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Utente:Nuni - Wikipedia

Utente:Nuni

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Asperger: un popolo invisibile - di Giusi Parisi - luglio 2006

Intervista a Nuni Burgio, una giovane donna che riconoscendo, “a posteriori”, in se stessa, da bambina, la presenza di parecchi sintomi caratteristici della sindrome di Asperger, ci racconta le proprie esperienze di vita e la sua probabile convivenza con questa patologia “nascosta”

Quarantatrè anni, architetto, nonchè esperta in comunicazione ed immagine, moglie e madre di un ragazzo di 19 anni, Nuni, nonostante, divenuta adulta, abbia riscontrato in se stessa molti segni rivelatori di questa malattia, si è integrata nell’ambito sociale e lavorativo, conducendo un’esistenza pressochè normale.

Quando ti sei accorta che, molto verosimilmente, da piccola, rientravi nella sindrome di Asperger e cosa te l’ha fatto capire?

“C’è una letteratura medica, in merito, molto approfondita, nella quale ho potuto verificare, ad una ad una, tutte le difficoltà ed anomalie di crescita, dal punto di vista fisico, metabolico, comportamentale e sociale, a cui sono andata incontro da piccola. Per fortuna, la memoria dei miei genitori non è andata perduta, essi mi hanno sempre descritto com’ero allora, in modo dettagliato. Questo puzzle d’irregolarità, apparentemente slegate, ha preso forma, attraverso i loro racconti e l’esatta ricostruzione dei miei ricordi”. “Ero una bambina schiva, mai sorridente, diffidente e sempre all’erta, acuta ed insondabile. Mi appartavo spesso, solitaria e silenziosa ma, tuttavia, attenta, poichè ascoltavo e recepivo tutto. Anche se venivo definita una ribelle, in realtà, mi sentivo solamente “aggredita” da troppi stimoli, fisici, mentali ed ambientali”. “Ero anche goffa ed impacciata, una caratteristica piuttosto comune fra gli Asperger ma, a fronte di enormi sforzi di comprensione, riuscivo a coordinare ogni movimento, spesso in maniera soddisfacente. Incontravo grandi ostacoli nella memorizzazione e sovente sia le idee, sia i concetti acquisiti mi “scivolavano” via, perdendosi in un apparente ed assoluto vuoto mentale. Nessuno capiva, né io realmente davo a vedere, i “grossi macigni” con cui dovevo scontrarmi quotidianamente”.

“A livello sensoriale, ero costantemente iperstimolata, avendo un indice di sensibilità altissimo nella percezione dei rumori, degli odori e del contatto fisico. Tutto era, per me, motivo d’irritazione: le urla mi giungevano come dei boati, i fuochi d’artificio mi creavano il panico, le cuciture delle maglie rappresentavano degli strumenti di tortura. Ero, perciò, continuamente traumatizzata da fatti, gesti, situazioni ed oggetti normali e giornalieri: ciò che, per gli altri bambini, era semplice da fare, per me costituiva una disperazione da affrontare in prima persona e da superare ad ogni costo”.

“Le relazioni sociali ed affettive erano molto complicate; infatti, avevo un’ottica davvero disarmante di considerare le circostanze: non c’era né mio, né tuo, non comprendevo il sotterfugio, i giri di parole, le bugie, le situazioni non chiare e manifeste, le promesse mancate, la violenza, la mancanza di collaborazione, la competizione ed i segreti. Nel mio mondo davvero limpido, la contraddizione costituiva una barbarie inspiegabile ed inaccettabile: col tempo non sono cambiata, ma ho soltanto elaborato degli espedienti per sopravvivere ugualmente”.

“Rifugiarmi nella gabbia dorata di un tacito isolamento era l’unica via d’uscita per staccarmi da un mondo troppo invadente. I miei interessi si rivolgevano frequente, verso delle ricerche che potevano diventare senza fine: come se seguissi un’affascinante linea retta, da non abbandonare mai, nemmeno quando mia madre mi chiamava ripetutamente ed io non ero presente con nessuno dei miei sensi; mi dicevano, allora, che molte persone intelligenti sono così. Si trattava, in effetti, di un’inabilità funzionale, dovuta ad una ricerca inconsapevole di una spasmodica “auto - riparazione”, di cui nessuno era a conoscenza, a quei tempi e, forse, neanche oggi”.

Dal punto di vista pratico, quali erano le tue limitazioni?

