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Moshe Safdie - Wikipedia

Moshe Safdie

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Moshe Safdie nasce in Israele il 14 luglio 1938. Da adolescente, frequenta il Liceo di Reali in Haifa, dove coltiva interessi nella chimica e nelle matematiche. Inizialmente è indeciso su quale carriera intraprendere. Il padre di Safdie era un importatore di tessuti in Israele, ma dopo che tali importazioni furono proibite, emigrò con la sua famiglia in Canada, più precisamente a Montreal. Nel settembre 1955 si iscrive nella Facoltà di Pianificazione all'Università di McGill.

Nel 1960 durante il suo viaggio di studio sul’edilizia urbana nordamericana , piaggio che lo portò in mezzo continente grazie a una borsa di studio della Canadian Mortgage and Housing Corporation, Safdie fu profondamente colpito dallo spreco di terreno e risorse nelle periferie e dall’eccessiva dipendenza dall’automobile come unico mezzo di trasporto. Era assolutamente chiaro che tutta la popolazione non poteva usufruire dell’edilizia residenziale, per il semplice motivo che lo spazio disponibile non sarebbe mai stato sufficiente. Tuttavia era chiaro per Safdie che nemmeno l’alternativa delle abiazioni su più piani poteva essere funzionale, poiché le persone si trovavano allontanate dal suolo, private di una reale intimità domestica per la mancanza di isolamento acustico, senza un’entrata distinguibile, relegati nell’anonimato. Sicuramente la gente preferiva le abitazioni dei sobborghi, nelle quali si poteva godere di cortili privati, di sufficiente distanza dai ricini, di un senso di appartenenza a una comunità. I residenti si sentivano proprietari del proprio spazio. Con la sua tesi Moshe Safdie voleva introdurre una terza alternativa, creando quella che considerava una “nuova forma di edilizia in grado di riprodurre, in un ambiente ad alta densità urbana, i rapporti umani e i comfort della casa singola e di piccoli centri”. Il sistema abitativo che concepì nella sua tesi fondava tre diverse idee architettoniche: una struttura urbana tridimensionale integrata, un metodo costruttivo basato sull’uso di più moduli tridimensionali (scatole) e un altro sistema che poteva essere adattato ad un’ampia gamma di condizioni ambientali. Safdie sviluppò tre diversi sistemi costruttivi, ognuno con la propria struttura e geometria, da utilizzare per dare alloggio a una comunità di cinquemila persone. Il primo sistema (il modulo ripetitivo singolo), non portante, era costituito da unità modulari prefabbricate che lenivano poste all’interno di una struttura di sostegno. Nel secondo sistema (costruzione con muri portanti) gli stessi moduli lenivano assemblati e disposti in modo da sostenere la costruzione. Il terzo sistema (modulo portante) ricorreva a pareti prefabbricate sistemate a reticolo. In generale, questi sistemi e queste idee progettuali tennero applicate per fornire e incorporare i comfort che sembravano spesso mancare nelle case nordamericane: flessibilità, riconoscibilità, privacy, senso di appartenenza alla comunità e uno spazio esterno di proprietà. I moduli, o scatole, lenivano assemblati seguendo varie configurazioni, creando cosi una varietà di tipologie abitative contenenti una o più camere da letto. Grazie alla flessibilità della disposizione dei moduli, era possibile progettare un complesso abitativo senza avere due case uguali. Ogni singola unità abitativa poteva essere riconoscibile come tale dall’esterno, dando man forte alle caratteristiche originali del complesso architettonico in generale. Dato che le scatole erano disposte una sopra l’altra, le solette erano doppie, fornendo un maggiore isolamento acustico e quindi aumentando la sensazione di intimità all’interno delle abitazioni, cosa non ottenibile nei classici condomini cittadini. I moduli lenivano raggruppati e disposti in modo da sembrare quasi privi di sostegno, staccati l’uno dall’altro ma con i tetti che diventavano terrazze esterne per un’altra casa. E infatti la superficie dei tetti era molto ampia per fornire il prezioso spazio esterno privato tanto desiderato dai residenti. Gli spazi interni ed esterni erano estremamente adattabili, dato che le terrazze potevano essere coperte, tenendo cosi incontro alle esigenze dei gruppi familiari. Le scatole erano prodotte industrialmente, seguendo il principio secondo cui il prezzo di ogni ogni unità abitativa era inversamente proporzionale al numero totale di unità prodotte , rendendo cosi possibile la costruzione di un intero villaggio in tempi relativamente brevi e con tanti contenuti. Il complesso era srvito da passaggi pedonali che, insieme agli ascensori e alle scale disposte a distanza regolare, formavano il sistema viario principale che attraversava tutto il complesso. Le strade pedonali e i servizi in comune avevano la finalità di creare un villaggio unito, rispettando però il senso di individuabilità voluto dai residenti.

