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Pubblicità - Wikipedia

Pubblicità

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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Con il termine pubblicità si intende quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici (attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet), che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi.

La pubblicità può essere diffusa od esposta sia in "spazi" pubblici che privati.

Negli "spazi" pubblici, i messaggi pubblicitari si affiancano di regola ai messaggi di informazione prodotti dagli enti pubblici per comunicare ai cittadini notizie di comune interesse.

Il criterio per distinguere i due tipi di comunicazione, conviventi nello stesso "canale" informativo, è l'aver presente che l'informazione pubblica serve alla diffusione di notizie utili alla collettività intera, mentre la pubblicità serve a diffondere notizie utili ad incrementare i profitti economici dei suoi committenti (coloro che la promuovono e la producono).

Per la convivenza promiscua dei messaggi, informativi pubblici e pubblicitari privati, nello stesso "canale" informativo, può verificarsi, a volte, il caso di un conflitto in termine di contenuti, conflitto di cui non si conoscono gli effetti sul pubblico (specie dei giovani) che li percepisce e li registra nei suoi schemi mentali. Ad esempio, è possibile vedere esposti contemporaneamente, nelle strade di una città, messaggi pubblici, informativi, di raccomandazione a non abusare dell'alcool, e messaggi pubblicitari, privati, che esaltano i "pregi" di una bevanda alcoolica.

Secondo una definizione monolaterale, cioè dal solo punto di vista dei promotori di essa, la pubblicità è l'attività aziendale che è diretta a far conoscere l'esistenza o ad incrementare il consumo e l'uso di un bene o un servizio. Le aziende fanno attività pubblicitaria principalmente (ma non solo) attraverso i mezzi di comunicazione di massa: (radio, televisione, giornali e periodici, internet, ecc...)

Indice

[modifica] Storia & Scopo della Pubblicità

La pubblicità ha radici antiche, almeno sotto forma di propaganda. A Pompei si possono leggere ancora oggi delle scritte, sui muri delle case romane distrutte dal vulcano nel 79 d.C., che invitano i passanti a votare per un certo candidato all elezioni politiche. Ma di pubblicità vera e propria si può parlare solo dopo l'invenzione della stampa. Il primo annuncio pubblicitario si fa risalire al 1630 e apparve su un giornale dell'epoca:si trattava di una semplice inserzione che richiamava il nome del prodotto. Con la rivoluzione industriale, l'aumento della produzione di merci e lo sviluppo del consumismo si è imposto poi il modello pubbliciario che noi conosciamo:il prodotto di una scienza che usa tecniche raffinate e si avvale dell'apporto di psicologi, artisti, disegnatori e registi famosi. È un fenomeno che coinvolge masse enormi di persone ed è un'industria che investe ingenti capitali, impiega intelligenze sopraffine e dà lavoro a milioni di persone. Per quale scopo? La pubblicità non vuole solo portare il pubblico alla conoscenza del prodotto, ma intende vendere la propria merce, richiamando l'attenzione su di essa per condizionare le scelte dei consumatori e spingerli a desiderare di possedere proprio quell'articolo.

[modifica] La pubblicità in Italia

[modifica] Le origini

La comunicazione pubblicitaria nasce e cammina parallelamente alle esigenze economiche, sociali, politiche e culturali di un paese.

Alla fine del XIX secolo l'Italia era ancora un paese prevalentemente ad economia agricola, con una situazione di povertà molto diffusa e con enormi differenze socio-economico tra il Nord e il Sud del paese ed un’alta percentuale di analfabetismo. Le prime comunicazioni pubblicitarie (al tempo chiamate reclame) iniziano a diffondersi con la nascita dei giornali tra la metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Sulle ultime pagine dei quotidiani, quali la "Domenica del Corriere", la "Tribuna Illustrata" e l’"Illustrazione Italiana", appaiono i primi comunicati pubblicitari.

Agli inizi la pubblicità veniva fatta principalmente con solo testi e disegni, anche se la maggior parte della popolazione era analfabeta ed erano molto pochi coloro che potevano leggere i giornali, e la pubblicità era molto semplice ed immediata. Spesso si usavano i verbi all'imperativo: "Bevete..", "prendete..", "Al vostro farmacista chiedete..".

