Giulio Andreotti
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Presidente del Consiglio dei Ministri |
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Giulio Andreotti | ||
Luogo di nascita | Roma | |
Data di nascita | 14 gennaio 1919 | |
Titolo di studio | Laurea in Giurisprudenza | |
Professione | Politico | |
Partito politico | Democrazia Cristiana fino al 1994, Partito Popolare Italiano (1994-2001), Democrazia Europea (2001-2002) | |
Coalizione | Democrazia Cristiana | |
Data incarico | 1972-1973, 1976 - 1979, 1989 - 1992 | |
Predecessore | Emilio Colombo, Aldo Moro, Ciriaco De Mita | |
Successore | Mariano Rumor, Francesco Cossiga, Giuliano Amato |
Parlamento Italiano Senato della Repubblica |
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Sen. Giulio Andreotti | |
Luogo nascita | Roma |
Data nascita | 14 gennaio 1919 |
Partito | Democrazia Cristiana fino al 1994, Partito Popolare Italiano (1994-2001), Democrazia Europea (2001-2002) |
Legislatura | X, XI, XII, XIII, XIV, XV, XVI |
Gruppo | Misto |
Senatore a vita | |
Nomina | Presidenziale |
Data nomina | 1° giugno 1991 |
Incarichi parlamentari | |
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Pagina istituzionale |
Parlamento Italiano Camera dei deputati |
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Partito | Democrazia Cristiana |
Legislatura | I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X |
Incarichi parlamentari | |
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Pagina istituzionale |
Parlamento Italiano Assemblea costituente |
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Titolo di studio | Laurea in Giurisprudenza |
Professione | Politico |
Partito | Democrazia Cristiana |
Collegio | XX (Roma) |
Incarichi parlamentari | |
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Pagina istituzionale |
« Il potere logora chi non ce l'ha. » | |
(Aforisma di Talleyrand, attribuito anche ad Andreotti)
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« A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende! » | |
(Giulio Andreotti)
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Giulio Andreotti (Roma, 14 gennaio 1919) è uno statista, politico, scrittore e giornalista italiano, uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana.
Giulio Andreotti è stato al centro della scena politica italiana per tutta la seconda metà del XX secolo.
Ha ricoperto più volte numerosi incarichi politici:
- sette volte Presidente del Consiglio, tra cui
- quello della "solidarietà nazionale", con l'appoggio del Partito Comunista Italiano, durante il rapimento di Aldo Moro (1978-1979)
- il governo della non-sfiducia (1976-1977), con la prima donna-ministro, Tina Anselmi, al dicastero del Lavoro
- otto volte ministro della Difesa
- cinque volte ministro degli Esteri
- due volte ministro delle Finanze, ministro del Bilancio e ministro dell'Industria
- una volta ministro del Tesoro, ministro dell'Interno e ministro delle Politiche Comunitarie.
È sempre stato presente all'Assemblea costituente e nel Parlamento italiano dal 1948, come deputato fino al 1991 e successivamente da senatore a vita.
[modifica] Biografia
[modifica] Inizio della carriera politica
Nato a Roma da genitori originari di Segni, intraprese la carriera politica nel corso degli studi universitari, durante i quali allacciò contatti, poi mostratisi durevoli, con esponenti delle formazioni cattoliche fra i quali Aldo Moro, al quale successe nell'incarico di presidente nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (1942-1944).
Fu segretario di Alcide De Gasperi. Secondo quanto si racconta, molto probabilmente un semplice aneddoto, si incontrarono durante la guerra nella Biblioteca Vaticana, in cui De Gasperi era rifugiato (grazie alla extraterritorialità). Il giovane Andreotti desiderava documentarsi sulla Marina Pontificia e chiese dei testi al riguardo; al che lo statista trentino pare gli abbia bruscamente risposto "Ma lei non ha proprio niente di meglio di cui occuparsi?".
Durante la guerra scrisse per la «Rivista del Lavoro», pubblicazione di propaganda fascista, assumendo posizioni da taluni definite compiacenti, se non proprio allineate al regime. Partecipò anche alla redazione clandestina de "Il Popolo" e nel 1944, fu eletto nel Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana. Dopo la cessazione delle ostilità, divenne responsabile dei settori giovanili del suo partito.
Nel 1946 fu eletto all'Assemblea costituente e, nel 1948, alla Camera dei deputati per la circoscrizione di Roma-Latina-Viterbo-Frosinone.
[modifica] Il pragmatismo e i rapporti con De Gasperi
Risale a questi anni l'inizio della sua collaborazione con Alcide De Gasperi; del loro rapporto, intenso e stretto nonostante le profonde differenze caratteriali e metodologiche: a tale proposito Indro Montanelli disse che "quando andavano in chiesa insieme, De Gasperi parlava con Dio, Andreotti col prete"[1]. Il "motteggio" rende al meglio la peculiare inclinazione di Andreotti al pragmatismo, alla visione più marcatamente concreta della politica per la quale gli obiettivi si perseguono usando i mezzi che consentono di farli ottenere.
Altrettanto noto è l'aneddoto raccontato dall'interessato proprio per descrivere le ragioni di tale inclinazione, che sarebbero la necessità di rapportarsi con un elettorato semplice come quello ciociaro: dovendo tenere un comizio elettorale in un paesino del suo collegio noto per i suoi carciofi, Andreotti esordì chiedendo se gli astanti preferissero parlare di civiltà cristiana o piuttosto di carciofi. Quasi ovviamente, di questi ultimi soltanto si parlò, ed Andreotti fu eletto con amplissimo successo; naturalmente, nel narrare questo aneddoto Andreotti volutamente sottovaluta l'influenza che ebbe, nel suo successo elettorale, l'appoggio del vecchio ceto agrario e del "partito d'ordine" post-fascista, che sarebbe simboleggiato dalla pubblica apparizione che in un suo comizio a Ceccano in quegli anni fece il maresciallo Graziani.
