Arena di Verona
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(LA)
« De summo montis Castrum prospectat in urbem
daedalea factum arte viisque tetris nobile, praecipuum, memorabile, grande theatrum, ad decus extructum, sacra Verona, tuum. Magna Verona, vale, valeas per secula semper et celebrent gentes nomen in orbe tuum. » |
(IT)
« Dalla sommità del colle il Castello guarda davanti a sé, verso la città, il nobile, distinto, memorabile, grande teatro [l'Arena], fatto con arte degna di Dedalo, con gallerie buie. Grande Verona, addio, vivi nei secoli sempre e celebrino il tuo nome nel mondo tutte le genti. »
|
(Iconografia rateriana)
|
L'Arena di Verona è un anfiteatro romano situato nel centro storico di Verona, icona della città veneta assieme alle figure di Romeo e Giulietta. Si tratta del terzo anfiteatro romano per dimensioni in Italia, dopo quello di Roma - il Colosseo - e l'anfiteatro capuano,[1] ed è sicuramente fra i meglio conservati.
Durante il periodo estivo viene proposto il celeberrimo festival lirico e fanno tappa anche numerosi cantanti famosi. Una manifestazione ormai consolidata nel calendario areniano è anche la serata finale del Festivalbar, proposta in due eventi in diretta tv, dove si stabilisce il vincitore della manifestazione che gira l'Italia nel periodo estivo.
Indice |
[modifica] Nome
Il nome originale sarebbe anfiteatro di Verona, in latino amphitheatrum Veronae, anche se oggi è conosciuto volgarmente come Arena, che deriva dal latino ărēna, ovvero la sabbia che ricopriva la parte centrale degli anfiteatri romani, dove si svolgevano gli spettacoli.
[modifica] L'anfiteatro nel contesto urbano del suo tempo
Per approfondire, vedi la voce Urbanistica di Verona romana. |
L'anfiteatro veronese sorse a circa 70-80 m dalle mura repubblicane della città,[2] di fronte all'angolo formato dalla cinta cittadina a meridione. Questo evidenzia il fatto che non era stato previsto nel progetto originario della città, come ad esempio il theatrvm veronae, anche perché la metà del I secolo a.C. (quando venne rifondata la città all'interno dell'ansa dell'Adige), fu un periodo di guerre civili, e non era quindi realistica la costruzione di un edificio tanto imponente vicino alle mura della città, che avrebbe indebolito, se non addirittura reso inutile, il sistema difensivo: si conclude quindi che l'opera venne costruita in un periodo di pace, che coincide quasi sicuramente con l'inizio dell'età imperiale.[3] A prova di questo, nel III secolo, in un periodo di crisi, anarchia militare e di invasioni barbariche, l'imperatore Gallieno sentì il bisogno di costruire una nuova cinta muraria che includeva anche l'Arena.
Il fatto che l'opera venne costruita esternamente alle mura significa che lo spazio interno era stato ormai quasi completamente edificato.[4] Questa caratteristica, inoltre, impose anche la rivisitazione della viabilità, dato che nell'anfiteatro affluivano decine di migliaia di persone, provenienti dalla città, dall'agro e dai centri vicini, e avrebbero intasato le porte che conducevano ad esso (tra l'altro la via Postumia, che entrava a porta Borsari, era una strada già molto trafficata): vennero quindi rifatte porta Leoni e porta Borsari, e vennero probabilmente creati due nuovi sbocchi minori all'altezza dell'anfiteatro. L'orientamento di quest'ultimo, inoltre, rende particolarmente evidente il collegamento con la città, nonostante sia stato costruito postumo: esso è in asse con il reticolo urbano, in particolare l'asse maggiore è parallelo ai cardini, mentre l'asse minore è parallelo ai decumani. Questo orientamento parallelo a quello della città si spiega principalmente con la necessità di collegare le fognature dell'anfiteatro con il sistema cittadino.
Da notare, inoltre, che la posizione esterna alla cinta muraria consentiva un afflusso da parte dell'agro e da altre città facilitato. Gli spettacoli si tenevano a distanze abbastanza lunghe gli uni dagli altri, dato il loro alto costo, per cui era normale che arrivassero anche abitanti di altre città ad assistervi.
