Acquedotto Appio
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L'acquedotto Appio (o Aqua Appia), fu il primo acquedotto costruito per l'approvvigionamento idrico della città di Roma che, fino ad allora, si serviva delle acque del Tevere, dei pozzi e delle sorgenti.
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Progettato e iniziato dal censore Caio Plauzio Venox, che ne stabilì la sorgente nei pressi di una strada secondaria tra il VII e l'VIII miglio della via Prenestina (ca. 13° km.), venne realizzato, nel 312 a.C., dal suo collega di censura Appio Claudio Cieco che, essendo riuscito a rimanere in carica oltre la scadenza del collega, si attribuì il merito e il nome dell'opera.
L'esatta dislocazione della sorgente è sconosciuta: probabilmente si è prosciugata nel tempo.
L'intero percorso, completamente sotterraneo a 15 m. di profondità, misurava 11,190 miglia romane[1] (ca. 16,5 km.), ed aveva una portata giornaliera di 841 quinarie[2], poco più di 34.000 mc. Anche del tratto del percorso extracittadino non è ancora stato possibile rinvenire alcuna traccia.
Seguito approssimativamente il tracciato della via Prenestina, il condotto entrava in città nella zona denominata “ad spem veterem”, nei pressi dell'attuale Porta Maggiore. Sempre con un percorso sotterraneo attraversava tutto il colle Celio, per poi uscire all’aperto (in corrispondenza dell'attuale piazza di Porta Capena) e superare l’avvallamento di circa 90 m che separa il Celio dall'Aventino. Per l'attraversamento di questo breve tratto (l'unico scoperto), si serviva delle arcate e della struttura della Porta Capena. Di nuovo sotterraneo, l’ultimo tratto costeggiava il versante settentrionale del colle per terminare nei pressi della Porta Trigemina, nell’area dell'attuale basilica di Santa Maria in Cosmedin. Qui, circa 20 strutture (denominate “castelli”), provvedevano ad una prima suddivisione delle acque per la successiva erogazione idrica alle utenze pubbliche ed all’area portuale.
I pochi resti del condotto che si sono potuti rinvenire forniscono indicazioni sui criteri costruttivi, che non sembra però potessero garantire una buona tenuta stagna: si tratta di una serie di blocchi in tufo forati (con diametro ca. 30 cm), connessi tra di loro ed alloggiati in un cunicolo a sezione quadrata con i tre lati in muratura e una copertura “a volta”.
L'acquedotto Appio fu restaurato tre volte: nel 144 a.C., in occasione della costruzione dell'acquedotto dell'Aqua Marcia; nel 33 a.C., quando Agrippa monopolizzò nelle sue mani il controllo di tutto l'apparato idrico della città; e tra l’11 ed il 4 a.C., ad opera di Augusto.
Con quest'ultimo intervento venne costruito un canale sotterraneo parallelo al condotto principale, che captava acqua da sorgenti poste verso il VI miglio della via Prenestina e, dopo un percorso di circa 9,5 km., si univa all'acquedotto principale nei pressi dell'attuale viale Manzoni. Ne risultava un notevole potenziamento della portata, che in tal modo raggiungeva le 1.825 quinarie (75.737 mc, pari a 876 litri d'acqua al secondo).
[modifica] Note
[modifica] Bibliografia
- Romolo A. Staccioli. Acquedotti, fontane e terme di Roma antica. Roma, Newton & Compton, 2005.