Editto di Milano
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L'Editto di Milano (noto anche come Editto di Costantino, Editto imperiale di tolleranza o semplicemente Editto di tolleranza) fu un editto promulgato nel 313 a nome di Costantino I che allora era imperatore d'Occidente, e Licinio, imperatore d'Oriente, per porre ufficialmente termine a tutte le persecuzioni religiose e proclamare la neutralità dell'Impero nei confronti di ogni fede.
Indice |
[modifica] Significato
Costantino (Augusto d'Occidente) scelse Mediolanum (Milano) per far sposare Licinio, che era il suo "collega" d'Oriente, con sua sorella Costanza (febbraio del 313). Durante le celebrazioni, Licinio seppe della rivolta di Massimino Daia in Oriente, e partì. Entrando in Nicomedia (la sua "capitale") pubblicò un editto di tolleranza (che sarebbe in questo caso da definirsi un rescritto, in quanto confermava quello di Galerio). Gli storici, anche i più restii a parlare dell'"Editto di Milano" come H. Jones, concordano comunque nell'attribuire la pubblicazione di questo rescritto alla conseguenza di un accordo intervenuto a Milano tra Costantino e Licinio. E - a rinforzare questa tesi - si concorda sul fatto che se qualcuno doveva essere convinto, questi doveva essere proprio Licinio, che pubblicò il rescritto, perché Costantino da alcuni anni si era convertito alla religione cristiana o ad una religione che vi assomigliava molto (il culto del Sol Invictus). Quindi, Costantino non doveva essere di certo convinto, e Licinio (che non aveva particolari simpatie per i cristiani) doveva essere giunto a questo passo giusto per un accordo con Costantino. A rinforzare la tesi dell'accordo intervenuto a Milano vi è la formulazione dell'editto "di Milano" riportata da Lattanzio ma di dubbia autenticità.
L'editto di Milano aveva avuto un importante precedente in un altro editto di tolleranza religiosa emanato nel 311 da Nicomedia emanato dall'Imperatore Galerio[1]. In esso si concedeva una indulgenza ai cristiani che avendo "assecondato un capriccio erano stati presi da follia e non obbedivano più alle antiche usanze". Il documento continua affermando che
« in nome di tale indulgenza, essi farebbero bene a pregare il loro Dio per la Nostra salvezza, per quella della Repubblica e per la loro città, affinché la Repubblica possa continuare ad esistere ovunque integra e loro a vivere tranquilli nelle loro case. » |
L'Editto di Milano, nel testo che abbiamo oggi, andava anche oltre, stabilendo esplicitamente che i luoghi di incontro ed ogni altra proprietà confiscati ai cristiani ed incamerati dall'erario dovessero:
« ... essere restituite ai cristiani senza richiesta di pagamento o compenso alcuno e senza alcun tipo di frode o imbroglio... » |
Di fatti esso concesse alla Cristianità (e ad ogni altra religione) uno status giuridico equivalente al paganesimo, togliendo quindi a quest'ultimo la qualifica di religione ufficiale dell'Impero e dei suoi eserciti.
Il presupposto storico dell'Editto è da ricercare nella diffusa presenza dei cristiani in ogni strato sociale, con tanti convertiti che occupavano sempre più spesso posizioni chiave nonostante il rischio delle persecuzioni. L'editto ebbe, quindi, l'intento sincretistico di comprendere in seno alla società romana dottrine religiose o filosofiche di origine diversa allo scopo di rafforzare lo Stato.
[modifica] Testo dell'editto
Diversamente da altri casi, dell'Editto di Milano non è mai stata trovata una copia originale. Il suo testo è però riportato nel De mortibus persecutorum, l'opera di Lattanzio che inaugura il genere della storiografia ecclesiastica.
