni possedute.

Nel pieno della crisi la Banca d'Italia si trova esposta verso l'Istituto di liquidazioni, un ente pubblico creato nel 1926 per sostenere finanziariamente le imprese in crisi, e verso le banche, per oltre 7 miliardi, ovvero oltre il 50% del circolante.

Dunque lo stato assorbe le partecipazioni delle banche in crisi, finanziandole affinché non falliscano. Le partecipazioni vengono poi trasferite all'IRI, la cui principale preoccupazione divenne rimborsare alla Banca d'Italia il capitale ricevuto.

In questo modo l'IRI, e quindi lo Stato, smobilizza le banche miste e diventa proprietario di oltre il 20% dell'intero capitale azionario nazionale e di fatto il maggiore imprenditore italiano, con aziende come Ansaldo, Ilva, Cantieri Riuniti dell'Adriatico, SIP, SME, Terni, Edison. Si trattava in effetti di aziende che già da molti anni erano vicine al settore pubblico, sostenute da politiche tariffarie favorevoli e da commesse belliche. Inoltre l'IRI possedeva le tre maggiori banche italiane.

[modifica] Il dopoguerra

Nel dopoguerra la sopravvivenza dell'Istituto non era data per certa, essendo nato più come una soluzione provvisoria che con un orizzonte di lungo termine; di fatto però risultava difficile per lo stato cedere ai privati aziende che richiedevano grandi investimenti e davano ritorni sul lunghissimo periodo. Così l'IRI mantenne la struttura che aveva sotto il fascismo.

Solo dopo il 1950 la funzione dell'IRI fu meglio definita; una nuova spinta propulsiva per l'IRI venne da Oscar Sinigaglia, che con il suo piano per aumentare la capacità produttiva della siderurgia italiana strinse un'alleanza con gli industriali privati; si venne così a creare un nuovo ruolo per l'IRI, cioè quello di sviluppare la grande industria di base e le infrastrutture necessarie al paese, non in "supplenza" dei privati ma in una tacita suddivisione dei compiti. Ne furono esempi lo sviluppo dell'industria siderurgica, quello della rete telefonica e la costruzione dell' Autostrada del Sole, iniziata nel 1956.

[modifica] IRI ente permanente

Inizialmente era previsto che l'IRI fosse un ente provvisorio il cui scopo era limitato alla dismissione delle attività così acquisite; ciò in effetti avvenne con la Edison, che fu ceduta ai privati, ma nel 1937 il governo trasformò l'IRI in un ente pubblico permanente; in questo probabilmente influirono lo scopo di mettere in atto la politica autarchica lanciata dal governo e di tenere sotto controllo del governo le aziende navali ed aeronautiche, mentre era in corso la guerra d'Etiopia.

Per finanziare le sue aziende l'IRI emise negli anni Trenta dei prestiti obbligazionari garantiti dallo stato, risolvendo in questo modo il problema della scarsità di capitali privati. L'IRI si diede una struttura che raggruppava le sue partecipazioni per aree merceologiche: l'Istituto sottoscriveva il capitale di società finanziarie (le "caposettore") che a loro volta possedevano il capitale delle società operative; così nel 1936 nacque la Finmare, nel 1937 la Finsider e la STET, poi nel dopoguerra Finmeccanica, Fincantieri e Finelettrica.

[modifica] "La formula IRI"

Negli anni '60, mentre l'economia italiana cresceva ad alti ritmi, l'IRI era tra i protagonisti del "miracolo" italiano. Altri paesi europei, in particolare i governi laburisti inglesi, guardavano alla "formula IRI" come ad un esempio positivo di intervento dello stato dell'economia, migliore della semplice "nazionalizzazione" perché permetteva una cooperazione tra capitale pubblico e capitale privato.

In molte aziende del gruppo il capitale era misto, in parte pubblico, in parte privato. Molte aziende del gruppo IRI rimasero quotate in borsa e le obbligazioni emesse dall'Istituto per finanziare le proprie imprese erano sottoscritte in massa dai risparmiatori.

[modifica] La teoria degli "oneri impropri"

Ai vertici dell'IRI si insediarono esponenti della DC, come Giuseppe Petrilli, presidente dell'Istituto per quasi vent'anni (dal 1960 al 1979). Petrilli nei suoi scritti elaborò una teoria che sottolineava gli effetti positivi della "formula IRI". Attraverso l'IRI le imprese erano utilizzabili per finalità sociali, e lo stato doveva farsi carico dei costi e delle diseconomie generati dagli investimenti; significava che l'IRI non doveva necessariamente seguire criteri imprenditoriali nella sua attività, ma investire secondo quelli che erano gli interessi della collettività anche quando ciò avrebbe generato "oneri impropri", cioè anche in investimenti antieconomici.