“Mi accorgevo che qualcosa non andava nel mio “train de vie” quotidiano, anche se era difficile spiegare quale fosse il problema di fondo. Vivevo nella paura ed, allo stesso tempo, in uno stato di perenne curiosità nei confronti della vita e di tutto ciò che era possibile apprendere. Il mondo, la gente, mi apparivano incomprensibili nelle loro dinamiche relazionali, facendo molta fatica ad accettare le regole ed ad uniformarmi ad esse; legittimavo, quindi, la mia diversità, anche se non ne coglievo gli esatti contorni”.

“La mia capacità creativa ha rappresentato, per me, un grande vantaggio, costituendo il mio passe-partout ed il mio ombrello protettivo; anche l’arte e la cultura mi hanno recato notevoli benefici e soddisfazioni. Dando l’impressione di essere timida e sicuramente molto lontana da ogni tipo di atteggiamento vezzoso, mi era stata appiccicata l’etichetta di “intelligente = è normale che sia un po’ eccentrica”, facendo rientrare qualunque mio comportamento sotto quella giustificazione, la quale ha costituito, al contempo, la mia fortuna e la mia condanna”. “Percepivo, la mia intelligenza come uno dei tanti segnali anomali del mio essere. Ho avuto, però, la costanza e la fiducia di non smettere mai di cercare la mia vera normalità, cioè un sano equilibrio di vita. Non esisteva un legame tra le mia capacità di comprensione e di linguaggio e quelle, reali e concrete, di mettere a frutto le cognizioni e le abilità. Questo stupiva tutti, poichè pensavano che potevo, ma non volevo, secondo una convinzione condivisa anche da me”.

“Invece, le cose non stavano proprio così: avevo sì le potenzialità, ma non sapevo agire, se non in condizioni per me imperscrutabili e non governabili. A tal proposito, indagando psicologicamente non ne sono mai venuta a capo: avvertivo l’esistenza di un’irregolarità nel funzionamento, ma non mi sono mai arresa all’idea di essere solo “troppo intelligente”, o viziata, o pigra, o sensibile, od ingenua. Intorno ai 40 anni, infine, il castello di carta dell’intelletto è crollato e mi sono trovata ad un bivio: potevo vivere veramente oppure sarebbe stato inutile continuare. Sono precipitata, quindi, in una corsa verso il basso, sofferta e silenziosa, finchè, un giorno, quasi inavvertitamente, è avvenuto un cambiamento di rotta: ho smesso di fumare”.

“Questo ha segnato l’inizio della vita vera; dopo un mese, infatti, avendo riscontrato i primi straordinari benefici, ho capito, con estrema chiarezza, quale fosse il mio problema: ero avvelenata ed intossicata, ma non soltanto dalla nicotina. Desideravo, quindi, più di ogni altra cosa, depurarmi; mi tuffai allora in internet e trovai l’autismo, argomento con cui ero entrata in contatto, per la prima volta, 10 anni prima. Nel 1994, infatti, avevo intuito di essere autistica, ma i bimbi affetti da questo male erano davvero gravi, molto più di me che, invece, possedevo molte abilità. C’era, quindi, qualcosa che non quadrava. All’incirca nello stesso anno, qualcuno aveva cominciato a parlare di sindrome di Asperger ma, all’epoca, non la conoscevo, l’autismo era rimasto, per me, un conto in sospeso”.

“Iniziai a documentarmi su questa malattia, ma le informazioni che ne acquisivo, mi lasciavano molto perplessa, perché raccontavano di genitori anaffettivi oppure inadeguati, di traumi, di psicofarmaci, di anomalie genetiche, di cattiva sorte, di terapie della mente ma, soprattutto, di una diagnosi che non offriva nessuna speranza di guarigione. L’autismo è altro, mi dicevo, queste letture psicologiche suggeriscono solo ipotesi e soluzioni incomplete. Poi, un giorno, entrai in un portale di genitori di piccoli affetti da questa patologia, in cui si trattava dei disturbi, delle cure, di diete, di biomedicina, di avvelenamento, della sindrome autistica”.

“Cominciai così ad approfondire queste tematiche, trovando tutto il “necessaire” per intraprendere il mio personale viaggio verso la vita vera. Le parole che risuonavano imperative nel mio cervello, erano orientate a favore di un riordino totale del mio metabolismo, in quanto il corpo, ancor prima della mente, era stato danneggiato, ma non troppo, soltanto quel tanto che bastava per farmi soffrire “leggermente”, ma costantemente, di tutto”.

