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Cittadinanza italiana - Wikipedia

Cittadinanza italiana

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Copertina di un passaporto italiano rilasciato nel 2004
Copertina di un passaporto italiano rilasciato nel 2004

La cittadinanza italiana è la condizione della persona fisica (detta cittadino italiano) alla quale l'ordinamento giuridico dell'Italia riconosce la pienezza dei diritti civili e politici.

È concessa, senza limite di generazioni, ai discendenti degli italiani emigrati, tramite lo ius sanguinis, anche se non sono ammessi salti generazionali. La quantità di potenziali cittadini italiani, secondo questo criterio, raddoppia l'attuale popolazione della penisola italiana. Nel continente sudamericano si è radicata la maggior parte degli emigrati nella seconda metà del XIX e del XX secolo.

Indice

[modifica] Acquisto e perdita della cittadinanza italiana

Le informazioni legali qui riportate hanno solo un fine divulgativo, possono non applicarsi al vostro caso o non essere aggiornate - Leggi il disclaimer

La cittadinanza italiana si può acquisire:

  • automaticamente, secondo lo ius sanguinis (per nascita, riconoscimento o adozione, da anche un solo genitore cittadino italiano), oppure secondo lo ius soli (solo nati in Italia da genitori apolidi);
  • su domanda, secondo lo ius sanguinis (vedi sotto), per aver prestato servizio militare di leva o servizio civile o avendo risieduto in Italia prima della maggiore età (ius soli);
  • per naturalizzazione, dopo dieci anni di residenza legale in Italia, a condizione di assenza di precedenti penali e di adeguate risorse economiche; il termine è più breve per ex-cittadini Italiani e loro immediati discendenti (ius sanguinis), stranieri nati in Italia (ius soli), cittadini di altri paesi dell'Unione Europea, rifugiati e apolidi.
  • per matrimonio con un cittadino italiano, dopo sei mesi di residenza legale in Italia (o dopo tre anni di matrimonio se residenti all'estero), a condizione di assenza di precedenti penali;
    • le cittadine straniere che hanno contratto matrimonio con un cittadino italiano prima del 27 aprile 1983 acquisivano automaticamente la cittadinanza italiana.

Il diritto alla cittadinanza per ius sanguinis non si prescrive, fatte salve tre condizioni:

  • ogni genitore deve essere stato cittadino italiano alla nascita del figlio;
  • l'antenato italiano nato prima del 17 marzo 1861 (proclamazione del Regno d'Italia) deve essere morto dopo tale data ed essere morto in possesso della cittadinanza italiana;
  • l'antenato donna trasmette il diritto solo a nati dopo il 1 gennaio 1948 (entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana).
  • su domanda, per essere nati in territori già italiani.
  • su domanda, per essere nati in territori già appartenenti al disciolto Impero Austro-Ungarico.

[modifica] Le tappe storiche della legislazione sulla cittadinanza italiana

[modifica] La Costituzione del 1848 (Statuto Albertino)

La Costituzione Italiana e del Regno di Sardegna del 1848 fu la prima norma fondamentale applicata a quella che oggi è l'Italia. L'art. 24 dice:

« Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi. »

Questa lodata eguaglianza davanti alla legge era riferita, però, soltanto agli uomini, giacché le donne erano subordinate all'autorità del pater familias, fatto molto rilevante per la cittadinanza, giacché la soggezione della donna e anche dei suoi figli al marito faceva sì che qualsiasi episodio riguardante la cittadinanza del marito si riversasse su tutta la famiglia. Così accadeva anche per la perdita o il riacquisto della cittadinanza, per esempio per la naturalizzazione in un altro paese.

[modifica] La legge n° 555 del 13 giugno 1912

Nonostante lo Statuto Albertino non facesse nessun riferimento né all'uguaglianza, né alla differenza tra i sessi, l'idea della soggezione della moglie al marito, idea con antecedenti millenari, era presente nella norma fondamentale (nell'idea del legislatore) e sono moltissimi gli esempi nel diritto positivo, come l'art. 144 del Codice Civile del 1939 e, precisamente, la Legge del 13 giugno del 1912, n° 555, "Sulla cittadinanza italiana". La Legge 555 esprimeva il primato del marito nel matrimonio e la soggezione della moglie e dei figli alle vicissitudini che all'uomo potevano accadere in relazione alla cittadinanza. Stabiliva:

  1. Lo ius sanguinis era, come nell'attuale regime, il principio reggente, essendo lo ius soli una ipotesi residua.
  2. I figli seguivano la cittadinanza del padre e solo in forma residua della madre.
  3. La donna perdeva l'originaria cittadinanza italiana in caso di matrimonio con uno straniero la cui legge nazionale le trasmettesse la cittadinanza del marito, come effetto diretto e immediato del matrimonio.