L’evoluzione del progetto: il progetto iniziale di Habitat, 1964. Inizialmente Habitat venne concepito come un settore di città in cui i servizi residenziali, commericali e istituzionali fossero integrati all’interno di un unico complesso archittettonico, una revisione critica e radicale delle comuni condizioni urbane. Estese superfici inclinate, simili a pendii di colline, formano l’elemento residenziale, dotato di vista sull’esterno sgombra da ostruzione ed esposte alla luce. Nel semiinterrato, parzialmente coperto, erano previsti parcheggi, servizi di trasporto, negozi, scuole, spazi per uffici e una grande rete di parchi che collegasse al resto della città. L’abitazione è formata da una serie di membrane romboidali rivolte verso su-est o sud-ovest, che poggiano su grandi sostegni a forma piramidale alloggianti gli ascensori inclinati e le scale anti-incendio. Ogni tre piani una via pedonale orizzontale funge da corridoio esterno. La struttura della via pedonale è un reticolo spaziale di forma quadrata, all’interno del quale passano i condotti meccanici e le canaline elettriche, distribuiti orizzontalmente su entrambi i lati. La membrana delle abitazioni è composta da scatole di cemento prefabbricate disposte in modo da creare una formazione a spirale, che permette di avere giardini sul tetto in ogni modulo abitativo. Le strutture di sostegno piramidali sono distanziate in modo da lasciar passare aria e luce nelle aree pubbliche sottostanti; la luce e l’aria passano anche attraverso vani vuoti posti fra i gruppi di unità abitative disposte a spirale. Ogni elemento è parte integrante dell’intera struttura. Le scatole di cemento modulare scaricano sforzi verticali sul terreno le travi orizzontali che sostengono le strade possono resistere ai carichi orizzontali del vento e delle onde telluriche, ma in realtà poggiano su scatole che sostengono i pesi verticali. Le intelaiature piramidali sono come enormi stutture ad arco, con i vani dell’ascensore che fungono da falange di compressione, mentre le trombe delle scale sono falange di tensione. Le gambe alla base della struttura piramidale sono fissate a funi di tensione sotterranee che controbilanciano le forze orizzontali. La struttura piramidale ospita i servizi pubblici a livello terra. La proposta originale era costituita da un settore di dodici piani e da uno di ventidue, per un totale di 1200 unità abitative, un hotel da 350 camere, due scuole e un’area commerciale. Al complesso erano annessi rampe circolari per le automobili, parcheggi disposti su vari piani, negozi e uffici sui piani superiori, una linea di trasporto pubblico transitante attraverso il centro di Habitat che serviva le strutture piramidali con gli ascensori che corrono al loro interno. Un insieme di vie pedonali a zig-zag copriva tutta l’area interna del complesso. In questo primo progetto, i residenti potevano uscire da casa e utilizzare le srade pedonali, gli ascensori inclinati e le aree pubbliche restando all’interno del complesso. La proposta fu presentata al Governo canadese per essere approvata come mostra principale all’EXPO ‘67. Il Governo decise di costruire solo una piccola parte del progetto: 158 unità abitative al’interno di un settore da 12 piani. Cosi fu riprogettato e denominato Habitat ‘67.