Poiché gli obiettivi dello stato erano sviluppare l'economia del Mezzogiorno e mantenere la piena occupazione, l'IRI doveve concentrare i propri investimenti nel Sud ed incrementare l'occupazione nelle proprie aziende. La posizione di Petrilli rifletteva quelle già diffuse in alcune correnti della DC, che cercavano una "terza via" tra il liberismo ed il comunismo; il sistema misto delle imprese a partecipazione statale dell'IRI sembrava realizzare questo ibrido tra due sistemi agli antipodi.

[modifica] Gli investimenti ed i salvataggi

E l'IRI effettivamente faceva grandissimi investimenti nel Sud Italia, come la costruzione dell'Italsider di Taranto e quella dell'AlfaSud di Pomigliano d'Arco; altri furono programmati senza essere mai essere realizzati, come il centro siderurgico di Gioia Tauro e un altro stabilimento Alfa Romeo in Irpinia. Per evitare gravi crisi occupazionali, l'IRI venne spesso chiamato in soccorso di aziende private in difficoltà: ne sono esempi i "salvataggi" della Motta e dei Cantieri Navali Rinaldo Piaggio e l'acquisizione di aziende alimentari dalla Montedison; questo portò ad un incremento progressivo di attività e dipendenti dell'Istituto.

Gruppo IRI – andamento numero dipendenti[2]

Anno Dipendenti
1938 201.577
1950 218.529
1960 256.967
1970 357.082
1980 556.659
1985 483.714
1995 263.000

[modifica] I debiti e la crisi

All'IRI vennero richiesti ingentissimi investimenti anche in periodi di crisi, quando i privati riducevano i loro investimenti. Lo Stato erogava i cosiddetti "fondi di dotazione" all'IRI, che poi li allocava alle sue caposettore sotto forma di capitale; tali fondi però non erano mai sufficienti per finanziare gli enormi investimenti e spesso venivano erogati con ritardo. L'Istituto e le sue aziende dovevano quindi finanziarsi con l'indebitamento bancario, che negli anni Settanta crebbe a livelli vertiginosi: gli investimenti del gruppo IRI erano coperti da mezzi propri solo per il 14%; il caso più esteremo era la Finsider dove questo rapporto scendeva al 4%.[3] Le banche mantennero aperte le linee di credito perché ritenevano che il rischio di insolvenza delle aziende pubbliche fosse minimo.

Gli oneri finanziari portarono in rosso i conti dell'IRI e delle sue controllate: nel 1976 si verificò che tutte le aziende del settore pubblico chiusero in perdita[4]. In particolare, la siderurgia e la cantierisitica riportarono perdite fino agli anni '80, così come erano pessimi i risultati economici dell'Alfa Romeo. La gestione anti-economica delle aziende IRI portò gli azionisti privati ad uscire progressivamente dal loro capitale. Il settimanale inglese Economist nell'inserto sull'Italia del 23 maggio 1981 intitolò "Fogne aperte" il paragrafo sulle aziende pubbliche italiane. All'inizio degli anni '80 i governi iniziarono un ripensamento sulla funzione e sulla gestione delle aziende pubbliche.

[modifica] L'epoca Prodi

Nel 1982 il governo affidò la presidenza dell'IRI a Romano Prodi. La nomina di un economista alla guida dell'IRI costituiva in effetti un segno di discontinuità rispetto al passato. La ristrutturazione dell'IRI durante la presidenza Prodi portò a:

  • la cessione di 29 aziende del gruppo, tra le quali la più grande fu l'Alfa Romeo, privatizzata nel 1986;
  • la diminuzione dei dipendenti, grazie alle cessioni ed a numerosi prepensionamenti, soprattutto nella siderurgia e nei cantieri navali;
  • la liquidazione di Finsider, Italsider ed Italstat;
  • lo scambio di alcune aziende tra STET e Finmeccanica;
  • la tentata vendita della SME al gruppo CIR di Carlo De Benedetti, che venne fortemente ostacolata dal governo di Bettino Craxi. Fu organizzata una cordata di imprese, comprendente anche Silvio Berlusconi che avanzarono un'offerta alternativa per bloccare la vendita. L'offerta non venne poi onorata per carenze finanziarie, ma intanto la vendita della SME sfumò. Prodi fu accusato di aver stabilito un prezzo troppo basso (vedi vicenda SME).

Il risultato fu che nel 1987, per la prima volta da più di un decennio, l'IRI riportò il bilancio in utile, e di questo Prodi fece sempre un vanto, anche se a proposito di ciò Enrico Cuccia affermò:

«  (Prodi) nel 1988 ha solo imputato a riserve le perdite sulla siderurgia, perdendo come negli anni precedenti. »
( S.Bocconi, I ricordi di Cuccia. E quella sfiducia sugli italiani, Corriere della Sera, 12 novembre 2007)

È comunque indubbio che in quegli anni l'IRI aveva per lo meno cessato di crescere e di allargare il proprio campo di attività, come invece aveva fatto nel decennio precedente, e per la prima volta i governi cominciarono a parlare di "privatizzazioni".