Non è facile, effettivamente, immaginare De Gasperi in simili concioni; purtuttavia il sodalizio fu lungo, profondo e duraturo. Esso proiettò Andreotti al centro della fase costitutiva della democrazia del dopoguerra, tanto che portano la sua firma alcuni degli atti simbolicamente fondanti la stessa vita repubblicana: la scelta, con circolare della Presidenza del consiglio, dell'inno di Mameli come inno nazionale; la revisione dell'ordine delle precedenze, introducendovi le autorità repubblicane e parlamentari ma mantenendo ai cardinali di Santa romana chiesa la massima posizione dopo il Capo dello Stato[citazione necessaria].
[modifica] I primi incarichi di governo: gli anni Cinquanta e Sessanta
Fu nel 1947 che Andreotti esordì come uomo di governo, diventando sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel quarto governo De Gasperi carica mantenuta fino al 1954. A questa si sarebbero succeduti altri innumerevoli incarichi, tanto che Andreotti fu presente in quasi tutti i governi della Prima Repubblica.
Nell'agosto 1958 fu coinvolto nello "scandalo Giuffrè" per la mancata vigilanza quando era Ministro delle Finanze, ma fu scagionato dalla Camera nel dicembre dello stesso anno. Venne invece censurato dalla Commissione d'inchiesta parlamentare del 1961-1962 su alcune irregolarità nei lavori dell'aeroporto di Fiumicino.
Fu Ministro della Difesa, nei primi anni Sessanta quando esplose lo scandalo dei fascicoli SIFAR e del Piano Solo, un presunto progetto di un golpe neofascista, promosso secondo il settimanale L'Espresso dal generale missino De Lorenzo.
L'incarico ministeriale rivestito da Andreotti fu onerato, da una successiva legge, della responsabilità della distruzione dei fascicoli, con cui il Sifar aveva schedato importanti politici italiani, di cui aveva composto dei ritratti poco favorevoli; alcuni, però, sostengono che Andreotti non abbia proceduto alla distruzione dei fascicoli, ma li abbia conservati nel suo celebre e misterioso archivio cartaceo che, negli ultimi anni della sua carriera parlamentare, aveva sede nel suo ufficio di piazza in Lucina. Quasi a rimarcare la differente cifra della sua condotta, Francesco Cossiga, che nella veste di sottosegretario alla Difesa procedette parallelamente all'espunzione con omissis del rapporto della commissione ministeriale di inchiesta del generale Manes sul piano Solo, ha sempre pubblicamente vantato il suo intervento censorio, dichiarando di averlo svolto nella piena legalità.
[modifica] I primi anni Settanta: Andreotti Presidente del Consiglio
Nel 1972, Giulio Andreotti diventa per la prima volta, Presidente del Consiglio, incarico che reggerà, alla guida di due esecutivi di centro-destra, fino al 1973. Continua a ricoprire incarichi di primo piano, nei successivi esecutivi.
Nel ruolo di ministro della difesa, rilascia una famosa intervista a Massimo Caprara con cui rivela le coperture istituzionali dell'indagato per la strage di piazza Fontana, Guido Giannettini (Andreotti sarà prosciolto, nel 1982, dall'accusa di favoreggiamento nei confronti di Giannettini). Inaugura così un metodo di estrema spregiudicatezza, con cui i democristiani nati di destra affrontano e sfruttano l'ondata di sinistra della società italiana degli anni Settanta, per guadagnare meriti che li accreditino come la componente più "aperturista" del cosiddetto Palazzo.
Nel ruolo di Ministro degli Esteri esalta le sue abilità di mediatore, già emerse nella capacità di mediare fra le varie correnti della DC. Infatti egli si impegnò a comporre, nel segno della mediazione, importanti relazioni orientate verso la distensione. Sempre coerente con la scelta atlantica, fatta dal suo maestro, Alcide De Gasperi, nella divisione di schieramenti della guerra fredda, coltivò proficui rapporti anche con i paesi del Mediterraneo, aprendo il filone del filoarabismo che fino ad allora era stato percorso solo in via non governativa (dall'ENI di Enrico Mattei). Dopo l'Atto di Helsinki, che diede valenza internazionale alla richiesta occidentale di democratizzazione dell'Est, colse l'occasione per un'intensa stagione di affari economici tra l'Italia e l'Unione sovietica.
[modifica] La non-sfiducia e la solidarietà nazionale: Andreotti ritorna a Palazzo Chigi
Nel 1976, il governo, presieduto da Aldo Moro, perse la fiducia dei socialisti in Parlamento e il Paese si avviò alle elezioni anticipate, che videro un forte aumento del Partito Comunista Italiano, guidato da Enrico Berlinguer. La Democrazia Cristiana, riuscì, anche se solo per pochi voti a restare il partito di maggioranza relativa. Forte del buon risultato elettorale, Berlinguer propose, appoggiato anche da Aldo Moro e Amintore Fanfani, di dare concretezza al compromesso storico, ovvero alla formazione di un governo di coalizione fra Pci e Dc.