Chi sono gli Asperger e perché sono chiamati così?

“L’Asperger è, nello spettro autistico, il soggetto meno lesionato. Questa denominazione, che trae origine da Hans Asperger, il medico tedesco il quale, definì i canoni dell’autismo, indica la sindrome e non la persona, poichè, fra i membri delle tante community internazionali sorte nel web di tutto il mondo, le persone affette da questa patologia usano chiamarsi semplicemente Aspie”.

“Ad oggi, secondo le teorie mediche più avanzate, l’autistico è un individuo il quale, probabilmente per una concausa di fattori scatenanti, è ipersensibile ad ogni sostanza tossica che, accidentalmente, entra nel suo corpo e va a modificare, più o meno pesantemente, il suo metabolismo. (Parliamo, per esempio, di amalgame dentarie, del contatto con il mercurio presente all’interno dei termometri, nonchè nei vaccini in qualità di conservante e come residuo di lavorazione, dell’alluminio, di pesticidi e diserbanti, di antibiotici assunti in concomitanza con i vaccini e di tutti quegli elementi, apparentemente innocui per la maggior parte delle persone, che si rivelano, invece, altamente nocivi e devastanti per gli autistici)”.

“Quest’alterazione, quindi, innescando un meccanismo “a catena”, produce ulteriori danni neurologici e fisici che creano, come conseguenza, dei disturbi relazionali, sociali e di comunicazione, oltre a ritardi e deficit nelle abilità. Questo, perciò, è l’autismo, secondo le nuove frontiere della medicina; poi, in relazione all’entità maggiore o minore d’intossicazione, avvelenamento o sensibilizzazione, avremo dei soggetti più o meno gravemente danneggiati”.

Secondo quanto ti risulta, questa sindrome è un fenomeno diffuso?

“Molto più di quanto si possa pensare. Purtroppo, per gli adulti, ottenere una diagnosi è pressoché impossibile, poiché la sindrome di Asperger, ufficializzata soltanto nel 1994, riguarda i bambini e ricade solamente sotto la giurisdizione della psichiatria e della psicologia, venendo a mancare quindi il necessario completamento biochimico delle cure. Gli adulti, inoltre, hanno sopperito, in qualche modo, alle loro problematiche e si sono adattati, alcuni addirittura in una forma molto soddisfacente, dal punto di vista sociale. I sistemi diagnostici attuali non contemplano l’uso di esami di laboratorio che vadano ad indagare la natura biochimica della sindrome, trascurando completamente tutti i molteplici squilibri metabolici di cui gli aspies ed, in misura notevole, gli autistici, sono affetti”. “Da ciò nasce l’invisibilità dell’Asperger, troppo sano per essere autistico ma, al contempo, troppo malato per essere sano. Si tratta, dunque, di una gravissima “terra di nessuno”, ricolma di tante sofferenze, veramente superflue: gli individui affetti da questa patologia, infatti, potrebbero avere una vita molto più serena ed ai piccoli autistici potrebbero aprirsi delle reali prospettive di miglioramento dei propri standard di vita”.

“La cura in sé è quasi ovvia: si cerca e si ripristina ogni disfunzione, integrando ciò che il corpo non riesce a produrre autonomamente oppure ad assimilare, improntando, al contempo, una terapia biomedica “ad hoc” personalizzata per il singolo paziente, in quanto né l’autismo, né l’Asperger sono malattie monosintomatiche, ma ciascun soggetto presenta delle lesioni metaboliche individuali, diverse di caso in caso.

Tornando alla tua personale esperienza, qual è stato il tuo percorso evolutivo?

“Non avendo subito dei danni particolari, sono riuscita, attraverso delle compensazioni, a raggiungere dei traguardi importanti nella mia vita: mi sono sposata, ho avuto un figlio durante il periodo universitario, mi sono laureata. Eppure non ero felice: percepivo degli ostacoli, non giustificati, in tutto ciò che intraprendevo. La mia carica vitale e l’assoluta tranquillità psichica che sentivo di avere, mi tenevano in piedi rispetto ad una stanchezza fisica e mentale, profusa in ogni mia azione. Recentemente, mi sono dunque rivolta ad un medico che segue i protocolli della biomedicina e della riorganizzazione neurologica. Dopo aver effettuato parecchie analisi cliniche per accertare eventuali irregolarità digestive, ho adottato un regime alimentare atto a ristabilire le mie funzionalità metaboliche, inserendovi quegli elementi che il mio organismo non è ancora in grado di assimilare”.

