Decio
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Decio | ||
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Imperatore romano | ||
Moneta di Decio | ||
Regno | 249 – 1 luglio 251 (da solo) 251 (con Erennio Etrusco) |
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Nome completo | Gaius Messius Quintus Traianus Decius | |
Titoli | Dacicus maximus (250)[1] Germanicus maximus (250)[1] |
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Nascita | 201 circa | |
Budalia | ||
Morte | 1 luglio 251 | |
Abrittus | ||
Predecessore | Filippo l'Arabo | |
Successore | Treboniano Gallo Ostiliano |
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Consorte | Erennia Cupressenia Etruscilla | |
Figli | Erennio Etrusco Ostiliano |
Gaio Messio Quinto Traiano Decio (latino: Gaius Messius Quintus Traianus Decius; Budalia, 201 – Abrittus, 1 luglio 251) fu imperatore romano dal 249 fino alla morte, avvenuta durante la battaglia di Abrittus.
Durante il suo regno, Decio cercò di risollevare le sorti dell'Impero, caduto nella crisi del terzo secolo, affidandosi al ripristino della tradizione, ma la sua scelta non fu adatta ad uno stato che stava cambiando rapidamente. Sebbene avesse ben chiara la situazione e la soluzione scelta, mostrò, nel momento del bisogno, di non essere abbastanza versatile. La sua politica religiosa frazionò l'Impero e lui stesso, a differenza degli altri imperatori del periodo dell'anarchia militare, non fu in grado di contrastare i pericoli portati dalle invasioni germaniche; la sua stessa morte in battaglia, per quanto eroica, dimostra i limiti del suo giudizio.
Indice |
[modifica] Biografia
Le fonti storiche per la vita di Decio sono frammentarie e non permettono di ricostruire con certezza né la storia del suo regno né tantomeno le sue motivazioni.
La Historia Augusta non contiene un libro dedicato a Decio, anche se brani che lo riguardano sono contenuti nei libri di altri imperatori. Altre fonti sono Zosimo, Aurelio Vittore, Giovanni Zonara, Eutropio, Giordane e Polemio Silvio; gli scrittori cristiani Socrate Scolastico e Lattanzio sono utili per ricostruire le cosiddette "persecuzioni deciane".
[modifica] Origini famigliari
Nato come Gaio Messio Quinto Decio, sotto la dinastia dei Severi (probabilmente nel 201), fu il primo di una lunga serie di imperatori provenienti dalla provincia dell'Illiria. La sua famiglia, forse di origine italiana, era provinciale, ma appartenente all'aristocrazia senatoriale. Prima di salire al trono sposò Erennia Cupressenia Etruscilla, una donna di rango senatoriale, da cui ebbe i figli Erennio Etrusco e Ostiliano.
[modifica] Carriera politica ed ascesa al potere
La sua carriera non è nota, ma si sa che alla metà degli anni 230 era governatore della Mesia; probabilmente era anche entrato nel Senato romano. La fortuna di Decio fu che, alla fine degli anni 240, la Mesia e la Pannonia furono messe sotto pressione dalle popolazioni barbariche oltre confine, in particolare i Gepidi, e fu il teatro della rivolta di Pacaziano.
L'imperatore Filippo l'Arabo inviò Decio nella regione a sedare la rivolta e a riportare l'ordine. Si può speculare sulle ragioni che portarono Filippo a scegliere proprio Decio: questi era infatti un romano e membro del Senato romano, e ciò non poteva che mettere in buona luce Filippo, che era non-romano ed era stato proclamato imperatore dall'esercito ed era quindi visto negativamente dagli esponenti dell'aristocrazia senatoriale; inoltre Decio era stato governatore nella regione, e dunque poteva avere l'esperienza e i contatti giusti per riportare l'ordine.
Quali che fossero queste ragioni, Decio accettò l'incarico e, accompagnato dal figlio Erennio Etrusco, si recò in Mesia: qui, probabilmente, prese il comando della Legio IIII Flavia Felix e della XI Claudia. Prima che giungesse allo scontro, Pacaziano fu ucciso dai propri soldati, che avevano compreso di avere poche speranze contro le truppe di Decio; convinti dall'incapacità di Filippo di gestire la crisi della frontiera da lontanto, spinti dal timore della punizione per la loro rivolta e attratti dalle possibilità di arricchimento collegate all'elezione di un nuovo imperatore, i soldati delle armate pannoniche (tra cui la Legio X Fretensis)[2] acclamarono Decio imperatore.