Dentro la Dc, fu proprio Andreotti ad essere prescelto per guidare il primo esperimento in questa direzione: egli varò nel luglio del 1976 il suo terzo governo, il governo detto della "non sfiducia" perché, pur essendo un monocolore, si reggeva grazie all'astensione dei partiti dell'"arco costituzionale" (tutti tranne il MSI-DN). Questo governo cadde però nel gennaio del 1978. Pochi giorni prima del suo sequestro, Aldo Moro spinse alla creazione di un nuovo esecutivo, presieduto sempre da Andreotti, un monocolore DC: stavolta il sostegno parlamentare di tutti i partiti (ad eccezione del Movimento Sociale Italiano) si espresse con il voto favorevole alla fiducia, contrattata già prima del sequestro ma riconfermata con rafforzata decisione per fronteggiare il delicato periodo che l'Italia viveva, con il sequestro da parte delle Brigate Rosse, di Aldo Moro. Era la solidarietà nazionale, che nasceva nell'emergenza del rapimento Moro e veniva accettata dal PCI "sia pure faticosamente e in modo non pienamente adeguato alla situazione", come ebbe a dire la mattina del rapimento Enrico Berlinguer alla Camera dando voce allo scontento interno al suo partito, dovuto alla decisione di Andreotti di non accettare alcuna richiesta avanzata dal PCI (riduzione del numero dei ministri, inclusione di alcuni indipendenti, esclusione di ministri quali Antonio Bisaglia e Carlo Donat Cattin, apertamente contrari alla politica di solidarietà nazionale)[2]. L'avvicinamento al PCI aveva provocato numerose critiche; all'interno della DC, Carlo Donat-Cattin fu autore dell'epigramma che rispondeva alla duplice domanda su quanto sarebbe costato il pane e chi sarebbe stato il premier dopo vent'anni: "Il pane costerà due rubli, ed il Presidente del Consiglio sarà Giulio Andreotti"[citazione necessaria].
Il ruolo di Andreotti nella gestione del sequestro Moro è tuttora incerto. Andreotti fu un teorico della "linea ferma" e rifiutò ogni trattativa con i terroristi.
Dopo l'omicidio di Moro, nel maggio del 1978, l'esperienza della solidarietà nazionale proseguì, portando all'approvazione di importanti leggi, come la riforma sanitaria. La richiesta dei comunisti, per una partecipazione più diretta alle attività di governo, fu respinta dalla DC: di conseguenza Andreotti si dimise nel gennaio del 1979, ma per lungo tempo restò nell'immaginario il referente di quell'ipotesi di governo aperto al PCI.
In realtà, egli aveva in proposito teorizzato la "strategia dei due forni", secondo cui il partito di maggioranza relativa avrebbe dovuto rivolgersi alternativamente a PCI e PSI a seconda di chi dei due "facesse il prezzo del pane più basso". Sta di fatto che ciò produsse per lungo tempo un pessimo rapporto con Bettino Craxi: esso s'era degradato quando Andreotti aveva fissato le elezioni anticipate del 1979 ad una settimana dalle europee di quell'anno (disattendendo la richiesta del PSI, che riteneva di avere maggiori chance di trascinamento con la coincidenza tra le due date), ed era crollato definitivamente quando la vicenda di finanziamento illecito di correnti anticraxiane del PSI - che era dietro lo scandalo ENI-Petromin - fu (a torto od a ragione) ricondotta da Craxi ad ambienti andreottiani. Ne scaturì il veto ad incarichi di governo per tutta la successiva legislatura (quando - prematuramente - Craxi disse che "la vecchia volpe è finita in pellicceria"): si trattò dell'unico quadriennio della Prima Repubblica (oltre al periodo 1968-1971) in cui Andreotti non rivestì alcun incarico di governo.
[modifica] Gli Anni '80: Andreotti Ministro degli Esteri e per l'ultima volta presidente del consiglio
Andreotti fu nominato, nel 1983, Ministro degli Esteri nel primo governo Craxi, incarico che mantenne nei successivi governi fino al 1989. Forte della sua pluridecennale esperienza di uomo politico, Andreotti favorì il dialogo fra Usa e Urss, che in quegli anni si stava aprendo. All'interno del governo, si rese protagonista di diversi scontri con Craxi - prevalentemente surrettizi, come quando sussurrò ad un giornalista di essere stato "in Cina con Craxi e i suoi cari..." (il riferimento è al viaggio diplomatico che Craxi fece in Cina) - ma nella gestione filoaraba della politica estera fu oggettivamente in consonanza con il premier, schierandosi con lui nella questione della risoluzione negoziata del dirottamento della nave Achille Lauro.
Anche grazie a questi sviluppi, svolse successivamente un ruolo di tramite fra Craxi e la Democrazia Cristiana, i cui rapporti erano tutt'altro che idilliaci. Gli scontri fra il carismatico leader socialista e il segretario democristiano Ciriaco De Mita, erano all'ordine del giorno, tanto che i giornali parlarono dell'esistenza del triangolo CAF (Craxi-Andreotti-Forlani): quando tale intesa sottrasse a De Mita la guida del governo, nel 1989, fu chiamato nuovamente alla presidenza del Consiglio, incarico che resse fino al 1992.
Si trattò di un governo dal decorso turbolento: la scelta di restare alla guida del governo nonostante l'abbandono dei ministri della sinistra democristiana - dopo l'approvazione della norma sugli spot televisivi (favorevole alle emittenze private di Silvio Berlusconi, reso "oligopolista" dalla legge Mammì) - non impedì il riemergere di antichi sospetti e rancori con Craxi (che alluse ad Andreotti quando disse che dietro il ritrovamento delle lettere di Moro in via Montenevoso vedeva una "manina", guadagnandosi la sua piccata replica che forse c'era stata una "manona"); lo scandalo Gladio e le "picconate" del presidente Francesco Cossiga lo videro destinatario di pressioni istituzionali fortissime, cui replicò con la consueta ma oramai consunta levità di spirito dichiarando che era "meglio tirare a campare che tirare le cuoia".
Nel 1992, finita la legislatura, Andreotti rassegnò le sue dimissioni, non mancando di chiosare che facendo le valigie aveva trovato nei suoi cassetti alcune lettere del Presidente della Repubblica ancora chiuse. Eppure a quel Presidente dovette la sua sopravvivenza politica nella sua quarta età: l'anno prima era stato nominato senatore a vita proprio da Cossiga.