Il progetto costruito: Habitat ’67 (1964-1967). Habitat fu la più grande mostra a tema dell’Esposizione Mondiale di Montreal del 1967. Realizzato come semplice dimosrazione, il progetto era all’avanguardia nella progettazione e costruzione di edilizia prefabbricata. Come edificio urbano, Habitat riuniva in se le funzioni residenziali, commerciali e di servizio, in modo da creare comunità vitali. Inoltre, esso forniva i comfort delle case monofamigliari attraverso un modulo di costruzione adattabile ad aree altamente popolate, contenendo i costi di edificazione. Ogni abitazione all’interno di Habitat è perciò una casa separata, riconoscibile nello spazio, al secondo o al dodicesimo piano. Su ogni livello le case sono servite da strade pedonali esterne che portano ad aree di gioco per i bambini in numerosi luoghi disposti attraverso tutto l’edificio. Il parcheggio per tutti i residenti è coperto, mentre il parcheggio esterno riservato ai visitatori è scoperto. Al piano terra sono collocati numerosi negozi. Le abitazioni vanno da dimore singole da 57 mq a casa da 160 mq con quattro camere da letto. Con vista su tre lati, ognuno dei quindici tipi di case si apre su almeno un grande giardino con vasi e fioriere fornite di sistema di irrigazione poste sul tetto del cubo sottostante. Il raddoppiamento delle pareti, dei soffitti e dei pavimenti nelle abitazioni adiacenti fornisce un adeguato isolamento acustico. Habitat è una struttura spaziale tridimansionale nella quale tutte le parti dell’edificio, unità abitative, vie pedonali e le tre trombe dell’ascensore fungono da elementi portanti. Per creare 158 abitazioni, sono stati assemblati 365 moduli prefabbricati attraverso tiranti cavi e saldature, in modo da formare un sistema continuo a sospensione. Gli elementi interni di ogni unità abitativa venivnao prodotti, montati e installati in fabbrica, con bagni formati da una sola unità in fiberglass lucidato, cucine prodotte dall’azienda Frigidaire e serramenti costruite in plastica Geon.

Una visione critica del progetto. Habitat è stato creato per infondere vitalità e meraviglia. Ogni singolo elemento è stato creato per far ricordare la bellezza di essere vivi. E infatti i primi che vi vollero risiedere non volevano sentirsi protetti da un ambiente architettonico, ma piuttosto esserne stimolati e ispirati. Il cemento con cui Habitat è stato realizzato non è fatto per essere semplicemente guardato, ma per essere trasceso, percependo lo spazio al di là di esso e all’intorno, lasciando che occhi e corpo lo attraversino. Moshe Safdie riuscì a creare un monumento architettonico mosso dal ritmo boogie-woogie del modernismo, llo dispose su una penisola verde posta fra una città dinamica e un fiume scrosciante, e invitò la gente ad andarci a vivere. Pur non avendo nulla di infantile nello stile, Habitat venne ingiustamente etichettato come il “mucchietto di lego” di Safdie, e molti dei suoi residenti si sono battuti a lungo nel difendere l’incerta reputazione del progetto. A Montreal la grande struttura viene sottovalutata, oppure completamente ignorata: è difficile trovare dei cittadini che abbiano visitato almeno una volta l’opera architettonica più rilevante della regione. La costruzione di Habitat alla fine costò molt di più di quanto preventivato e ciò sicuramente non piacque agli abitanti dell’area di Montreal, ai quali era inizialmente destinato il progetto. Il tallone d’Achille sta nella durezza degli inverni, un punto debole, questo, perennemente bersagliato dai critici. La struttura del complesso disvela le origini israeliane, solari di Safdie. Effettivamente, non si può negare che il vento invernale costituisca un fastidio per gli abitanti di Habitat. Eppure ci sono particolari che non riscaldano il corpo, ma l’anima, come la bellezza della costruzione sferzata dalle bufere, la neve che borda agli angoli, i blocchi di ghiaccio che tuonano e si spezzano lungo le rapide del fiume St.Lawrence. I critici attaccano anche i passaggi pedonali esterni, ancora una volta attribuiti alla visione distorta di un architetto abituato a climi più miti. Stesa sorte per le strade e i vialetti che collegano le varie case fra loro: chi non comprende il progetto, le considera corridoi rovesciati come calzini e messi all’esterno. Habitat è una delle ultime grandi espressioni del Movimento Moderno.


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