[modifica] Storia
[modifica] Antichità
[modifica] Controversie sulla data di costruzione
La mancanza di fonti scritte circa l'inaugurazione dell'anfiteatro rendono molto difficile fornire una cronologia sicura, tanto che in passato, da diversi studi, sono emerse date molto differenti, un periodo di tempo che va dal I al III secolo, anche se ormai è dimostrato che non può essere stato costruito dopo il I secolo. Lo storico Pirro Marconi propendeva in particolare per la costruzione tra il secondo ed il terzo decennio del I secolo, cioè tra la fine del periodo augusteo e l'inizio di quello tiberiano, mentre più recentemente Luigi Beschi propendeva per la metà dello stesso secolo.[5]
Per datare l'Arena la si può confrontare con l'anfiteatro di Pola, dato che quest'ultimo è il più simile a quello veronese, sia per l'aspetto stilistico che per quello tecnico, ed inoltre appartiene alla stessa area geografica e culturale: le somiglianza sono tali da far pensare che i due siano opera dello stesso architetto e delle stesse maestranze.[5] Per l'anfiteatro di Pola in genere la costruzione viene datata nel periodo augusteo, per cui è probabile che l'Arena sia stata realizzata all'incirca negli stessi anni.
Altri elementi per una datazione vengono forniti la testa di un gladiatore a grandezza naturale, realizzata in tufo: la testa è racchiusa in un elmo nel quale si aprono due fori rotondi, nei queli si intravedono gli occhi. La celata è costituita da due parte che si uniscono esattamente nella metà del viso: queste guancere partono all'altezza delle orecchie abbastanza sottili ma si ampliano fino a coprire tutto il viso, tranne gli occhi. Esse sembrano tenute insieme tramite due correggie incrociate sotto il mento. Questo tipo di elmo si diffonde alla fine dell'età augustea, ovvero circa tra il 10 ed il 20 d.C., e già dopo il 40 questo tipo di elmo si modifica ancora: questo riduce il varco di tempo in cui può essere stato costruito l'anfiteatro, tra la fine del regno di Augusto fino all'inizio di quello di Claudio. Considerando che le statue venivano realizzate alla fine della costruzione dell'edificio si può supporre che l'Arena fosse già completa verso il 30 d.C.,[6] come conferma lo storico Porro Marconi. Oltre all'elmo anche altre decorazioni sembrano portare a questo periodo la datazione della costruzione dell'anfiteatro.
[modifica] Il ruolo dell'Arena nella storia di Verona romana
Per approfondire, vedi la voce Storia di Verona romana. |
La storia dell'anfiteatro nell'antichità è per lo più sconosciuta, anche sa la si può in parte trarre da alcuni fatti che coinvolsero Verona. Ad esempio, con l'inizio della dinastia Flavia, iniziò una guerra tra Vitellio e Vespasiano che coinvolse la città: quest'ultimo infatti la città come fortezza, perché attorniata da campi aperti in cui poteva utilizzare la cavalleria. La cinta muraria cittadina era però ormai inservibile, proprio per la presenza dell'anfiteatro poco fuori dalle mura, costruito in epoca di pace, per cui decise di costruire un vallo ed di far scavare l'Adigetto (un lungo fossato, utilizzato anche nel medioevo) a sud della città. Questo fatto è dunque una conferma del fatto che nel 69 d.C. l'anfiteatro era già stato costruito.
L'imperatore Gallieno fu impegnato in lunghe guerre per fermare le invasioni barbariche del III secolo, durante le quali utilizzo Verona nella sua nuova tattica di difesa elastica, che vedeva i capisaldi nelle città di Milano, Verona e Aquileia. Decise quindi di allargare le mura della città, ed in soli sette mesi, nel 265, costruì 1.300 metri di mura,[7] in cui incluse finalmente l'Arena risolvendo il problema della sua posizione dominante rispetto alle mura di epoca repubblicana, come è attestato dalla scritta sull'architrave di Porta Borsari.
