Il deserto dei Tartari (film)
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Il deserto dei Tartari | |
Titolo originale: | Il deserto dei Tartari |
Paese: | Italia/Francia/Iran/Germania |
Anno: | 1976 |
Durata: | 140' |
Colore: | colore |
Audio: | sonoro |
Genere: | drammatico |
Regia: | Valerio Zurlini |
Soggetto: | Dino Buzzati (romanzo) |
Sceneggiatura: | Jean Louis Bertuccelli, Andrè G. Brunelin, Dino Buzzati, Valerio Zurlini |
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Fotografia: | Luciano Tovoli |
Montaggio: | Franco Arcalli, Raimondo Crociani |
Musiche: | Ennio Morricone |
Scenografia: | Giancarlo Bartolini Salimbeni |
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Il deserto dei Tartari è un film di Valerio Zurlini tratto dal romanzo omonimo di Dino Buzzati.
Indice |
[modifica] Il film
Si tratta di una opera pregevole che restituisce abbastanza fedelmente le atmosfere mute di inesauribile attesa di uno dei più importanti capolavori della letteratura italiana del Novecento.
Una cura attenta per le ricostruzioni ambientali, la fotografia, un cast eccezionale e la colonna sonora di Ennio Morricone concorrono alla realizzazione di un film di grande livello artistico che vinse il David di Donatello per la regia nel 1977, ma che fu presto dimenticato.
La vicenda narrativa segue in maniera sostanzialmente fedele quella del Tenente Drogo buzzatiano, fanno eccezione alcune rifiniture della sceneggiatura, come ad esempio i tratti di alcuni personaggi che risultano leggermente accentuati rispetto alla vaghezza esistenziale del romanzo. Sempre in nome di una maggiore concretezza cinematografica, il regista, forse un po' arbitrariamente, colloca il deserto dei Tartari ai margini dell'Impero Austro-Ungarico, e fornisce ai protagonisti una eccessiva personalità ottocentesca.
Questi realismi sono assenti nel romanzo dello scrittore bellunese, come in quasi tutta la sua poetica, anzi, nel romanzo specifico essi sono volutamente resi ambigui e inefficaci. I vincoli introdotti da Zurlini comunque non danneggiano affatto il tema centrale del film che, come nel romanzo, risiede nella consumazione di una attesa perenne ed immobile.
L'inaccessibilità della fortezza, il suo isolamento fisico ed esistenziale sono resi molto bene e rimangono centrali per tutto lo svolgimento del film, così come l'idea della frontiera morta, del deserto, della presenza di un nemico assente e della inutilità del tempo.
L'immobilità corale del film è proprio espressa dalla vastità degli ambienti e dalla coreografia delle immagini che si alternano tra esterni assolati o crepuscolari ed interni tenebrosi e ciechi, esattamente come nel romanzo il racconto, correndo lungo le mura della fortezza Bastiani, si perde all'esterno e si rifugia poi nel chiuso del fortilizio dove le povere vicende umane, annullate dalla contemplazione della vastità, hanno luogo.
Non convince Jacques Perrin nel ruolo del protagonista. L'interpretazione dell'attore francese rimane sulla soglia del complesso personaggio buzzatiano e sostanzialmente non va oltre la raffigurazione del giovane tenente fresco di accademia militare. Forse l'interpretazione soffre il peso e il calibro degli altri artisti: un eccezionale Max Von Sydow nel ruolo del capitano Ortiz, Philippe Noiret nei panni del generale, Fernando Rey, Vittorio Gassman e per finire un gradevole Giuliano Gemma che in questo film, per merito del regista, ricopre per la prima volta nella sua carriera un ruolo drammatico.
[modifica] Trama
Il tenente Giovanni Drogo, appena nominato tenente dell'esercito Austro-ungarico, viene comandato alla Fortezza Bastiani, un inaccessibile e remoto avamposto militare, dove una nutrita guarnigione di soldati ed ufficiali ha il compito di sorvegliare la frontiera desertica che separa l'impero da una misteriosa ma minacciosa popolazione: i Tartari.
L'ufficiale si lascerà presto assimilare a quei rigidi rituali militari che animano quotidianamente la fortezza e i suoi occupanti e ne determinano comportamenti e relazioni, nella attesa di un evento eroico e glorioso, di una invasione, di una battaglia finale dalla quale ognuno potrà ricavare gloria e prestigio.
Il tenente Drogo trascorrerà alla fortezza tutta la sua vita nella attesa vana di una minaccia che si concretizzerà proprio nel momento in cui, anziano, stanco e malato, dovrà abbandonare per sempre la guarnigione mentre ingenti rinforzi e nuove truppe, inviate dalla capitale, risaliranno le mulattiere che conducono alla Bastiani per combattere i Tartari, che finalmente avranno attraversato il deserto e attaccato l'impero.
[modifica] Curiosità
- Il film è stato quasi interamente girato nella antichissima città-fortezza di Arg-e-Bam, nell'Iran sud-orientale. La città, gioiello architettonico citato anche ne Il Milione di Marco Polo, è costruita in mattoni di fango e argilla ed è stata quasi completamente distrutta dal terremoto catastrofico che colpì l'Iran nel dicembre del 2003, causando più di 40.000 vittime.
- La nota popolazione nomade dell'Asia centrale, a volte identificata con i Mongoli, in realtà non ha nulla a che vedere con il romanzo. Lo scrittore sfrutta il nome dei Tartari per evocare l'idea di una minaccia militare, di una invasione da parte di un popolo crudele, guerriero e sconosciuto. Il regista riprende in pieno questa suggestione e nel film i Tartari non compariranno mai e mai verrà data una loro rappresentazione. Invece nel romanzo c'è un episodio in cui una pattuglia della fortezza ha un repentino e breve contatto con una pattuglia di Tartari; episodio che servirà per anni ad alimentare nella guarnigione della fortezza la speranza di un futuro e reale confronto militare.
~ Filmografia di Valerio Zurlini ~ |
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