“Si tratta di pratiche mediche, ma concertate all’interno di un programma terapeutico ben articolato, da non identificare, dunque, affatto, come medicina alternativa rispetto a quella tradizionale: parliamo di medicina ufficiale quindi, ma capace di ascoltare ogni singola sofferenza del corpo, ancor prima di quella della mente. Il secondo step sarà la rimozione dal mio organismo, per quanto è possibile, di tutti gli agenti tossici (metalli pesanti, prodotti chimici, ecc:), che sono concorrenti alle suddette alterazioni. In concomitanza seguo un programma di organizzazione neurologica”.

La scoperta di essere stata, probabilmente, affetta da questa sindrome, nella tua infanzia, ha modificato la tua vita?

“Sì, direi che l’ha addirittura rivoluzionata. Attualmente, riorganizzando ed integrando la mia dieta, ho visto sparire, quasi immediatamente, quella specie di “cappa grigia” e di senso di distacco che, da sempre, mi avevano accompagnato fedelmente; sono, inoltre, riaffiorati dei ricordi perduti ed ho sentito tornare la piacevolezza dell’olfatto. I miei sensi si sono come risvegliati e le mia capacità, sia di organizzazione mentale, sia di concentrazione, sono sensibilmente migliorate”.

“Dal punto di vista fisico, ho visto letteralmente sparire fastidiosi sintomi, quali: iperacidità, senso di gonfiore, aridità dei capelli, secchezza della pelle, una certa rigidità muscolare, nonché piccoli episodi di asma, dovuti alle cattive condizioni intestinali. Ho visto, inoltre, regredire anche le molteplici affezioni allergiche che mi affliggevano: comincio, dunque, adesso, a beneficiare di una maggiore forza fisica, avendo eliminato tanti problemi con cui avevo imparato a convivere, reputandoli normali”.

“Per quanto riguarda le relazioni con il prossimo, credo che la sindrome possa portare ad una diversa percezione e sensibilità verso il mondo esterno, alimentando sia il bisogno di semplicità nei rapporti, sia l’esigenza di pace e di quiete. Quella particolare ricettività dell’ambiente circostante e delle sue contraddizioni sono rimaste, quindi, vive ed immutate oggi come allora”.

“Molti aspies trovano, perciò, la loro identità caratteriale in una sorta di candore sociale collaborativo, nella mancanza d’interesse per l’individualità, in un’assoluta propensione per la conoscenza e per un bene che va oltre le persone, nel rigetto di ogni ridondanza ed artifizio, nel totale disinteresse verso la competizione, il possesso e le aspirazioni mondane. All’estero, molti di loro sono attivi nel far comprendere l’autismo; si tratta, infatti, di una malattia davvero difficile da spiegare e bisogna riconoscere che, nel nostro paese, non esiste ancora una vera letteratura in merito. Tuttavia, a piccoli passi, qualcosa si muove sul serio, anche la stampa nazionale se ne sta occupando, dandone rilievo, ed è possibile trovare nel sito tutti i riferimenti alle iniziative istituzionali, ospedaliere, gli articoli di stampa, ai servizi televisivi e alle testimonianze che confermano, qualora ce ne fosse bisogno, la validità di questo protocollo di cura”.

Che cosa fai per contribuire ad abbattere la “cortina di fumo” che avvolge chi soffre di questa sindrome?

“Attualmente, ho aperto un portale telematico http://www.aspies.it , per aiutare gli adulti che reputano di essere stati colpiti, da bambini, da questa patologia, ad uscire dalla loro invisibilità, individuandosi, e cercando un possibile protocollo medico per curare le loro pluridisfunzionalità. Naturalmente, pur essendo, questo, un campo di esclusiva pertinenza della medicina, ciò che metto a disposizione è uno spunto di riflessione ed un servizio informativo sulla sindrome. All’interno è aperto un forum di discussione sull’argomento. In modo empatico, sono in contatto con il primo portale web nato in Italia, www.genitoricontroautismo.org, che indirizza i genitori di bambini autistici verso terapie biomediche, ormai collaudate in ambito internazionale, ma ancora poco diffuse nella nostra patria. Ogni giorno, infatti, troviamo dei minori affetti da questo male, che compiono dei reali e riscontrabili progressi, offrendo una speranza di regresso delle loro inabilità, tanto che, alcuni di essi, sono avviati a parametri di vita simili a quelli dei loro coetanei normali e sani”.

Palermo, luglio 2006


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