(LA)
« (2)Cum feliciter tam ego [quam] Constantinus Augustus quam etiam ego Licinius Augustus apud Mediolanum convenissemus atque universa quae ad commoda et securitatem publicam pertinerent, in tractatu haberemus, haec inter cetera quae videbamus pluribus hominibus profutura, vel in primis ordinanda esse credidimus, quibus divinitatis reverentia continebatur, ut daremus et Christianis et omnibus liberam potestatem sequendi religionem quam quisque voluisset, quod quicquid <est> divinitatis in sede caelesti, nobis atque omnibus qui sub potestate nostra sunt constituti, placatum ac propitium possit existere. (3) Itaque hoc consilium salubri ac reticissi ma ratione ineundum esse credidimus, ut nulli omnino facultatem abnegendam putaremus, qui vel observationi Christianorum vel ei religioni mentem suam dederet quam ipse sibi aptissimam esse sentiret, ut possit nobis summa divinitas, cuius religioni liberis mentibus obsequimur, in omnibus solitum favorem suum benivolentiamque praestare.
(4) Quare scire dicationem tuam convenit placuisse nobis, ut amotis omnibus omnino condicionibus, quae prius scriptis ad officium tuum datis super Christianorum nomine <continebantur et quae prorsus sinistra et a nostra clementia aliena esse> videbantur, <ea removeantur. Et> nunc libere ac simpliciter unus quisque eorum, qui eandem observandae religionis Christianorum gerunt voluntatem, citra ullam inquietudinem ac molestiam sui id ipsum observare contendant. (5) Quae sollicitudini tuae plenissime significanda esse credidimus, quo scires nos liberam atque absolutam colendae religionis suae facultatem isdem Christianis dedisse. (6) Quod cum isdem a nobis indultum esse pervideas, intellegit dicatio tua etiam aliis religionis suae vel observantiae potestatem similiter apertam et liberam pro quiete temporis nostri <esse> concessam, ut in colendo quod quisque delegerit, habeat liberam facultatem. <Quod a nobis factum est. Ut neque cuiquam> honori neque cuiquam religioni <detrac tum> aliquid a nobis <videatur>. (7) Atque hoc insuper in persona Christianorum statuendum esse censuimus, quod, si eadem loca, ad quae antea convenire consuerant, de quibus etiam datis ad officium tuum litteris certa antehac forma fuerat comprehensa. Priore tempore aliqui vel a fisco nostro vel ab alio quocumque videntur esse mercati, eadem Christianis sine pecunia et sine ulla pretii petitione, postposita omni frustratione atque ambiguitate restituant; (8) qui etiam dono fuerunt consecuti, eadem similiter isdem Christianis quantocius reddant, etiam vel hi qui emerunt vel qui dono fuerunt consecuti, si petiverint de nostra benivolentia aliquid, vicarium postulent, quo et ipsis per nostram clementiam consulatur. Quae omnia corpori Christianorum protinus per intercessionem tuam ac sine mora tradi oportebit. (9) Et quoniam idem Christiani non [in] ea loca tantum ad quae convenire consuerunt, sed alia etiam habuisse noscuntur ad ius corporis eorum id est ecclesiarum, non hominum singulorum, pertinentia, ea omnia lege quam superius comprehendimus, citra ullam prorsus ambiguitatem vel controversiam isdem Christianis id est corpori et conventiculis eorum reddi iubebis, supra dicta scilicet ratione servata, ut ii qui eadem sine pretio sicut diximus restituant, indemnitatem de nostra benivolentia sperent. (10) In quibus omni bus supra dicto corpori Christianorum intercessionem tuam efficacissimam exhibere debebis, ut praeceptum nostrum quantocius compleatur, quo etiam in hoc per clementiam nostram quieti publicae consulatur. (11) Hactenus fiet, ut, sicut superius comprehensum est, divinus iuxta nos favor, quem in tantis sumus rebus experti, per omne tempus prospere successibus nostris cum beatitudine publica perseveret. (12) Ut autem huius sanctionis <et> benivolentiae nostrae forma ad omnium possit pervenire notitiam, prolata programmate tuo haec scripta et ubique proponere et ad omnium scientiam te perferre conveniet, ut huius nostrae benivolentiae [nostrae] sanctio latere non possit. » |
(IT)
« (2) Quando noi, Costantino e Licinio imperatori, ci siamo incontrati a Milano e abbiamo discusso riguardo al bene e alla sicurezza pubblica, ci è sembrato che, tra le cose che potevano portare vantaggio all'umanità, la reverenza offerta alla Divinità meritasse la nostra attenzione principale, e che fosse giusto dare ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che a ciascuno apparisse preferibile; così che quel Dio, che è seduto in cielo, possa essere benigno e propizio a noi e a tutti quelli sotto il nostro governo. (3) Abbiamo quindi ritenuto una buona misura, e consona a un corretto giudizio, che a nessun uomo sia negata la facoltà di aderire ai riti dei Cristiani, o di qualsiasi altra religione a cui lo dirigesse la sua mente, cosicché la Divinità suprema, alla cui devozione ci dedichiamo liberamente, possa continuare ad accordarci benevolenza e favore.