Il modo sgraziato con cui accolse questa nomina - che gli avrebbe impedito l'ingresso all'Ucciardone per tutta la durata dell'inchiesta da cui risultò alla fine assolto - è dovuto al fatto che essa attentò alla stessa sopravvivenza di quella che era stata la sua piccola corrente, all'interno della Democrazia cristiana: un piccolo vascello corsaro che aveva manovrato tra le grandi corazzate dorotea e della Sinistra Dc, tra i fanfaniani ed i tavianei, per oltre mezzo secolo, senza mai superare il 10 per cento delle tessere alle assise congressuali eppure sempre decisiva per spostare il partito a destra (anni Cinquanta) o a sinistra (anni Settanta), guadagnando in cambio un incarico ministeriale di prima fila per il suo 'leader'. Priva di radicamento territoriale al di fuori del Lazio (dove si valeva di proconsoli come Franco Evangelisti prima e Vittorio Sbardella poi), la corrente andreottiana si alleava periodicamente con correnti espresse da altre realtà territoriali: da ultimo, negli anni Ottanta furono organici all'andreottismo le correnti napoletane di Enzo Scotti e Paolo Cirino Pomicino, quella veneta di Giovanni Prandini e quella palermitana di Salvo Lima; al di là delle espressioni geografiche, in lungo tratto di cammino insieme compirono anche le frange politiche di Comunione e liberazione, pur mantenendo un ampio margine di autonomia. Alle prime elezioni successive alla nomina come senatore a vita, i suoi voti in Lazio conversero sul genero Luca Danesi.
[modifica] Andreotti senatore a vita
In quello stesso anno, il 1992, Andreotti era considerato uno dei candidati più papabili per la carica di presidente della Repubblica, ma la sua corrente non si espose mai con una candidatura esplicita che portasse alla conta dei voti, preferendo l'esercizio di un'estenuante interdizione che tenne sulla corda gli altri candidati del CAF (fino a "bruciare", in due memorabili scrutini di metà maggio, la candidatura di Arnaldo Forlani, che non riuscì a raggiungere il quorum per meno di trenta voti). Quella di Andreotti, che era studiata come una candidatura da far emergere dopo l'affossamento delle altre, divenne però a sua volta del tutto impraticabile dopo l'assassinio del giudice Giovanni Falcone a Palermo: il fatto che due mesi prima fosse stato assassinato a Palermo Salvo Lima, della medesima corrente di Andreotti, fu giudicato in Parlamento un evento di scarsa presentabilità pubblica, in una situazione di emergenza nazionale nella lotta alla mafia, e si passò a considerare altri nomi più "istituzionali": prima il presidente del Senato Spadolini e poi, con successo, quello della Camera Scalfaro, sostenuto dalla sinistra.
Dall'ottobre del '93, Giulio Andreotti diviene direttore del mensile internazionale «30 giorni nella Chiesa e nel Mondo», in vendita solo nelle edicole intorno al Vaticano e nelle librerie Paoline, ma a cui è possibile abbonarsi. [3]
Nel 1994, allo scioglimento della Democrazia Cristiana, aderì al Partito Popolare Italiano di Mino Martinazzoli, partito che lascerà nel 2001, in seguito alla nascita della Margherita.
Le elezioni politiche del 2006, che videro una vittoria di misura dell'Unione di Romano Prodi, con al Senato un leggero vantaggio di seggi tra lo schieramento vincente e la Casa delle Libertà, fecero discutere sui futuri assetti istituzionali e sulla necessità di ricompattare un'Italia sostanzialmente divisa in due. Perciò, da alcuni settori del centro-destra era giunta la proposta di assegnare la Presidenza del Senato al senatore a vita Andreotti, ritenuto capace di mediare tra i due schieramenti e tra le due anime del Paese.
Il senatore a vita aveva dichiarato «Deciderò sul momento» se accordare o meno la fiducia all'eventuale governo Prodi II. Sull'ipotesi di una sua elezione alla Presidenza del Senato, in un'intervista al quotidiano La Stampa del 22 aprile 2006, si rese disponibile purché «In un'ottica di conciliazione». L'elezione di Andreotti, secondo alcune fonti, avrebbe dovuto ottenere i consensi di un'ampia fetta dei moderati del centrosinistra, fra La Margherita e l'Udeur di Mastella, mettendo in crisi la scelta, data ormai per certa, del diellino Franco Marini.
Ma l'elezione, tenutasi il 29 aprile, al terzo scrutinio, portò al ruolo di presidenza del Senato Franco Marini con 165 voti (quelli della maggioranza più quelli di alcuni senatori a vita e, verosimilmente, alcuni provenienti dai gruppi di minoranza della Cdl), contro le 156 preferenze raccolte dall'ex-premier tra le file del centro-destra. L'elezione fu molto importante perché alcuni hanno ritenuto nei giorni precedenti, e soprattutto durante le prime due votazioni, che la coalizione di centrosinistra non sarebbe stata in grado di avere una duratura maggioranza dei voti per l'attività del Senato.
Il 19 maggio 2006 accordò la fiducia al governo Prodi II, assieme agli altri sei senatori a vita, suscitando vive polemiche nella Casa delle Libertà, che aveva sostenuto la sua candidatura alla Presidenza del Senato. Successivamente, si è spesso consultato con il nuovo Presidente del Consiglio riguardo alla politica estera, che continua a seguire in qualità di membro della Commissione Affari Esteri del Senato della Repubblica.