Con la pubblicità murale la comunicazione si sviluppa e grazie all’opera di artisti famosi quali Leonetto Cappiello, Leopoldo Metlicovitz e Marcello Dudovich, diventa una vera e propria forma d’arte.

[modifica] La SIPRA e la pubblicità nella televisione italiana fino agli anni '80

La pubblicità arrivò in televisione italiana il 3 febbraio del 1957, ma una norma della Concessione tra il Ministero delle Poste e la RAI prevedeva che gli spazi pubblicitari non potessero superare il tetto del 5% del tempo di trasmissione totale. Si pensò che una massiccia dose di pubblicità televisiva avrebbe potuto danneggiare gli altri mezzi (giornali, cinema, manifesti, …) che traevano profitto, in parte o del tutto, dalla vendita di spazi pubblicitari. Inoltre la logica del “palinsesto pedagogizzante”, secondo la formulazione di Gianfranco Bettetini, prevedeva pochi spazi per la pubblicità. Le comunicazioni pubblicitarie vennero ghettizzate in un contenitore che ebbe, però, un grande successo e diventò anche occasione di sperimentazione di linguaggi e personaggi, nonché un vero fenomeno di costume: Carosello.

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Carmencita
Miguel

Carmencita e Caballero, popolari testimonial della Lavazza in un celebre - e celebrato - Carosello degli anni settanta ideato da Armando Testa

Carosello conteneva quattro o cinque messaggi pubblicitari di una lunghezza che oggi sarebbe al di fuori del budget di qualsiasi investitore pubblicitario. Al suo interno si raccontavano vere e proprie storie da cui sono usciti modi di dire e personaggi celebri: dal celeberrimo "Ava, come lava!" pronunciato dal pulcino Calimero, ad un irrimediabilmente calvo ispettore Rock che, dopo aver indotto i malfattori a tradirsi, concludeva con la fatidica frase "anch'io ho commesso un errore: non ho mai usato brillantina Linetti". La gestione degli spazi pubblicitari fu affidata alla SIPRA (Società Italiana Pubblicità Radiofonica e Affini), una società con partecipazione maggioritaria dell’IRI e della RAI, che già esisteva dal 1926 con lo scopo di raccogliere e gestire i proventi pubblicitari per la radio. Questa società ebbe, con l’avvento della televisione, un grande sviluppo e si trasformò in uno degli strumenti più potenti di sottogoverno del Paese e in un organo di censura. Ogni ciclo di spot costava circa 1 milione e mezzo di lire e la produzione era affidata completamente ai privati, ma con la supervisione della SIPRA stessa che poteva decidere sulla messa in onda o meno del ciclo e che, quindi, svolgeva vere e proprie funzioni di censura.

Ma l'importanza che assunse la SIPRA per il mondo politico è legata al poco spazio destinato alla pubblicità televisiva dalla RAI, di gran lunga inferiore a quanto le imprese erano disposte ad investire. Tra domanda e offerta di spazi pubblicitari vi era una forte sproporzione che non poteva essere equilibrata dal libero gioco del mercato perché le tariffe pubblicitarie della RAI erano determinate da accordi tra il governo e gli editori di giornali e venivano tenute basse, al di sotto del prezzo di mercato, sempre per non danneggiare gli altri mezzi di comunicazione. Così la SIPRA, grazie al meccanismo del “minimo garantito” e al sistema del “traino”, in modo del tutto discrezionale, gestiva la pubblicità non televisiva pilotando le concessioni di spazi pubblicitari anche verso veicoli pubblicitari poco appetibili come, ad esempio, alcuni giornali di partito. Il “minimo garantito” consiste nel garantire ai giornali che le affidavano la raccolta della propria pubblicità, ancora prima di iniziare la raccolta vera e propria, delle inserzioni con un minimo annuale. Non riuscendo a procurare l'eccessiva pubblicità garantita a certe testate, la SIPRA ricorreva a una sorta di ricatto: ammetteva a far pubblicità in radio o in televisione quelle aziende che accettavano di stipulare contratti pubblicitari con giornali o riviste. “Qualche anno fa ditte di detersivi dovettero fare pubblicità sul Carabiniere, e la campagna della MiraLanza dell'olandesina finì sulle pagine dell'Avanti!, dove mi pare difficile ci possano essere lettori interessati al prodotto”, sostiene Renzo Zorzi, presidente dell'Upa, l'associazione che riunisce oltre 400 aziende che fanno l'80% della pubblicità circolante in Italia. [...]Stavamo pianificando la pubblicità di una penna alla televisione”, rincara Alberto Vitali, presidente dell'Otep, associazione d'una cinquantina di agenzie di pubblicità, e ci siamo sentiti chiedere 10 milioni di pubblicità di quotidiani, e 12 milioni per il Borghese e Successo”.