[modifica] L'accordo Andreatta-Van Miert

Per le sorti dell'IRI fu decisiva l'accelerazione del processo di unificazione europea, che prevedeva l'unione doganale nel 1992 ed il successivo passaggio alla moneta unica sotto i vincoli del Trattato di Maastricht. Per garantire il principio della libera concorrenza, la Commissione Europea negli anni Ottanta aveva incominciato a contestare alcune pratiche messe in atto dai governi italiani, come la garanzia dello stato sui debiti delle aziende siderurgiche e la pratica di affidare i lavori pubblici all'interno del gruppo IRI senza indire gara d'appalto europea.

Le ricapitalizzazioni delle aziende pubbliche e la garanzia dello Stato sui loro debiti furono da allora considerati "aiuti di stato" ed in contrasto con i principi su cui si basava la Comunità Europea; l'Italia si trovò quindi nella necessità di riformare secondo criteri di gestione più vicini alle aziende private il suo settore pubblico incentrato su IRI, ENI ed EFIM. Nel luglio 1992 l'IRI e gli altri enti pubblici furono convertiti in Società per azioni. Nel luglio dell'anno successivo il commissario europeo alla Concorrenza Karel Van Miert contestò all'Italia la concessione di fondi pubblici all'EFIM, che non era più in grado di ripagare i propri debiti.

Per evitare una grave crisi d'insolvenza, Van Miert concluse con l'allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta un accordo che consentiva allo Stato italiano di pagare i debiti dell'EFIM, ma a condizione dell'impegno incondizionato a stabilizzare i debiti di IRI, ENI ed ENEL e poi a ridurlo progressivamente ad un livello comparabile con quello delle aziende private entro il 1996. Per ridurre in modo così sostanzioso i debiti degli ex-enti pubblici l'Italia non poteva che privatizzare gran parte delle aziende partecipate dall'IRI.

[modifica] Riassunto delle partecipazioni IRI prima della liquidazione

[modifica] Banche

[modifica] Industria

[modifica] Altro

[modifica] Le privatizzazioni

L'accordo Andreatta-Van Miert impresse una forte accelerazione alle privatizzazioni, iniziate già nel 1992 con la vendita del Credito Italiano. Nonostante alcuni pareri contrari, il ministero del Tesoro scelse di non privatizzare l'IRI SpA, ma di smembrarlo e di vendere le sue aziende operative; tale linea politica fu inaugurata sotto il primo governo di Giuliano Amato e non fu mai messa realmente in discussione dai governi successivi. Raggiunti nel 1997 i livelli di indebitamento fissati dall'accordo Andreatta-Van Miert, le dismissioni dell'IRI proseguirono comunque e l'Istituto aveva perso qualsiasi funzione se non quella di vendere le sue attività e di avviarsi verso la liquidazione.

Tra il 1992 ed il 2000 l'IRI vendette partecipazioni e rami d'azienda che determinarono un incasso per il ministero del Tesoro, suo unico azionista, di 56.051 miliardi di lire, cui vanno aggiunti i debiti trasferiti.[5] Hanno suscitato critiche le cessioni ai privati, tra le altre, di aziende in posizione pressoché monopolistica come Telecom Italia ed Autostrade, che hanno garantito agli acquirenti posizioni di rendita.

[modifica] La liquidazione

Le poche aziende (Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI) rimaste in mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del Tesoro. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno 2000 l'IRI fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato in Fintecna, scomparendo definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua controllata ha però pagato un assegno al Ministero del Tesoro di oltre 5000 miliardi di lire, naturalmente dopo aver pagato ogni suo debito.

[modifica] La governance dell’IRI

Per la maggior parte della sua storia l’IRI è stato un “ente pubblico economico”, che rispondeva formalmente al ministero delle Partecipazioni Statali, ministero che fino agli anni ’80 fu ricoperto da esponenti della DC. A capo dell’IRI vi erano un consiglio di amministrazione ed il “comitato di presidenza”, formato dal presidente e da membri nominati dai partiti di governo; se il presidente dell’IRI fu sempre espressione della DC, la vicepresidenza fu spesso ricoperta da esponenti del PRI come Bruno Visentini (per più di vent’anni) prima e Pietro Armani poi, come a controbilanciare il peso dei cattolici con quello dei grandi imprenditori privati e laici, di cui i repubblicani erano espressione. Le nomine ai vertici delle banche, delle finanziarie e delle maggiori aziende erano decise dal comitato di presidenza, ma, soprattutto durante la presidenza di Petrilli, i poteri erano concentrati nelle mani del presidente e di poche persone a lui vicine. Dopo la trasformazione dell’IRI in società per azioni nel 1992, il consiglio d’amministrazione dell’Istituto fu ridotto a tre soli membri , e l’influenza della DC e degli altri partiti, in un periodo in cui molti loro esponenti furono coinvolti nelle indagini di Tangentopoli, fu di molto ridotta. Negli anni delle privatizzazioni., la gestione dell’IRI fu maggiormente accentrata nelle mani del Ministero del Tesoro; un ruolo importante fu svolto dall’allora Direttore Generale del Ministero Mario Draghi.