Nel 312 Verona tornò ad essere protagonista nella guerra tra Costantino e Massenzio, quando quest'ultimo si asserragliò dentro Verona e l'esercito costantiniano venne ad assediarlo: l'assalto avvenne proprio all'altezza dell'anfiteatro, che funse per gli assediati da bastione, dato che era molto più alto delle mura di Gallieno. Davanti all'anfiteatro si tennero due dei più importanti scontri di quella campagna: la sortita degli assedianti, che permise a Ruricio Pompeiano di andare a cercare rinforzi, e la battaglia notturna, in cui Costantino fu preso su due fronti, da quello degli assediati e da quello dei soccorsi, anche se riuscì comunque a vincere.[8] Di questa battaglia vi sono due descrizioni, una in un panegirico a Costantino,[9] ed una in un rilievo dell'arco di Costantino, in cui compare la città di Verona sotto assedio: nel rilievo quadrato, sulla sinistra, c'è Costantino protetto da una guardia e coronato dalla Vittoria, mentre sulla sua destra l'esercito attacca la città mentre gli assediati lanciano freccie e giavellotti dalle mura e dalle torri della città. La parte di cinta muraria più a destra, dove mancano le finestre del piano inferiore, era probabilmente quella che inglobava l'Arena.[10]
[modifica] I ludi nell'Arena
I documenti che parlano degli spettacoli dentro l'anfiteatro veronese sono pochi, in particolare l'unico documento letterario giunto fino a noi è una lettera di Plinio il Giovane:
(LA)
« C. PLINIUS MAXIMO SUO S.
Recte fecisti quod gladiatorium munus Veronensibus nostris promisisti, a quibus olim amaris suspiceris ornaris. Inde etiam uxorem carissimam tibi et probatissimam habuisti, cuius memoriae aut opus aliquod aut spectaculum atque hoc potissimum, quod maxime funeri, debebatur. Praeterea tanto consensu rogabaris, ut negare non constans, sed durum videretur. Illud quoque egregie, quod tam facilis tam liberalis in edendo fuisti; nam per haec etiam magnus animus ostenditur. Vellem Africanae, quas coemeras plurimas, ad praefinitum diem occurrissent: sed licet cessaverint illae tempestate detentae, tu tamen meruisti ut acceptum tibi fieret, quod quo minus exhiberes, non per te stetit. Vale. » |
(IT)
« Gaio Plinio al suo Massimo.
Hai fatto bene a promettere ai nostri Veronesi uno spettacolo di gladiatori, i quali da molto tempo ti amano, ti rispettano e ti onorano. Di questa città era anche tua moglie, a te tanto cara, e così ricca di qualità. Era opportuno dedicare alla sua memoria qualche opera pubblica, od uno spettacolo: anzi meglio proprio uno spettacolo, che è quanto di più adatto vi sia per un funerale. In più esso ti veniva chiesto così insistentemente, che il negarlo non sarebbe apparsa fermezza, ma eccesso di rigidità. E mi congratulo con te ancora di più, perché nel concederlo sei stato aperto e generoso; anche così si da prova di magnanimità. Avrei voluto che le pantere africane, che avevi comprato in gran numero, fossero arrivate in tempo: ma, anche se ciò non è potuto avvenire per via del maltempo, hai meritato lo stesso la gratitudine, dato che non è stata tua la colpa se non si è potuti esibirle. Addio » |
Dalla lettera si può trarre che l'amico di Plinio ha offerto alla comunità veronese uno spettacolo di caccia, la venatio, come onoranza funebre per la moglie. Secondo Plinio questa scelta è particolarmente adatta per l'occasione, questo perché originariamente questi generi di spettacoli altro non erano che giochi funebri di origine etrusca o campana.[11]
A Verona sono state inoltre ritrovate alcune iscrizioni funerarie di gladiatori morti combattendo nell'Arena. Quella che ci dà meno informazioni è una lapide mutilata che riporta la scritta [famil]ia gladiatoria.[12] Una seconda iscrizione cita il secutor Aedonius che aveva combattuto a Verona otto volte prima di essere sconfitto, e quindi ucciso alla giovane età di ventisei anni.[13] Un'altra iscrizione appartiene invece ad un reziario, un certo Generosus (nato ad Alessandria d'Egitto), che morì non in combattemento ma a letto. Costui combatté addirittura ventisette volte, per cui doveva essersi ritirato con una somma di denaro tale da bastargli per tutta la vita.[14] Un'ulteriore iscrizione appartiene invece a Pardon, nativo di Dertonensis, e che morì durante l'undicesimo combattimento. L'iscrizione più interessante appartiene però ad un certo Glauco:[15]
(LA)
« D(is) M(anibus)
Glauco n(atione) Muti nensis pugna(rum) (septem) (mortuus) octavia vixit ann(os) (viginti tres) d(ies) (quinque) Aurelia marito b(ene) m(erenti) et amatores huius. Planetam suum procurare vos moneo. In Nemese ne fidem habeatis sic sum deceptus ave vale. » |
(IT)
« Agli dei Mani di Glauco, modenese di origine. Combatté sette volte, morì l'ottava. Visse ventitre anni e cinque giorni. Aurelia dedicò questa tomba al caro marito, insieme ai suoi tifosi. Vi consiglio di prendere ciascuno il proprio oroscopo, e di non avere fiducia nella Nemesi: io me ne sono fidato, e ne sono stato ingannato nel modo che vedete. Addio, stai bene. »
|
Da quanto appare scritto Glauco fece voto per la sua salvezza a Nemesi, una delle divinità più venerate dai gladiatori. Egli avverte però chi legge l'iscrizione di farsi dire anche l'oroscopo, perché il suo voto non è bastato per avere salva la vita. Glauco, sulla cui iscrizione appaiono, tra l'altro, le raffigurazioni delle armi di un reziario (quasi sicuramente, quindi, doveva essere un gladiatore reziario[16]), doveva essere stato un gladiatore di buona qualità, dato che l'iscrizione è stata realizzata anche grazie al contributo dei suoi tifosi.