Il 21 febbraio 2007 suscitò scalpore la sua astensione in Senato alla risoluzione della maggioranza di centrosinistra, relativa alle linee guida di politica estera illustrate dal Ministro degli Esteri Massimo D'Alema al Senato della Repubblica, che non ottenne il quorum di maggioranza, iniziando così la crisi di Governo che portò il Presidente del Consiglio Romano Prodi a rassegnare, in serata, le dimissioni dal suo incarico al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Il senatore a vita aveva annunciato il giorno prima il suo voto favorevole. L'indomani dichiarò ai mass media che il suo cambio di scelta fu dovuto al discorso di D'Alema, teso a marcare fortemente la discontinuità della politica estera del centrosinistra rispetto al direttivo dell'ex premier Silvio Berlusconi; dichiarò inoltre il suo totale disaccordo su di una politica tesa da un lato ad osannare il leader di Forza Italia e dall'altro a demonizzarlo.
Alcuni tra commentatori e giornalisti insinuarono che l'astensione di Andreotti fosse dovuta alla tensione politica tra il Vaticano e il Governo Prodi sorta circa il disegno di legge sui DICO. Andreotti parteciperà nel Maggio 2007 alla manifestazione del Family Day.
Il 29 aprile 2008, a seguito della rinuncia dei senatori Rita Levi Montalcini e Oscar Luigi Scàlfaro, Andreotti ha svolto le funzioni di presidente provvisorio del Senato della Repubblica in quanto senatore più anziano. Ha quindi diretto le votazioni che hanno portato all'elezione del senatore Renato Schifani alla seconda carica dello Stato.
[modifica] Vicende giudiziarie
Andreotti è stato sottoposto a giudizio a Palermo per associazione mafiosa. Mentre la sentenza di primo grado, emessa il 23 ottobre 1999, lo aveva assolto per insufficienza di prove, la sentenza di appello, emessa il 2 maggio 2003, distinguendo il giudizio per i fatti fino al 1980 e quelli successivi, ha stabilito che Andreotti aveva «commesso» il «reato di partecipazione all'associazione per delinquere» (Cosa Nostra), «concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980», reato però «estinto per prescrizione». Per i fatti successivi alla primavera del 1980 Andreotti è stato invece assolto.[4]
La sentenza della Corte di Appello di Palermo del 2 maggio 2003, parla di «una autentica, stabile ed amichevole disponibilità dell'imputato verso i mafiosi fino alla primavera del 1980».
Interrogato dalla procura di Palermo il 19 maggio 1993, il sovraintendente capo della polizia Francesco Stramandino, dichiarò di aver assistito il 19 agosto 1985, in qualità di responsabile della sicurezza dell'allora ministro degli Esteri Andreotti, ad un incontro tra lo stesso politico ed il boss Andrea Manciaracina, all'epoca sorvegliato speciale e uomo di fiducia di Totò Riina.
Lo stesso Andreotti ammise in aula l'incontro con Manciaracina, spiegando che il colloquio ebbe a che fare con problemi relativi alla pesca.
La sentenza di primo grado definì «inverosimile» la «ricostruzione dell'episodio offerta dall'imputato». Pur confermando che Andreotti incontrò uomini appartenenti a Cosa Nostra anche dopo la primavera del 1980, il tribunale stabilì che mancava «qualsiasi elemento che consentisse di ricostruire il contenuto del colloquio». La versione fornita dall'onorevole Andreotti, secondo il tribunale, potrebbe essere dovuta «al suo intento di non offuscare la propria immagine pubblica ammettendo di avere incontrato un soggetto strettamente collegato alla criminalità organizzata e di avere conferito con lui in modo assolutamente riservato».
Sia l'accusa sia la difesa presentarono ricorso in Cassazione, l'una contro la parte assolutiva, e l'altra per cancellare le conclusioni della sentenza di appello. Tuttavia la Corte di Cassazione il 15 ottobre 2004 confermò la sentenza d'appello[5]. Nella motivazione si legge (a pagina 211):
« Quindi la sentenza impugnata, al di là delle sue affermazioni teoriche, ha ravvisato la partecipazione nel reato associativo non nei termini riduttivi di una mera disponibilità, ma in quelli più ampi e giuridicamente significativi di una concreta collaborazione. » |
Se la sentenza definitiva fosse arrivata entro il 20 dicembre 2002 (termine per la prescrizione), Andreotti avrebbe potuto essere condannato in base all'articolo 416, cioè all'associazione "semplice", poiché quella aggravata di stampo mafioso (416-bis) fu introdotta nel codice penale soltanto nel 1982, con la legge Rognoni-La Torre.
Andreotti è stato anche processato per l'accertato coinvolgimento nell'omicidio Pecorelli. In primo grado fu assolto ma successivamente condannato a 24 anni di reclusione in appello dalla Corte d'Assise di Perugia, il 17 novembre 2002. La sentenza d'appello venne quindi annullata senza rinvio dalla Corte di Cassazione, annullamento che rese definitiva la sentenza di assoluzione di primo grado.
[modifica] Interpretazioni e critiche
La figura di Andreotti è, come difficilmente potrebbe non essere data la sua storia personale e politica, oggetto di interpretazioni e polemiche di varia natura. Le numerose contestazioni che gli sono state volte hanno riguardato praticamente tutti i campi della sua attività e sono venute anche da politici e giornalisti illustri (come Indro Montanelli). Accuse e sospetti gli sono stati rivolti a proposito delle sue relazioni con la loggia P2, Cosa Nostra, la Chiesa cattolica e con alcuni individui legati ai più oscuri misteri della storia repubblicana. Tali voci, specialmente quelle relative ai rapporti con Cosa Nostra, hanno certamente danneggiato la sua immagine pubblica: come s'è visto nel 1992, scaduto il mandato del dimissionario Francesco Cossiga come Presidente della Repubblica, la candidatura di Andreotti sembrava destinata ad avere la meglio finché, durante i giorni delle votazioni di maggio, la strage di Capaci orientò la scelta dei parlamentari verso Oscar Luigi Scalfaro, persona universalmente riconosciuta per la sua probità morale e per il suo ruolo attivo nella lotta contro la mafia.