(4) Di conseguenza vi facciamo sapere che, senza riguardo per qualsiasi ordine precedente riguardante i Cristiani, a tutti coloro che scelgono di seguire tale religione deve essere permesso di rimanervi in assoluta libertà, e non devono essere disturbati in alcun modo. (5) E crediamo che sia giusto ribadire che, tra le cose affidate alla tua responsabilità, l'indulgenza che abbiamo accordato ai Cristiani in materia religiosa è ampia e senza condizioni; (6) e che tu capisca che allo stesso modo l'esercizio aperto e tranquillo della propria religione è accordato a tutti gli altri, alla stessa maniera dei Cristiani. Infatti è opportuno per la stabilità dello stato e per la tranquillità dei nostri tempi che a ogni individuo sia accordato di praticare la religione secondo la propria scelta; e su questo non prevediamo deroghe, per l'onore dovuto a ogni religione. (7) Inoltre, per quanto riguarda i Cristiani, in passato abbiamo dato certi ordini riguardanti i luoghi di cui essi si servivano per le loro assemblee religiose. Ora desideriamo che tutte le persone che hanno acquistato simili luoghi, dal fisco o da chiunque altro, li restituiscano ai Cristiani, senza per questo chiedere denaro o un altro prezzo, e che questo sia fatto senza esitazione. (8) Desideriamo anche che quelli che hanno ottenuto qualche diritto su questi luoghi come donazione, similmente restituiscano tale diritto ai Cristiani: riservando sempre il diritto a costoro, che hanno acquistato per un prezzo o ricevuto gratuitamente, di fare domanda al giudice del distretto per ottenere un bene equivalente dalla nostra benevolenza. Tutti quei luoghi devono, in virtù del tuo intervento, essere restituiti ai Cristiani subito e senza indugio. (9) E dato che sembra che, oltre ai luoghi dedicati ai riti religiosi, i Cristiani possedessero altri luoghi che non appartenevano a singole persone ma alla loro comunità, ovvero alle loro chiese, tutte queste cose vogliamo che siano comprese nella legge espressa qui sopra, e desideriamo che siano restituite alla comunità e alle chiese senza esitazione né controversia: sempre restando ferma la possibilità, da parte di quelli che restituiscono senza domandare prezzo, di chiedere un'indennità affidandosi alla nostra benevolenza. (10) Nel mettere in pratica tutto ciò in favore dei Cristiani, dovrai usare la massima diligenza, affinché i nostri ordini siano eseguiti senza indugio, e soddisfatto il nostro obiettivo di assicurare la tranquillità pubblica. (11) E così possa il favore divino, di cui abbiamo già goduto negli affari della più grave importanza, continuare ad accordarci il successo, per il bene della cosa pubblica. (12) E affinché questo editto sia noto a tutti, desideriamo che facendo uso della tua autorità tu faccia sì che sia pubblicato ovunque. » |
(Lattanzio, De mortibus persecutorum capitolo XLVIII)
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[modifica] Note
- ^ Lattanzio, De mortibus persecutorum capitoli XXXV e XXXIV
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