In un sistema monopolistico, i clienti si trovano, nei confronti della SIPRA, nella spiacevole condizione di “prendere o lasciare”, così molte aziende erano costrette a vedersi destinare la propria pubblicità su spazi per i quali non avevano interessi.

Questo sistema ha permesso quello che spesso viene rimproverato alla SIPRA, il finanziamento occulto dei partiti, infatti, nel cartello delle testate gestite dalla SIPRA, fino alla fine di fatto del monopolio, vi erano organi ufficiali di partito: Il popolo della Dc, L'Unità e Rinascita del Pci, l'Avanti! e Mondoperaio del Psi, l'Umanità e Ragionamenti del Pli; la pubblicità in esubero nel sistema televisivo indirizzata verso queste testate favoriva economicamente i partiti interessati.

[modifica] L'avvento di Publitalia '80

La creazione di Publitalia '80 era la risposta ad un insuccesso: Telemilano aveva scelto come propria concessionaria Publiepi, una concessionaria legata al gruppo San Paolo, che non riusciva a raggiungere risultati adeguati secondo gli obiettivi prefissati da Silvio Berlusconi. L’imprenditore di Milano 2, allora, decise di fondare una sua agenzia. Da subito, Publitalia iniziò ad avere successo, nel 1980, appena nata, raggiunse 12 miliardi di fatturato e l’anno successivo toccò i 78 miliardi di lire. La nuova concessionaria di pubblicità sconvolgeva tutte le regole portando sul mercato degli spazi pubblicitari tre innovazioni di rilievo:

  1. Publitalia andava a ricercare i potenziali clienti
  2. non poneva grossi limiti quantitativi e proponeva sconti e incentivi
  3. alla sua base non vi erano agenti che lavoravano a percentuale, ma squadre di consulenti ben formati

La SIPRA, per via del monopolio, era abituata ad aspettare i propri clienti che arrivavano alla concessionaria solo tramite le agenzie. I funzionari commerciali di Publitalia, invece, andando a scovare i possibili clienti, sollecitandoli con offerte spesso personalizzate e proponendo differenti combinazioni e sconti, permisero di scavalcare le agenzie, questo fece entrare nel circuito della pubblicità una larga fetta di quelle aziende, formatesi nell’espansione imprenditoriale degli anni settanta, che prima erano escluse garantendosi per sé questo tipo di clientela.

Nel regime monopolistico della SIPRA dominavano i prezzi fissi, Publitalia fece sì che il mercato pubblicitario statico e privo di inventiva, diventasse fantasioso, estroverso, complicato. Questo nuovo modo di porsi stuzzicava gli investitori abituati ad avere contatti con il sistema rigido della SIPRA, ad esempio, fu introdotto l’inedito metodo delle royalty: con l’azienda che ha stanziato un certo investimento, Publitalia concorda determinati obiettivi di vendita per i quali verifica, con propri controlli, la fattibilità in termini di distribuzione e l’efficacia di vendita; poi stima il volume di pubblicità televisiva necessario per raggiungere gli obiettivi e fornisce gli spazi occorrenti per colmare la differenza tra copertura ottenibile con l’investimento fissato dall’azienda e la copertura ottimale calcolata. Se le vendite superano gli obiettivi fissati, l’azienda riconosce alla concessionaria una percentuale progressiva sulle vendite; se, invece, la soglia non viene raggiunta, gli spazi pubblicitari restano gratuitamente. Un simile metodo per il mercato italiano fu una novità sconvolgente e molti investitori si rivolsero a Publitalia.