[modifica] Andreotti e Dalla Chiesa
Ad avvalorare certi sospetti che legano Andreotti agli ambienti mafiosi vi è la lettera del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa datata 2 aprile 1982 al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini in cui scriveva che: «la corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti sarebbe stata la famiglia politica più inquinata da contaminazioni mafiose.»
Sempre Dalla Chiesa, nel suo taccuino personale scrive: «Ieri anche l'on. Andreotti mi ha chiesto di andare [da lui, ndr] e, naturalmente, date le sue presenze elettorali in Sicilia, si è manifestato per via indiretta interessato al problema; sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardi per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori.»
[modifica] Rapporti con Michele Sindona
Secondo la Corte di Perugia ed il Tribunale di Palermo: "Andreotti aveva rapporti di antica data con molte delle persone che a vario titolo si erano interessate della vicenda del banchiere della Banca Privata Italiana ed esponente della loggia massonica P2 Michele Sindona, oltre che con lo stesso Sindona."[3]
Tali rapporti si intensificarono nel 1976, al momento del crac delle banche di Sindona: Licio Gelli, capo della loggia P2, propose un piano per salvare la Banca Privata Italiana all'allora Ministro della Difesa Andreotti. Quest'ultimo, nonostante le dichiarazioni pubbliche di stima verso Sindona, definito "il salvatore della lira," non riuscì a fare accettare il piano di salvataggio al Ministro del Tesoro Ugo La Malfa. In seguito, Andreotti negò ogni suo coinvolgimento, sostenendo che il suo interessamento per il salvataggio della Banca Privata Italiana era solo di natura istituzionale. Tuttavia, anche durante la lunga latitanza di Sindona all'hotel Pierre di New York, Andreotti continuò a mantenere contatti con il banchiere, pur rivestendo il ruolo di Presidente del Consiglio.
Solo dopo il falso rapimento di Sindona, la sua estradizione e conseguente arresto per bancarotta fraudolenta e per l'omicidio del liquidatore della Banca Privata Italiana Giorgio Ambrosoli, Andreotti se ne distanziò pubblicamente.
Sindona morì avvelenato da un caffè al cianuro il 22 marzo 1986 nel carcere di Voghera, due giorni dopo essere stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Ambrosoli. Tale morte venne archiviata come suicidio, poiché le prove e le testimonianze riguardo il veleno utilizzato ed il comportamento di Sindona stesso facevano supporre un tentativo di auto-avvelenamento: tale atto sarebbe stato compiuto nella speranza di una re-estradizione negli Stati Uniti, paese con il quale l'Italia aveva un accordo sulla custodia del banchiere legato alla sicurezza e incolumità di quest'ultimo. Sindona, quindi, avrebbe messo in scena un avvelenamento e sarebbe morto a causa di un errore di dosaggio.
Diversi osservatori, tra cui il giornalista e docente universitario Sergio Turone, ipotizzarono che fu Andreotti a far pervenire la bustina di zucchero contenente il cianuro fatale a Sindona, facendo credere a quest'ultimo che il caffè avvelenato gli avrebbe causato solo un malore. Secondo Turone, il movente del presunto omicidio sarebbe stato il timore che Sindona rivelasse durante il processo d'appello segreti riguardanti i rapporti tra politici italiani, Cosa Nostra, e la P2: "fino alla sentenza del 18 marzo 1986 Sindona [aveva] sperato che il suo potente protettore [Andreotti] trovasse la via per salvarlo dall'ergastolo. Nel processo d'appello, non avendo più nulla da perdere, avrebbe detto cose che fin ora aveva taciuto."[4].
Va tuttavia sottolineato che tale ipotesi non è stata suffragata da alcuna prova concreta che implichi in alcun modo Andreotti nella morte di Sindona.
[modifica] Andreotti e il Golpe Borghese
Per approfondire, vedi la voce Golpe Borghese. |
A seguito delle rivelazioni sull'indagine legata al tentativo di Golpe da parte di Junio Valerio Borghese, il 15 settembre 1974 Giulio Andreotti, all'epoca Ministro della Difesa, consegnò alla magistratura romana un dossier del SID diviso in tre parti che descriveva il piano e gli obiettivi del golpe, portando alla luce nuove informazioni. Il dossier fu redatto dal numero due del SID, il generale Gianadelio Maletti, che avviò un'inchiesta sulle cospirazioni mantenendolo nascosto anche a Vito Miceli, direttore del servizio. Scoperto il progetto Maletti fu costretto a scavalcare Miceli e a parlare direttamente con Andreotti.
Andreotti così destituisce Miceli e altri 20 generali e ammiragli. Ma nel 1991 si scopre che le registrazioni consegnate nel 1974 da Andreotti alla magistratura non erano in versione integrale. Vi erano infatti i nomi di numerosi personaggi di spicco in ambito politico e militare, per cui Andreotti stesso ha recentemente dichiarato che ritenne di dover tagliare quelle parti per non renderle pubbliche, in quanto tali informazioni erano "inessenziali" per il processo in corso e, anzi, avrebbero potuto risultare "inutilmente nocive" per i personaggi ivi citati. Nelle parti cancellate vi era il nome di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981; ma anche riferimenti a Licio Gelli e alla loggia massonica P2, che si doveva occupare del rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat; infine si facevano rivelazioni circa un "patto" stretto da Borghese con alcuni esponenti della mafia siciliana, secondo cui alcuni sicari della mafia avrebbero ucciso il capo della polizia, Angelo Vicari. L'esistenza di tale patto sarebbe poi stata confermata da vari pentiti di mafia, tra cui Tommaso Buscetta.
