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Zhili - Wikipedia

Zhili

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Zhili (知禮, Wade-Giles : Chih-li, giapponese: Chirei; Siming, 960 – Monti Tiantai, 1028) è stato un monaco cinese buddhista, Patriarca della scuola Tiantai.


Indice

[modifica] La vita

Zhili è il diciassettesimo patriarca della scuola buddhista cinese Tiantai, secondo il suo lignaggio tradizionale. Nacque nel 960 a Siming (provincia dello Zhejiang). Orfano di madre a sei anni, fu mandato dal padre nel monastero della città dove, a quattordici anni, prese i voti da novizio (sramanera, cin. qíncè o qiújí). A diciannove anni, sotto la guida di Yitong, avviò lo studio delle dottrine del Tiantai. Dopo tre anni il maestro si rese conto di non aver più nulla da insegnare a Zhili. Nel 988, morto Yitong, Zhili si trasferisce, nel 991, a Qianfu da dove, nel 995, avendo raggiunto un vasto numero di discepoli rispetto alla capienza del piccolo monastero, decide di trasferirsi a Baoen Yuan che trasformò in un monastero Tiantai. A Zhili vengono attribuite molte opere religiose: dalla stesura di commentari, alla edificazione di centinaia di templi. L'opera omnia di Zhili (il Siming zunzhe jiaoxinglu) si trova al n.1937 del Taishō Shinshū Daizōkyō (T.D.). Zhili morì nel 1028, nella sua vita ebbe circa trenta allievi diretti e ordinò più di settanta monaci.

[modifica] La dottrina

Zhili fu noto per il dibattito contro gli shanwai (fuori montagna), la corrente Tiantai, considerata eretica, capeggiata da Qingzhao e Zhiyuan. Zhili (che rappresentava la posizione degli shanjia, la scuola della montagna ovvero quella del monastero Tiantai) sostenne che la frase dell' Avatamsakasutra (Sutra della ghirlanda fiorita di Buddha, cin.Huayanjing, importante sutra Mahayana): «Non c'è differenza fra la mente, i Buddha e gli esseri senzienti», andava interpretata nel senso che ciascuna di queste tre realtà doveva essere considerata la creatrice delle altre due e viceversa. Questa interpretazione rifiutava dunque l'asserzione cittamatra che la mente fosse la sola fonte del reale e che potesse generare, o manifestarsi, come Buddha o esseri senzienti a seconda se fosse stata consapevole o offuscata. Zhili sostenne che questa asserzione non era una vera identità in quanto alla fin fine la mente possedeva almeno una qualità che alle altre due realtà (Buddha e esseri senzienti) mancava: essere creatrice e non creata. Dal punto di vista di Zhili, invece, ciascuna delle tre realtà (mente, Buddha e esseri senzienti) è creatrice, ciascuna di queste è creata e nessuna è più fondamentale delle altre due. Inoltre Zhili sostenne che l'obiettivo della pratica meditativa (zhiguan) dovesse concentrarsi sull'analisi dei processi ingannatori della mente e non la mera contemplazione della vacuità. La mente risvegliata per Zhili è una mente che grazie alla Triplice verità penetra i processi di generazione del Reale di cui essa stessa fa parte e non una mente che si fonde con l'assoluto e che rischia di fondersi di fatto con un trascedente autogenerato. Zhili ribadì anche la dottrina riguardante il ruolo del male all'interno della natura buddhica. Il male per Zhili non può essere semplicemente eliminato, negato, con la pratica spirituale, ma esso deve essere compreso nella sua essenza e nella sua vera natura alla luce della Triplice verità. In questo senso la dottrina Tiantai si discosta dagli altri insegnamenti buddhisti, anche mahayana, che assegnavano all'ignoranza (sans. avidya, cin. wuming) la responsabilità della sofferenza e del male. Il male, l'ignoranza e la sofferenza compartecipano, per la scuola Tiantai, alla stessa natura buddhica e non ne sono affatto la negazione e quindi non vanno rigettati 'tout court' ma compresi nel loro meccanismo di genesi e di compartecipazione alla realtà.