[modifica] La Costituzione Repubblicana del 1948

La Costituzione Repubblicana entrò in vigore il 1° gennaio del 1948. Con il Patto di Salerno dell'aprile del 1944, stipulato tra il Comitato di Liberazione Nazionale e la Monarchia, si decise di sospendere l'elezione tra monarchia e la repubblica sino alla fine della guerra. La Costituzione del Regno d'Italia, del 1848, era ancora formalmente in vigore, dal momento che le leggi che l'avevano limitata erano state, in certa misura, abrogate a partire dal 25 luglio del 1943 (giorno della caduta del regime fascista). Il 2 giugno del 1946 si celebrarono le elezioni. Tutti gli italiani, uomini e donne che avessero compiuto i 21 anni di età, vennero chiamati al voto ai quali furono consegnate due schede: una per il cosiddetto Referendum Istituzionale la scelta tra monarchia e repubblica, l'altra per l'elezione dei 556 deputati dell'Assemblea Costituente.

L'attuale Costituzione Italiana fu approvata dall'Assemblea Costituente nella sessione del 22 dicembre 1947, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1° gennaio del 1948. Il testo originale subi delle modifiche parlamentari.

Venne stabilita una Repubblica Democratica, fondata sul lavoro e la sovranità del popolo, e furono riconosciuti i diritti individuali, come quello del corpo sociale, sulla base del compimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (Artt. 1 e 2).

Gli articoli fondamentali per gli argomenti che, più avanti, verranno sviluppati in relazione alla cittadinanza, sono i seguenti:

L'articolo 3, situato tra i "Principi fondamentali", contiene due incisi.

  • Il primo inciso stabilisce la uguaglianza di tutti i cittadini: "Tutti i cittadini hanno uguale dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinione politica, condizione personale e sociale".
  • Il secondo inciso, integrativo del primo, e non meno importante, aggiunge: " È dovere della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo de la persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

L'art. 29, situato nel Titolo II, "Relazioni Etico-Sociali", che stabilisce: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". Il secondo inciso stabilisce l'uguaglianza tra i coniugi: "Il matrimonio è fondato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia della unità familiare".

Altro articolo di fondamentale importanza è il 136, situato nel Titolo VI, "Garanzie Costituzionali", Sezione I, "La Corte Costituzionale", e il suo testo è il seguente: "Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto con potere di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno seguente alla pubblicazione della decisione". Inoltre in relazione a questo articolo, sempre in riferimento al tema della cittadinanza, è molto importante il secondo inciso: "La decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere e alle Assemblee regionali interessate, al fine, qualora lo ritengano necessario, di verificarne la forma costituzionale"

[modifica] Le sentenze della Corte Costituzionale e le leggi promulgate di conseguenza

[modifica] La sentenza n° 87 del 1975

La Costituzione Repubblicana rimase inattuata dal giorno della sua entrata in vigore in materia di cittadinanza per via materna fino all'anno 1983. Nonostante l'eguaglianza determinata dagli art. 3 e 29 della Costituzione, non fu emessa dal Parlamento nessuna legge che modificasse la mancanza di una norma di diritto positivo che permettesse che il figlio di cittadinanza italiana, e padre straniero, fosse cittadino italiano iure sanguinis.

La sentenza del 9 aprile 1975, n° 87, della Corte Costituzionale, dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, terzo inciso, della legge del 13 giugno 1912, n° 555 ("Disposizioni sulla cittadinanza italiana"), nella parte che prevedeva la perdita di cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna.

Fra i punti fondamenti della sentenza, si segnala che l'art. 10 si ispira alla concezione molto diffusa nel 1912 di considerare la donna giuridicamente inferiore all'uomo e come persona che non ha piena capacità giuridica (a quel tempo non si riconoscevano alle donne diritti politici attivi o passivi), concezione che non rappresenta, ed anzi contrasta con i principi della Costituzione. Si aggiunge che senza dubbio la norma contestata, stabilendo in esclusiva relazione dalla donna la perdita della cittadinanza italiana, crea una disparità di trattamento ingiustificata ed irrazionale fra i coniugi, soprattutto quando non è richiesta la volontà dell'interessata o addirittura contro la volontà di questa. Inoltre si produce una disparità di trattamento ingiustificata fra le stesse donne italiane che si sposano con uno straniero, facendo dipendere da esse la perdita automatica o la conservazione della cittadinanza dall'esistenza o meno di una norma straniera, cioè da una circostanza estranea dalla sua volontà.

[modifica] La legge N. 151 del 1975

Per effetto di tale dichiarazione d'incostituzionalità, nell'ambito della riforma del diritto di famiglia del 1975, fu introdotto l'art. 219 della Legge 151/1975 che consentiva alle donne il “riacquisto” (rectius, riconoscimento) della cittadinanza:

« Articolo 219 Legge 151/1975 - La donna che, per effetto di matrimonio con straniero o di mutamento di cittadinanza per parte del marito, ha perso la cittadinanza italiana prima dell'entrata in vigore della presente legge, la riacquista con dichiarazione effettuata all'autorità competente per l'art. 36 delle disposizioni di attuazione del codice civile. Resta abrogata tutta norma della legge del 13 giugno 1912, n. 555, che sia incompatibile con le disposizioni della presente legge. »

Il termine “riacquisto” appare improprio in quanto con le decisione della Corte Costituzionale è stato pronunciato che la cittadinanza non è stata mai perduta dalle donne interessate, ne era stata mai una volontà della donna in tal senso, e pertanto sembra come più adeguato alla dottrina e alla giurisprudenza il termine “riconoscimento”.