Grazie al Freedom of Information Act nel 2004 si è inoltre scoperto che il piano di Borghese era noto al governo degli Stati Uniti e che esso aveva l'"avallo" a condizione che fosse assicurato il coinvolgimento di un personaggio politico italiano "di garanzia". Il nome indicato fu quello di Andreotti, che sarebbe dovuto diventare una sorta di presidente "in pectore" del governo post-golpe. Tuttavia non si è certi se Andreotti fosse al corrente dell'indicazione statunitense.
[modifica] Sinossi degli incarichi di Governo
[modifica] La figura di Andreotti
[modifica] Satira
Bersaglio molto frequente di strali satirici, e di prese in giro sul suo difetto fisico (ha una pronunciata quanto innascondibile cifosi), ha sempre risposto con una proverbiale ironia di scuola epigrammatica romana che nel tempo lo ha reso fonte di una nutrita schiera di commenti e battute ancora oggi di uso comune (tra le più famose la sua "Il potere logora chi non ce l'ha", in realtà ascrivibile a Talleyrand). Fra i suoi imitatori più celebri vi sono Ugo Tognazzi, Enrico Montesano e Oreste Lionello.
Anche Beppe Grillo ha dedicato diversi commenti satirici ad Andreotti:
- «Credo che Andreotti non abbia mai rubato, ma ha fatto tutto il resto...»
- «Non sapremo mai la verità su Andreotti, la sapremo quando morirà e gli toglieranno la scatola nera dalla gobba...»
Paolo Rossi in una sua scenetta lo mostrava,ormai morto, alla porta dell'Inferno, bussa ed il diavolo piantone,con voce infastidita:"Chi è?" ..."Giulio Andreotti!" ed il diavolo,mentre realizza, comincia a sorridere per poi esultare :"Papàààà!"
[modifica] Soprannomi
Ad Andreotti sono stati anche attribuiti una nutrita gamma di soprannomi:
- Per via della personalità carismatica e pragmatica, è stato soprannominato Divo Giulio dal giornalista Carmine Pecorelli, prendendo spunto da Giulio Cesare, evidenziandone la "sacralità" nella politica italiana.
- È stato chiamato anche "Zio Giulio", sia per l'epiteto con il quale sarebbe stato conosciuto dai clan mafiosi secondo l'accusa rivoltagli al processo palermitano (Zù Giulio, secondo i pentiti), sia per il tono paterno con cui tante volte - durante la Seconda Repubblica - si è espresso nei suoi discorsi, atteggiandoli ad uno stile "super partes" proprio di uno degli ultimi Costituenti ancora in vita.
- Soprannominato Belzebù in ambiente socialista, quando lo si volle distinguere da Belfagor, denominazione applicata a Licio Gelli.
- Montanelli lo definì "l'onnipresente".
- Un ultimo appellativo usato più di frequente è anche "Indecifrabile".[citazione necessaria]
[modifica] Andreotti nel cinema, canzone e cultura popolare
- Il Senatore a Vita è stato protagonista di un celebre cartone animato italiano, Giulio Andreotti (2000), firmato da Mario Verger; è probabilmente ispirata alla figura di Andreotti anche L'Uomo Falco di Antonello Venditti.
- È apparso nel film Il tassinaro, con Alberto Sordi dove con la solita acida ironia, suggerisce le Università a numero chiuso, in modo da risolvere il problema dei laureati disoccupati.
- A lui è ispirata la figura del potente politico italiano Licio Lucchesi nel film Il Padrino: Parte III di Francis Ford Coppola (vi viene citata la celebre frase "il potere logora chi non ce l'ha" che, seppur del Talleyrand, viene attribuita spesso a lui).
- Totò nel film Gli onorevoli fa dire alla moglie che voterà per "Giulio" perché "non c'è rosa senza spine, non c'è governo senza Andreotti".
- Ne "Il Commissario Lo Gatto", con Lino Banfi, alla fine del film un attore imita Andreotti che ringrazia il commissario per il servigio reso alla DC grazie al polverone creato dalla sua inchiesta che aveva svelato il legame di una soubrette con Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio.
- Nel film I banchieri di Dio (2002) di Giuseppe Ferrara, nel quale vengono ricostruite le vicende del banchiere Roberto Calvi. Il film è stato bloccato dalla magistratura perché contiene ricostruzioni ancora al vaglio di un processo.
- Nell'album "nomi e cognomi" di Francesco Baccini gli è dedicata la canzone dal titolo Giulio Andreotti.
- Da un paio di anni circolano su internet dei Facts su Andreotti che, specularmente ai Chuck_Norris_facts, irridono la figura dello statista magnificandone pregi e caratteristiche in maniera paradossale.
- Alla vita di Andreotti è ispirato il film Il Divo di Paolo Sorrentino, presentato al Festival di Cannes del 2008 e vincitore del Premio della Giuria. Riguarda all'incirca gli anni in cui termina l'ultimo governo Andreotti, sino ad arrivare alla vigilia del processo per associazione mafiosa. Il film è basato su documenti politici reali e libri che ne fanno riferimento, anche se Andreotti ha insistito nell'affermare di non essere così cinico come questo film lo dipinge e che lo stesso è una mascalzonata[6], salvo poi rettificare[7].