L’organizzazione interna basata su squadre di consulenti ben formate secondo i principi del marketing e secondo le nuove tecniche d’analisi del mercato, permetteva a Publitalia di attuare tutte le novità di cui era portatrice. Grazie a Publitalia, Berlusconi vinse la concorrenza di Rusconi e Mondadori e intaccò in maniera sostanziale il monopolio esercitato dalla SIPRA nel mercato della pubblicità e quindi quello della RAI nell’ambito televisivo. Al tempo stesso, però, Publitalia riformò il sistema e ripropose il modello accentratore: la raccolta pubblicitaria viene compiuta a livello nazionale, gli investitori sono le grandi aziende nazionali, non viene stimolata la domanda decentrata né la collaborazione tra rivenditori, concessionari, ecc…

In questo modo Publitalia e SIPRA tolgono alle emittenti televisive locali qualsiasi possibilità di affrancarsi dal loro controllo e di poter contare su di un sufficiente patrimonio d’ordini d’acquisto. Publitalia rappresenta lo strumento che consente l’affermazione delle reti Fininvest e che, alla fine, determina l’immobilismo del mercato radiotelevisivo attraendo, assieme alla SIPRA, tutte le risorse disponibili e quindi rendendo impossibile l’avvento di nuovi competitori. Ma mentre la RAI e quindi la SIPRA, hanno subìto delle restrizioni e hanno avuto dei limiti per le imposizioni normative, Publitalia si è sviluppata ed espansa liberamente tanto che la concessionaria di Fininvest (oggi Mediaset), è stata più volta accusata di posizione dominante. Secondo dati UPA, Publitalia mantiene, infatti, una quota di mercato pari al 40%.

Oggi la principale concessionaria di pubblicità è decisamente Publitalia '80. Nel 2000 ha raggiunto un fatturato di 4.844 miliardi di Lire, pari a poco più di 2.500 milioni di euro, quasi il doppio di quello della SIPRA che era di 2.800 miliardi di lire (1.446 milioni di euro). Senza guardare a Publitalia non si riesce a comprendere come un imprenditore, per quanto bravo, sia riuscito ad insidiare il primato consolidato della RAI e a strutturare a proprio vantaggio il mercato televisivo.}}

[modifica] Limitazioni alla pubblicità televisiva in Italia

Il tetto del 6% di spot pubblicitari rispetto al tempo globale delle trasmissioni giornaliere, è stato considerevolmente elevato nel tempo. Attualmente, il limite è al 18% della programmazione oraria. Un emendamento della stessa legge Gasparri prevede lo scorporo della televendita dall'attività pubblicitaria. Per tal motivo le televendite non sono più soggette a questo limite.

[modifica] Opposizione alla Pubblicità

All'inizio del XXI secolo, ogni francese viene a trovarsi esposto quotidianamente a circa ottocento messaggi pubblicitari: televisione, manifesti, radio, addirittura attraverso il contatto con qualcuno che indossi abbigliamento di marca, ecc. I marchi sono onnipresenti nella nostra società. Alcuni individui e movimenti sono contrari all'influenza di questo fenomeno, e militano contro di esso.

La critica si esercita a tre distinti livelli:

  • il contenuto e il contenente;
  • gli abusi;
  • l'essenza stessa del fenomeno Pubblicità.

[modifica] Critica del contenuto

La pubblicità ha poco tempo per interagire, essa utilizza dunque dei mezzi criticabili per migliorare la propria efficacia.

[modifica] Necessità del cliché

Avendo poco tempo per far passare un'idea, la pubblicità utilizzerà spesso preconcetti. La pubblicità utilizza dunque spesso stereotipi e cliché tradizionali: la donna (bionda) è in cucina, l'uomo (bianco) al lavoro, e i bambini (felici) in una casa confortevole, magari anche con un pizzico di simpatico esotismo. Tuttavia, a volte succede che essa utilizzi dei contro-ruoli, allo scopo di richiamare l'attenzione del consumatore. D'altra parte, se essa cerca a volte di essere provocatoria, perfino scioccante (vedi il caso della Gran Bretagna e la sua prevenzione stradale), essa non cessa di riproporre i suoi supporti, che sono passati dalla donna prosperosa al bambino del giorno d'oggi. Al di là dei cliché, la pubblicità cerca di sedurre attraverso una immagine "politicamente corretta", come il bambino, e più generalmente, il "bebè" che si ritrova adatto sia per l'automobile (Opel), sia per il fast-food (Mc Donald).