[modifica] La sentenza Nº 30 del 1983

La sentenza n. 30 fu pronunciata il 28 gennaio 1983, depositata in cancelleria il 9 febbraio 1983, e pubblicata nella "Gazzetta Ufficiale" N. 46 del 16 febbraio 1983. Si era proposta questione d'illegittimità costituzionale dell'art. 1, n. 1, della legge 555 del 1912, "nella parte in cui non prevede che il figlio di moglie cittadina italiana, che abbia conservato la cittadinanza pur dopo del matrimonio con lo straniero, abbia la cittadinanza italiana". La sentenza determinò: “L'art. 1, n. 1, della legge n. 555 del 1912 è in chiaro contrasto con l'art. 3, comma 1, (eguaglianza davanti la legge, senza distinzione di sesso, ecc. ) e con l'art. 29, comma 0002 (eguaglianza morale e giuridica dei coniugi)”. La Corte Costituzionale non soltanto ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge del 13 giugno 1912, n. 555, nella parte nella quale non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina; ma pure dell'art. 2, comma 2, della stessa legge, in quanto permette l'acquisizione della cittadinanza materna da parte del figlio soltanto a ipotesi di carattere residuale, giacché in avanti potrà acquisire la cittadinanza in qualsiasi circostanza.

[modifica] Il Parere n. 105 del anno 1983 del Consiglio di Stato

Il parere reso dal Consiglio di Stato, Sezione V, in sede consultiva, n. 105 del 15 aprile 1983 risolve che per forza della Sentenza n. 30 del 1983 della Corte Costituzionale potevano considerarsi cittadini italiani soltanto gli individui nati da madre cittadina a far data dal 1° gennaio del 1948, sul presupposto che la efficacia della sentenza della Consulta non poteva azionare retroattivamente oltre il momento in cui si produce il contrasto tra la legge anteriore e la nuova Costituzione, e per questo prima della data di entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, cioè il 1° gennaio 1948.

[modifica] La Legge Nº 123 del 1983

Sei giorni dopo, il 21 aprile 1983, fu sancito dalla Legge N. 123 che è cittadino per nascita il figlio minore, anche adottivo, di padre o di madre cittadini. Nel caso di doppia cittadinanza il figlio doveva optare per una sola cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età (art. 5). Come si osserva la legge estendeva la cittadinanza ai figli di cittadina che fossero minori al momento della sua entrata in vigore, anche nel caso che fossero adottivi. La stessa legge abrogava la precedente norma che prescriveva l'acquisizione automatica della cittadinanza italiana "jure matrimonii" per le straniere che contraevano matrimonio con un cittadino italiano. Pertanto dalla data di entrata in vigore (27 aprile) veniva sancita l'uguaglianza dei coniugi stranieri innanzi alla legge italiana, e ribadito il principio cardine dell'acquisizione della cittadinanza mediante espressione di una volontà in tal senso.

[modifica] L'attuale legislazione sulla cittadinanza italiana

[modifica] Legge N. 91 del 1992

La Legge n. 91 approvata il giorno 15 febbraio 1992, stabilisce che è cittadino per nascita:

a) Il figlio di padre o di madre cittadini;
b) chi è nato nel territorio della Repubblica se ambo i genitori sono ignoti o apolidi, o se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori, secondo la legge dello Stato di questi (art. 1, comma 1).

Per il comma 2º, è cittadino per nascita il figlio d'ignoti trovato in Italia, se non si prova il possesso di un'altra cittadinanza. È importante l'art. 3, che riproduce, parzialmente, il testo dell'art. 5 de la legge n. 123 del 1983, in quanto considera cittadino il figlio adottivo, anche straniero, di cittadino o cittadina italiani, anche se nato prima della sanzione della legge. Cioè ha stabilito, espressamente, la retroattività per questa situazione.

Ciononostante la legge esclude la retroattività nell'art. 20, disponendo che "... salvo che sia espressamente previsto, lo stato di cittadinanza acquisito anteriormente alla presente legge non si modifica se non per fatti posteriori alla data di entrata in vigore della stessa".

Questa disposizione, ed il Parere n. 105 del 15 aprile 1983, hanno prodotto che i figli di cittadina italiana, e padre straniero, nato prima del 1º gennaio 1948 (data di entrata in vigore della Costituzione Repubblicana) rimangano assoggettati alla antica Legge n. 555 del 13 giugno 1912, nonostante la dichiarazione d'illegittimità costituzionale della Sentenza n. 30 del 1983, della Corte Costituzionale.

Inoltre la Legge 91/1992 ammette in ogni caso il possesso della cittadinanza multipla, già ostacolata dall'art. 5 della Legge 123/1983.

[modifica] Voci correlate

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