Secondo la tradizione, che predilige i sovrani che accettano malvolentieri il potere, Decio ribadì la propria lealtà a Filippo, ma questi decise di abbatterlo; del resto Decio aveva un sostegno ben maggiore di Filippo, sia presso l'esercito danubiano, che preferiva avere l'imperatore con sé piuttosto che a Roma, che per il Senato romano, che preferiva certamente un proprio membro ad un soldato di origini straniere. Filippo raccolse il proprio esercito e andò incontro a Decio, che si era mosso dalla frontiera verso l'Italia; lo scontro avvenne a Verona (o a Beroea), e Filippo fu sconfitto e morì, forse durante la battaglia, forse ucciso dai propri uomini.
[modifica] Regno
[modifica] Politica interna
Il potere di Decio ebbe le proprie basi nell'aristocrazia senatoriale e nell'esercito, e ad entrambi si presentò come il restauratore della tradizione, tramite un'opportuna propaganda e riprendendo quei tratti del princeps che richiamavano la tarda Repubblica e il primo Impero.
Dal punto di vista politico, Decio rivalutò le cariche repubblicane. Assunse per sé il consolato per ciascun anno del proprio regno; ripristinò la magistratura della censura; assunse personalmente il comando delle truppe sul campo di battaglia e conferì onori ai soldati indipendentemente dal loro rango.
Si richiamò alla florida dinastia antoniniana assumendo il nome Traiano in onore e in riferimento all'imperatore considerato uno dei migliori della storia romana, sia in campo militare che civile; la scelta non poteva essere più oculata, in quanto Traiano, come Decio, era stato comandante della Germania Superiore prima della sua elevazione al trono. Riprese, dopo vent'anni, un programma di edilizia pubblica a Roma: restaurò il Colosseo danneggiato da un terremoto e costruì le sontuose Terme Deciane sull'Aventino.
Cercò, infine, di dare vita ad una dinastia, come aveva fatto Filippo prima di lui: i figli Erennio Etrusco e Ostiliano ricevettero il titolo di cesare, con Erennio poi elevato al rango di augusto nel 251; Erennia Cupressenia Etruscilla fu invece nominata augusta.
[modifica] "Persecuzione" dei cristiani
Un elemento fondamentale della sua politica di restaurazione fu la promozione della religione romana; si tratta di un aspetto che è poco trattato dalle fonti contemporanee e da quelle pagane, ma che colpì molto gli scrittori cristiani, che diedero vita alla cosiddetta "persecuzione deciana".
Un aspetto della politica religiosa di Decio fu l'obbligo per tutti i cittadini romani di sacrificare agli dei dello Stato; in cambio avrebbero ricevuto un libellus, una sorta di certificato attestante l'espletamento del sacrificio. Non è chiara la ragione di tale imposizione, anche se va considerato che era molto generica e non sembra sia stata emanata proprio per combattere il cristianesimo.
Lo scrittore cristiano Eusebio di Cesarea afferma che Decio prese questa decisione contro il proprio predecessore Filippo l'Arabo, che era stato cristiano;[3] più probabilmente si trattò di una politica volta a restaurare la tradizionale pietas pubblica, un altro dei tasselli della restaurazione della tradizione voluta da Decio. Questa decisione però ebbe un impatto notevole sulle emergenti comunità cristiane, specie quella di Roma (uno delle prime vittime fu papa Fabiano), fino a causare delle divisioni interne: in conseguenza alla "persecuzione" nacque il movimento dei Novaziani,[4] mentre la diatriba sulla natura di Cristo ebbe si può far risalire a questa epoca.[5]
[modifica] Difesa dei confini
Oltre a doversi impegnare in un programma di politica interna volto a rafforzare lo stato, Decio dovette difendere l'Impero dalle forze, interne ed esterne, che tendevano a disgregarlo.
L'usurpazione di Iotapiano, che era iniziata sotto Filippo l'Arabo, ebbe fine poco dopo l'ascesa al trono di Decio: furono probabilmente gli stessi uomini dell'usurpatore a ucciderlo e a mandarne la testa a Roma, all'imperatore, nell'estate del 249.