[modifica] Appello alle pulsioni elementari

Cercando di essere efficace, essa utilizzerà ogni volta che sia possibile un richiamo, un appello a sentimenti o istinti forti, saltando a piè pari la riflessione ragionata. La pubblicità vedrà dunque un fiorire di offerte piene di pin-up, o di maschi super palestrati. Georges Bernanos va ancora oltre in questa visione, affermando che i motori di scelta della pubblicità sono semplicemente i sette peccati capitali, per la ragione che è molto più facile appoggiarsi sui vizi dell'uomo che sui suoi bisogni. Ancora la pubblicità a cui fa riferimento l'autore citato non esisteva ai suoi tempi nella forma attuale. Allora consisteva soprattutto di piccoli annunci e "reclame".

[modifica] Necessità della novità per la novità

Non è facile farsi notare in mezzo a settemila messaggi pubblicitari. La pubblicità dunque cerca di provocare per incidere meglio sulla mente.

Il committente desidera spesso esprimere un'immagine di novità e audacia (tecnica o artistica). Una pubblicità spinta utilizzando simboli religiosi o simili, oppure che non esiti a fare uso della violenza, può essere una pubblicità vincente in termini di influenza sul pubblico. D'altra parte è noto che le scariche di adrenalina rendono più efficace la memorizzazione.

Si comprende dunque perché, tra stereotipi, sesso e violenza, la pubblicità sia criticata, e anche, talvolta, condannata penalmente.

[modifica] Deformazione dello spirito critico

La pubblicità, per definizione, insiste sulle qualità di un prodotto, senza sottolinearne i difetti (non è in effetti il suo compito). Il pubblico sa generalmente che la pubblicità è una forma di menzogna, anche solo per il fatto di quanto omette di informazione,

* sia perché è sicuro delle scelte che sa di poter fare da solo,

* sia perché se ne può infischiare, nella misura in cui essa non riguarda prodotti che lo interessino. Uno studio della Harvard Business Review ha confermato che l'impatto della pubblicità era grande per i prodotti nei confronti dei quali il consumatore è indifferente (esempio, detersivi), e nullo per quelli che gli stanno molto a cuore (religione, ecc).

[modifica] Manipolazione dell'inconscio

Edward Bernays (1891-1955), pubblicitario, ammette nel suo libro "Propagande" (1928): "coloro che hanno in mano questo meccanismo [...] costituiscono [...] il vero potere esecutivo del paese. Noi siamo dominati, la nostra mente plasmata, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite, da gente di cui non abbiamo mai sentito parlare. [...] Sono loro che manovrano i fili...

Bernays non si riferisce soltanto alla propaganda politica, bensì alla pubblicità, i cui strumenti sono gli stessi: la sua campagna per la American Tobacco Company negli anni 1920, per incitare le donne a fumare, consistette per esempio nell'associare visivamente in maniera costante la sigaretta e i diritti o la libertà della donna. Questa campagna fece aumentare le vendite a tal punto che la società Philips Morris riprese più tardi questa idea per gli uomini, e lanciò il famoso cow-boy Marlboro.

[modifica] Gli abusi

Come ogni attività, la pubblicità è sottoposta ad una regolamentazione e ad una deontologia.

Nessuna regolamentazione protegge ancora (2006) il consumatore dal martellamento di un singolo messaggio ripetuto parecchie dozzine di volte in una settimana. Eppure la ripetizione a questo ritmo di messaggi monotoni e uguali al telefono o nella strada aprirebbe il diritto ad una querela per "assillamento" [harcèlement], reato riconosciuto e sanzionato.