[modifica] Le ”Nuove IRI”

In linguaggio giornalistico l’IRI è rimasto come paradigma della mano pubblica che raccoglie partecipazioni in aziende senza troppi criteri imprenditoriali. Così, istituzioni statali come la Cassa Depositi e Prestiti e Sviluppo Italia e locali come l’ASAM della Provincia di Milano sono state soprannominate “nuove IRI” con una certa connotazione negativa, a sottolinearne le finalità politiche e clientelari che tenderebbero, secondo i critici, a prevalere su quelle economiche.[6]

[modifica] Presidenti

[modifica] Fonti

  1. ^ Istituto per la Ricostruzione Industriale, dal sito in inglese.
  2. ^ da P. Bianchi, La rincorsa frenata-L’industria italiana dall’unità nazionale all’unificazione europea, Il Mulino, 2002
  3. ^ M.Pini, I giorni dell'IRI, Mondadori, 2004
  4. ^ V.Castronovo, Storia dell'Industria italiana, Mondadori, 2003
  5. ^ Mediobanca Ricerche e Studi,Le privatizzazioni in Italia dal 1992, 2000
  6. ^ Si veda ad esempio il titolo del seguente articolo sulla Cassa Depositi e Prestiti: F.M. Mucciarelli, Verso una nuova IRI ?, dal sito [1]

[modifica] Bibliografia essenziale

  • Vera Lutz, Italy: A Study in Economic Development, Oxford, Oxford University Press, 1962.
  • Pasquale Saraceno, Il sistema delle imprese a partecipazione statale nell'esperienza italiana, Milano, Giuffrè, 1975.
  • Bruno Amoroso - O.J. Olsen, Lo stato imprenditore, Bari, Laterza, 1978.
  • Mario Ferrari Aggradi, Origini e sviluppo dell'industria pubblica in Italia, in "Civitas", sett.-ott. 1982.
  • Nico Perrone, Il dissesto programmato. Le partecipazioni statali nel sistema di consenso democristiano, Bari, Dedalo, 1992.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni


aa - ab - af - ak - als - am - an - ang - ar - arc - as - ast - av - ay - az - ba - bar - bat_smg - bcl - be - be_x_old - bg - bh - bi - bm - bn - bo - bpy - br - bs - bug - bxr - ca - cbk_zam - cdo - ce - ceb - ch - cho - chr - chy - co - cr - crh - cs - csb - cu - cv - cy - da - de - diq - dsb - dv - dz - ee - el - eml - en - eo - es - et - eu - ext - fa - ff - fi - fiu_vro - fj - fo - fr - frp - fur - fy - ga - gan - gd - gl - glk - gn - got - gu - gv - ha - hak - haw - he - hi - hif - ho - hr - hsb - ht - hu - hy - hz - ia - id - ie - ig - ii - ik - ilo - io - is - it - iu - ja - jbo - jv - ka - kaa - kab - kg - ki - kj - kk - kl - km - kn - ko - kr - ks - ksh - ku - kv - kw - ky - la - lad - lb - lbe - lg - li - lij - lmo - ln - lo - lt - lv - map_bms - mdf - mg - mh - mi - mk - ml - mn - mo - mr - mt - mus - my - myv - mzn - na - nah - nap - nds - nds_nl - ne - new - ng - nl - nn - no - nov - nrm - nv - ny - oc - om - or - os - pa - pag - pam - pap - pdc - pi - pih - pl - pms - ps - pt - qu - quality - rm - rmy - rn - ro - roa_rup - roa_tara - ru - rw - sa - sah - sc - scn - sco - sd - se - sg - sh - si - simple - sk - sl - sm - sn - so - sr - srn - ss - st - stq - su - sv - sw - szl - ta - te - tet - tg - th - ti - tk - tl - tlh - tn - to - tpi - tr - ts - tt - tum - tw - ty - udm - ug - uk - ur - uz - ve - vec - vi - vls - vo - wa - war - wo - wuu - xal - xh - yi - yo - za - zea - zh - zh_classical - zh_min_nan - zh_yue - zu -