[modifica] Il dibattito contemporaneo sulle dottrine di Zhili

Il pensiero di Zhili sul "male nella natura di Buddha" ha provocato numerose recenti ricerche in ambito fenomenologico-religioso. In particolar modo il lavoro di Brook Ziporyn Evil and/or/as the Good: Intersubjectivity and Value Paradox in Tiantai Buddhist Thought, pubblicato nel 2000 dalla Harvard University Press, ha provocato esso stesso numerosissimi articoli in riviste specializzate di filosofia e di religioni comparate in tutto il mondo [1]. Il motivo del dibattito è riassumibile nello scritto lasciato da Zhili prima di morire in cui viene letteralmente riportato che: «Non c'è alcun Buddha che non sia un demonio, non c'è alcun demonio che non sia un Buddha». Le domande poste nel dibattito sono sostanzialmente due. La prima riguarda la coerenza tra la dottrina di Zhili con quella del primo Tiantai insegnata da Zhiyi, la seconda riguarda cosa effettivamente implichino questi insegnamenti di Zhili per l'uomo e per il mondo dei suoi valori. Di certo il tema, in ambito del Buddhismo mahayana, è più antico di quanto non sembri. Un accenno lo si riscontra nel Lankavatarasutra (Il Sutra della discesa a Lanka, cin. Lenqiejing), sutra di derivazione cittamatra propugnato anche dalle prime scuola del Buddhismo Chan, dove viene riportato (Cap.6, LXXXII):«Il tathagatagarbha (la natura di Buddha) contiene la causa sia del bene che del male. Esso genera tutte le forma di esistenza. Come un attore riveste diversi ruoli, essendo esso stesso privo di un'anima che gli appartenga». Inoltre la dottrina di Zhiyi richiama costantemente la compresenza, in tutti i mondi possibili, dalle forme infernali ai Buddha, di tutti i mondi possibili. Tuttavia alcuni studiosi contemporanei [2] indicano in Guanding, discepolo di Zhiyi, colui che ha introdotto il tema della compresenza e della necessità del male deviando di fatto dalla dottrina del maestro che su un piano di interpretazione etica era maggiormente coerente con il Buddhismo tradizionale. Ma il tema, controverso, non è ancora stato chiarito. Per quanto concerne invece l'argomento del secondo quesito, ovvero cosa implichi la dottrina religiosa della compresenza e necessità del bene-male, va ricordato che analogo tema, in ambito religioso, religioso-comparato, morale e psicologico, fu affrontato anche da Carl Gustav Jung durante la conferenza, tenutasi a Stoccarda nel 1959 e poi successivamente pubblicata, dal titolo: Gut und Bose in der analytischen Psychologie. [3]. Il lavoro di Jung, tuttavia, focalizzandosi sul valore trasformativo-spirituale di alcuni insegnamenti religiosi, non entrando dunque nelle implicazioni filosofiche del rapporto tra il bene e il male come fa invece il dibattito contemporaneo su Zhili, raggiunge una maggiore coerenza con gli scopi di questi insegnamenti anche nel caso delle dottrine Tiantai. Ciò premesso, se esaminiamo alla luce della Triplice verità la dottrina sul "male" formulata da Zhili potremo darne una lettura più coerente. Dal punto di vista della Vacuità (o della Verità assoluta) il "male" non esiste. La Vacuità infatti non rende conto dell'individualità. Essa è e basta, si manifesta per quello che è: nascita, morte, vita, positivo, negativo, etc., tutto manifesta senza privilegiare uno rispetto all´altro. Dal punto di vista della "Realtà" e "Verità convenzionale", il "male" esiste. Esiste perché la soggettività, l'individualità dell'essere senziente lo percepisce, lo giudica, lo fugge. Perché l'essere distinto nasce, vive, soffre e muore, sogna e desidera, è frustrato nei suoi desideri, impaurito dal dolore, addolorato dall'ingiustizia. La pratica dello zhiguan (giapp. shikan: calmarsi e guardare, discernere), com´è insegnata dalla scuola "Tiantai", è finalizzata a rendere conto di ambedue le "Verità" (assoluta e convenzionale), a leggerne una con lo sguardo dell'altra e tramite questo guardare, a individuare una modalità concreta di esistenza che renda conto di ambedue. L'assolutezza e la finitezza del mondo ma anche il 'grido' dell'individuo al suo cospetto. Questa pratica consentirebbe, secondo la dottrina Tiantai, di realizzare la "Verità di mezzo" o "Verità ultima". La dottrina buddhista Tiantai si distingue quindi nettamente da quella del Buddhismo Hinayana (o Buddhismo dei Nikaya), dove il "male" è frutto (e colpa) dell'ignoranza (sanscrito: avidyā) dell'uomo e solo se questi apporta dei correttivi (per mezzo dell'ottuplice sentiero, sanscrito: mārgasatya) che gli consentano la fuga dal luogo di dolore e dagli attaccamenti (samsāra) raggiungendo il nirvāna, sarà possibile la sua sconfitta definitiva. Ma si distingue anche dalle altre scuole buddhiste Mahayana che considerano il "male" causato dalla mancata percezione della Verità assoluta (paramarthasatya), e dal conseguente permanere nella Verità convenzionale (samvrtisatya). Tale errata percezione, secondo queste scuole Mahayana, può essere sanata esclusivamente dall'ingresso, mediante l'assorbimento meditativo (sanscrito: samādhi) che causa la scomparsa delle nozioni di "soggetto-oggetto", nella Verità assoluta, luogo che come abbiamo visto non consente la presenza del "male". Tutto ciò a scapito dell'individualità, della soggettività, vista, in questo ambito, come negativa percezione 'egoica'. La dottrina Tiantai del "male" segna quindi uno sviluppo rispetto alle dottrine Hinayana e del Mahayana tradizionale (Madhyamika e Cittamatra), le quali avevano già rigettato, sul tema del "male" le soluzioni "trascendentali" di alcune dottrine c.d. induiste. Tali dottrine, come peraltro le religioni abramitiche, avevano infatti di volta in volta proiettato il "male" e la sua causa all'interno di un essere trascendente inferiore (i demoni) affidando la risposta al problema del "dolore" nella speranza di un dio che potesse sanare la presenza sofferente del mondo fenomenico fornendo, magari dopo la morte, la felicità e le risposte complete agli interrogativi esistenziali.

[modifica] Note

  1. ^ Ad esempio: Jee Loo Liu The Paradox of Evil in Tiantai Buddhist Philosophy, Religion Compass Volume 1 Issue 3 Page 398-413, May 2007
  2. ^ Così: Chen, Y-S, Guan-yin-xuan-yi xing-er-wen-ti-zhi-tan-tao (A Study of the Vice Problem in the Significance of Kuangyin Sutra), Zhong-hua-fo-xue-xue-bao, 1992, no. 5, pp. 173–191.
  3. ^ Carl G. Jung Bene e male nella psicologia analitica, Biblioteca Bollati Boringhieri, Torino, 1993.


[modifica] Bibliografia

  • Brook Ziporyn, Evil and/or/as the Good: Intersubjectivity and Value Paradox in Tiantai Buddhist Thought, Harvard University Press, 2000. ISBN 0-674-00248-2


[modifica] Voci correlate



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