Degli organi pubblici o privati si incaricano di fare rispettare le regole (ogni paese ha le proprie). Esistono anche organi di etichettamento (ad esempio, per la connotazione di pubblicità adatta a tutti), organi di controllo (nei paesi liberi questo controllo si esercita a posteriori, per non assumere la forma di censura), e anche i tribunali possono essere investiti di questo compito. Questo controllo si esercita sul contenuto (non troppo sesso o violenza, per esempio) o sulla forma (distinzione chiara tra ciò che è espresso come puro messaggio pubblicità promozionale e il contenuto con sottintesi informativi, ludici o altro). Possono ugualmente esistere regolamentazioni riguardanti certi mezzi di trasmissione di pubblicità, che non esisterebbero senza di essa (i pannelli pubblicitari stradali, ovviamente).

Succede anche che le regole non siano applicate affatto, e che le autorità preposte al controllo non diano prova di un grande zelo per porvi rimedio. Anche associazioni come Paysages de France (in Francia appunto), cercano di limitare l'estensione della pubblicità oltre i limiti permessi dalla legge, attuando questa difesa dagli abusi sia attraverso il gruppo di pressione presso le autorità, sia passando direttamente alle vie legali.

[modifica] Critica della pubblicità fine a sé stessa

Dei movimenti (raggruppati in Francia sotto il termine di Antipub, tra cui i famosi Adbusters) considerano la pubblicità nefasta di per sé, al di sopra delle critiche ai contenuti, che sono inevitabili.

* La pubblicità distrarrebbe in senso pascaliano, cioè essa farebbe perdere di vista cose più importanti.

* Martellando con messaggi su soggetti di minore importanza, essa porta inconsciamente a percepire come minori i soggetti che non sono esposti (Kurt Vonnegut).

* Essa farebbe parte di un sistema economico vizioso, erigendo a norma sociale il consumo di beni inutili, perfino pericolosi, e i comportamenti compulsivi e sedentari nocivi in generale per la salute fisica e mentale (che dovrebbero poi essere presi in carico da nuovi prodotti o dai servizi sociali)

* La pubblicità cercherebbe di manipolare lo spirito di chi la guarda o ascolta. Il disegnatore Willem usa l'espressione "colonizzare il nostro cervello". Questo argomento è in particolar modo diretto contro le campagne di imposizione dei marchi, il cui scopo è quello di incidere il nome di un marchio nello spirito del consumatore, piuttosto che descrivere le qualità del prodotto. Di fatto, è stabilito che una casalinga di meno di cinquanta anni può tenere a mente solamente tre marche di detersivi. Per un produttore di detersivi è vitale far parte dei tre.

* La pubblicità contribuirebbe a ridurre l'importanza dei lettori per i media. I media sono principalmente finanziati dalla pubblicità, a scapito crescente del contributo dei lettori, degli ascoltatori o degli spettatori. Questa posizione sottomette i media agli inserzionisti, sottraendoli alla critica, sul principio che "non si morde la mano che ti procura il cibo". Certi "media" confessano e riconoscono di fare, della collocazione di spazi pubblicitari, il cuore della loro attività. È così che Patrick Le Lay, P.D.-G. della catena privata televisiva francese TF1, ha affermato "Quello che noi vendiamo a Coca-Cola, è parte del tempo del cervello umano disponibile".

* La pubblicità darebbe vantaggio al committente piuttosto che al consumatore: il consumatore riceverebbe passivamente una informazione distorta (la pubblicità), che può solleticare i suoi gusti e i suoi interessi, ma che lo fa in funzione degli interessi del committente, dopo che, grazie a sondaggi e studi di mercato (o per sua esperienza), il venditore detiene una informazione chiara e oggettiva sul comportamento del consumatore, dei suoi desideri, dei suoi criteri di scelta, ecc. Nessuna pubblicità passerà un messaggio di educazione civica, perché rischierebbe di perdere d'efficacia. Quando dei ragazzi aprono una confezione di cioccolata, non li si vede mai, per esempio, gettare la carta in una pattumiera. Questo comportamento si trasmette nella quotidianità delle azioni, spesso all'insaputa degli interessati, visto che la pubblicità vende indirettamente uno stile di vita.