Nel 250 l'imperatore lasciò la capitale per affrontare i Carpi, che scacciò dalla Dacia; nel contempo, però, i Goti, in un numero mai visto prima e comandati dall'abile sovrano Cniva, avevano attraversato il Danubio e premevano contro le province della Mesia e della Tracia. I dettagli non sono chiari, tanto che sussistono notevoli dubbi sul ruolo effettivamente svolto in occasione di questa campagna da Decio stesso e dal proprio figlio, Erennio Etrusco.
I Goti furono attaccati di sorpresa dall'imperatore mentre assediavano la città di Nicopoli, ma riuscirono a disimpegnarsi, e, dopo aver attraversato tutta la penisola balcanica, attaccarono la città di Filippopoli. Decio li inseguì, ma subì una pesante sconfitta presso Beroe (l'attuale Stara Zagora), e questo gli impedì di salvare Filippopoli, che, caduta in mano ai Goti, fu saccheggiata con spaventosa ferocia. Il comandante della guarnigione romana, Tito Giulio Prisco, si autodichiarò imperatore sotto la protezione dei Goti stessi, anche se in seguito di lui non si seppe più nulla. A Roma, Giulio Valente Liciniano si ribellò col sostegno dell'aristocrazia senatoriale e di parte del popolo, ma fu ucciso pochi giorni dopo (250).
L'assedio di Filippopoli aveva talmente esaurito le risorse materiali ed umane dei Goti che essi offrirono di restituire bottino e prigionieri a condizione di potersi ritirare indisturbati, ma Decio, che li aveva circondati e sperava di sbarrare loro la ritirata, rifiutò e li inseguì in modo da intercettarli prima che uscissero dal territorio romano. Lo scontro finale fu la battaglia di Abrittus, in Dobrugia, e i Goti, che combattevano con la forza della disperazione, ebbero la meglio, sconfiggendo ed uccidendo sia Decio che il figlio, Erennio Etrusco (1 luglio 251). Decio aveva cinquant'anni circa e regnava da tre: fu il primo imperatore romano morto in battaglia contro il nemico.
L'esercito scelse come suo successore Treboniano Gallo, scelta poi confermata dal Senato romano, che forse divinizzò Decio ed Erennio. Ostiliano, rimasto a Roma, fu associato al trono da Treboniano, ma morì poco dopo.
[modifica] Note
- ^ a b Lendering, Jona, "Decius", Livius.org
- ^ CIL 3, 4558.
- ^ Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, vi.39.
- ^ Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica, iv.28.
- ^ Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica, v.29.
[modifica] Bibliografia
- Fonti primarie
- Aurelio Vittore, Vite dei Cesari.
- Epitome dei Cesari.
- Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica
- Eutropio, Breviario.
- Giovanni Zonara.
- Zosimo, Storia nuova.
- Fonti secondarie
- Nathan, Geoffrey, "Trajan Decius (249-251 A.D.) and Usurpers During His Reign", De Imperatoribus Romanis
[modifica] Voci correlate
- Santi tradizionalmente considerati martirizzati sotto Decio
- papa Fabiano
- santi Abdon e Sennen
- sant'Agata (dubbio, forse sotto Diocleziano)
- santa Anatolia
- sant'Aureliano
- san Babila di Antiochia
- san Cristoforo di Licia
- san Dionigi (dubbio, forse sotto Diocleziano)
- san Feliciano di Foligno
- san Fermo
- sant'Isidoro di Chio
- san Massimo d'Aveia
- san Miniato protomartire
- santa Reparata di Cesarea di Palestina
- san Trifone
- san Venanzio
- santa Vissia di Fermo
[modifica] Altri progetti
- Wikimedia Commons contiene file multimediali su Decio
[modifica] Collegamenti esterni
- Certificato di sacrificio, ritrovato tra i papiri di Ossirinco.
- Monetazione di Decio, da Wildwinds.com
Precedessore Filippo l'Arabo |
Imperatore romano 249-251 con Erennio Etrusco (251) |
Successore Treboniano Gallo, Ostiliano |
Precedessore Lucio Fulvio Gavio Numisio Emiliano, Lucio Nevio Aquilino |
Console romano 250 con Vettio Grato |
Successore Imperatore Gaio Messio Quinto Traiano Decio Augusto III, Quinto Erennio Etrusco Messio Decio Cesare |
Precedessore Imperatore Gaio Messio Quinto Traiano Decio Augusto II, Vettio Grato |
Console romano 251 con Quinto Erennio Etrusco Messio Decio Cesare |
Successore Imperatore Gaio Vibio Treboniano Gallo Augusto II, Imperatore Cesare Gaio Vibio Volusiano Augusto |