[modifica] Opere su Andreotti
[modifica] Filmografia
- Il Divo film di Paolo Sorrentino, 2008
[modifica] Scritti
Elenco parziale, in ordine cronologico
- Concerto a sei voci (1946)
- Pranzo di magro per il Cardinale (1954)
- De Gasperi e il suo tempo (1965)
- La sciarada di Papa Mastai (1967)
- I minibigami (1971)
- Ore 13: Il Ministro deve morire (1975)
- A ogni morte di Papa (1980)
- Diari 1976-1979 (1981), vincitore del Premio Il Libro dell'Anno
- Visti da vicino (1982)
- Visti da vicino, seconda serie (1983)
- Visti da vicino, terza serie (1986)
- De Gasperi, visto da vicino (1986)
- Onorevole stia zitto (1987)
- L'URSS vista da vicino (1988)
- Gli USA visti da vicino (1989)
- Il potere logora, ma è meglio non perderlo (1990)
- Governare con la crisi, dal 1944 ad oggi (1991)
- Onorevole stia zitto, Atto secondo (1992)
- Il Ministero dell'uomo in grigio (1993)
- Cosa Loro. Mai visti da vicino.(1995)
- De prima re publica (1996)
- Operazione via Appia (1998)
- A non domanda rispondo (1999)
- I quattro del Gesù (1999)
- Teneteli su e altri racconti (1999)
- Piccola storia di Roma (2000)
- Sotto il segno di Pio IX (2000)
- Volti del mio tempo. Personaggi della storia, della politica, della Chiesa (2000)
- Un gesuita in Cina. 1552-1610: Matteo Ricci dall'Italia a Pechino (2001)
- I nonni della Repubblica (2002)
- Altri cento nonni della Repubblica (2003)
- La fuga di Pio IX e l'ospitalità dei Borbone (2003)
- 1947 (2005)
- 1948 (2005)
- 1949 (2006)
- Concerto a sei voci (2006)
- De Gasperi (2006)
- 1953 (2007)
- 2000 (2007)
[modifica] Galleria Fotografica
[modifica] Note
- ^ Nell'intervista a Il Corriere del 14/11/2007 su il caso Moro Francesco Cossiga spiega che Andreotti era uomo di Papa Montini.
- ^ Discorsi parlamentari di Enrico Berlinguer, pubblicato dalla Camera dei Deputati, a cura di M.L. Righi, 2001, pag. 183.
- ^ [1], al 18 Aprile 2008
- ^ Link ad articolo da La Repubblica del 2 maggio 2003[2] Andreotti assolto in appello "Non è un boss mafioso"
- ^ La sentenza del processo Andreotti
- ^ articolo di Repubblica del 15 maggio 2008
- ^ articolo del Corriere della Sera dell'8 giugno 2008
[modifica] Voci correlate
- Governo Andreotti I
- Governo Andreotti II
- Governo Andreotti III
- Governo Andreotti IV
- Governo Andreotti V
- Governo Andreotti VI
- Governo Andreotti VII
- Operazione Gladio
- Crisi di Sigonella
- Stanotte e per sempre, racconto grottesco di Daniele Luttazzi su Andreotti e il caso Moro
[modifica] Altri progetti
- Wikimedia Commons contiene file multimediali su Giulio Andreotti
- Wikiquote contiene citazioni di o su Giulio Andreotti
[modifica] Collegamenti esterni
- Scheda di attività senatoriale, sul sito istituzionale del Senato
- Gli atti del processo Andreotti
- Gli atti del processo Andreotti usati come materiale didattico per gli studenti di legge
- Testo della sentenza del processo di Palermo
- La sentenza Andreotti-Badalamenti della Corte di assise di appello di Perugia, 13-02-2003
- Il processo Andreotti secondo Marco Travaglio
- Intervista a Gian Carlo Caselli sul caso Andreotti
- Scheda su openpolis.it di Giulio Andreotti
Predecessore: | vincitori Premio Bancarella | Successore: |
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Luciano De Crescenzo | 1985 | Pasquale Festa Campanile |
Predecessore: | Ministro per le Politiche Comunitarie | Successore: | |
---|---|---|---|
istituito nel 1987 | 17 maggio 1987 - 28 luglio 1987 | Antonio La Pergola |
Predecessore: | Presidente del Consiglio dell'Unione europea | Successore: | |
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Charles Haughey | 1990 | Jacques Santer |
Predecessore: | Ministro dell'Interno della Repubblica Italiana | Successore: | |
---|---|---|---|
Amintore Fanfani | 1954 | Mario Scelba | I |
Francesco Cossiga | 1978 ad interim | Virginio Rognoni | II |
Predecessore: | Ministro della Difesa della Repubblica Italiana | Successore: | |
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Antonio Segni | 1959 - 1966 | Roberto Tremelloni | I |
Mario Tanassi | 1974 | Arnaldo Forlani | II |
Predecessore: | Ministro degli Esteri della Repubblica Italiana | Successore: | |
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Emilio Colombo | 1983 - 1989 | Gianni De Michelis |
Predecessore: | Presidente del Consiglio dei Ministri Italiano | Successore: | |
---|---|---|---|
Emilio Colombo | 1972 - 1973 | Mariano Rumor | I |
Aldo Moro | 1976 - 1979 | Francesco Cossiga | II |
Ciriaco De Mita | 1989 - 1992 | Giuliano Amato | III |
Presidenti del Consiglio dei Ministri | |||
Alcide De Gasperi | Giuseppe Pella | Amintore Fanfani | Mario Scelba | Antonio Segni | Adone Zoli | Fernando Tambroni | Giovanni Leone | Aldo Moro | Mariano Rumor | Emilio Colombo | Giulio Andreotti | Francesco Cossiga | Arnaldo Forlani | Giovanni Spadolini | Bettino Craxi | Giovanni Goria | Ciriaco De Mita | Giuliano Amato | Carlo Azeglio Ciampi | Silvio Berlusconi | Lamberto Dini | Romano Prodi | Massimo D'Alema |