Allo scopo di far passare il loro messaggio antipub, questi movimenti utilizzano metodi pubblicitari classici: uso di stereotipi e slogans, affissioni, mobilizzazione in internet (pubblicità "virale"), propositi e azioni provocatorie miranti a ottenere visibilità sui media, offerta gratuitamente da giornalisti in cerca del sensazionale, ecc. Appare dunque che il loro bersaglio non è la pubblicità in senso ampio (la propaganda), di cui essi si servono senza complessi, ma solamente lal pubblicità in senso stretto (commerciale e privata), cosa che, al contrario, implica almeno una tolleranza per la propaganda non commerciale o controllata da una entità a loro convenienza. Questi movimenti reclutano essenzialmente nell'estrema sinistra.

E' da notare che questi movimenti sono seguiti con un certo interesse dalle stesse agenzie pubblicitarie, sempre pronte a recuperare tutto quanto permetta di veicolare una immagine di "fronde" e di libertà. Si sono quindi visti apparire manifesti pubblicitari ripieni di falsi graffiti antipub, con lo scopo di sollecitare l'attenzione.

La critica secondo la quale la pubblicità provoca poco a poco modifiche irrazionali della visione del mondo vede opporsi la critica inversa: modificare la visione spettatrice è ugualmente l'ambizione normale di ogni artista. Ma, come è molto spesso ripetuto agli studenti nelle scuole di pubblicità, e che spesso dimenticano, la pubblicità non è un'arte, e il pubblicitario non è un artista.

[modifica] Azioni in Francia

Delle azioni in un quadro di legalità sono condotte da gruppi come Resistance à l'Agression Publicitaire, con i gruppi di pressione, o Paysages del France, con promozione di azioni penali, che mirano a modificare i comportamenti o la legislazione. Per limitare la produzione di fogli pubblicitari, il ministero francese dell'ecologia ha addirittura prodotto un autoadesivo con scritto: "Pubblicità? No, grazie" da applicare alle cassette delle lettere.

Si sono verificate anche azioni illegali, che hanno condotto a incriminazioni e processi. Si tratta principalmente della distruzione di manifesti e della rimozione di messaggi pubblicitari nella metro di Parigi. Azioni simili avuto luogo anche in altre città francesi, Marsiglia, Montpellier, Grenoble, Lyon, Clermont-Ferrand, Toulouse, ma anche in Belgio.

[modifica] Bibliografia

  • Alberto Abruzzese, Metafore della pubblicità, Genova, 1988, Costa&Nolan
  • Alberto Abruzzese e Americo Bazzoffia, La casa delle idee, Lupetti Editori di Comunicazione, Milano, 2001, ISBN 8883910516
  • Alberto Abruzzese e Fausto Colombo, Dizionario della pubblicità, Bologna, 1994, Zanichelli
  • Luis Bassat e Giancarlo Livraghi. Il nuovo libro della pubblicità. Milano, Il Sole 24 Ore, 2005. ISBN 88-8363-725-9
  • Ceserani G., Storia della pubblicità in Italia, 1988, Laterza
  • Vanni Codeluppi., Che cos'è la pubblicità, 2003, Carocci Editore
  • Vanni Codeluppi, La sfida della pubblicità, 2006, Franco Angeli
  • Giampaolo Fabris, La pubblicità: teorie e prassi, 1997, Franco Angeli
  • Falabrino G.L., Pubblicità serva padrona, 1999, Il Sole 24 Ore
  • Ferraro G., La pubblicità nell'era di internet, 1999, Meltemi Editore, Roma
  • Marco Giusti, Il grande libro di Carosello, Milano, 1995, Sperling&Kupfer
  • Perrucci A. - Richeri A. (a cura di), Il mercato televisivo italiano nel contesto europeo, 2003, Il mulino
  • Daniele Pitteri, La pubblicità in Italia. Dal dopoguerra ad oggi, Bari-Roma, 2002/2006, Laterza, ISBN 8842079995
  • Daniele Pitteri e Paola Papakristo, Archeologie della pubblicità, Napoli, 2003, Liguori
  • Volli U., Semiotica della pubblicità, Bari-Roma, 2003, Laterza
  • Assocomunicazione - Elenco associati

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

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