In una casa di Verona, poco fuori le antiche mura romane, è stato scoperto un mosaico che a come soggetto i giochi gladiatori, databile tra l'età flavia e l'inizio del II secolo. Il mosaico comprende una riquadro centrale: qui, entro cerchi, vi sono elementi geometrici, e tra questi delfini ed elementi vegetali. A margine di questi si trovano i pannelli con le raffigurazioni di gladiatori, in particolare i tre centrali. La funzione di questo mosaico è solamente decorativa, per cui è abbastanza improbabile che rappresenti dei giochi gladiatori tenutisi nell'anfiteatro di Verona, anche se sono presenti delle iscrizioni con nomi di gladiatori, probabilmente famosi gladiatori locali. Nel mosaico sono rappresentati il combattimento tra un reziario ed un secutor, con il reziario a terra e l'arbitro che si interpone tra i due. Sopra c'erano i nomi dei due gladiatori, purtroppo quasi scomparsi, ed una V, che sta per vicit (ha vinto), e sopra il reziario ISS: manca sicuramente la M, per cui doveva esserci scritto MISS, abbreviazione di missus, cioè ebbe salva la vita. Nel pannello centrale c'è un trace e l'avversario (un mirmillone) a terra ed insanguinato. In questo caso l'arbitro alza il braccio del vincitore. Il nome del gladiatore sconfitto è in questo caso visibile, si tratta di Caecro. Nella terza scena vi è la vittoria di un reziario contro un altro gladiatore, che poggia lo scudo a terra in segno di resa.[17]
A Verona è anche verificata l'esistenza di una caserma gladiatoria, grazie ad un'iscrizione conservata presso il museo lapidario maffeiano:[18]
« [...]nis f(ilius) Po[b(lilia)] Lucil(ius) Iustinus equo publico honorib(us) omnib(us) municip(alibus) functus [id]em in porticu quae [d]ucit ad ludum public(um) [c]olumn(as) (quattor) cum superfic(io) [e]t stratura pictura [v]olente populo dedit. » |
Ovvero Lucilius Iustinus aveva ottenuto imporanti cariche e aveva donato alla città quattro colonne, con relativi superficie, pavimento e decorazioni, nel portico che conduceva al ludus publicus.
[modifica] Dal Medioevo ad oggi
L'anfiteatro romano, costruito nella prima metà del I secolo d.C., a cavallo tra l'impero di Augusto e quello di Claudio, è il monumento veronese più conosciuto. Oggi l'Arena è incastonata nel centro storico a fare da quinta a Piazza Bra, ma un tempo, quando i Romani lo costruirono, il monumento fu collocato ai margini dell'urbe, fuori della cerchia delle mura.
L'Arena riassume in sé venti secoli di storia locale, ed è diventata nel tempo il simbolo stesso della città. Il suo culto ha radici lontane, che risalgono all'umanesimo carolingio. La fama goduta dall'anfiteatro nella coscienza civica dei veronesi, porta così via via il monumento ad assumere sempre più il carattere di simbolo stesso dell'antica nobiltà. Di qui le cure per la sua conservazione ed i suoi ampi e numerosi restauri. L'Arena servì sempre e soprattutto per manifestazioni spettacolari: in epoca romana, ad esempio, fu usata per spettacoli di lotte fra gladiatori (munera), tra animali (venationes), e vari tipo di esecuzione (noxii), ed in epoca comunale e scaligera si tenevano all'interno dell'Arena delle lotte giudiziarie: per risolvere processi incerti gli interessati potevano valersi di lottatori professionisti, detti campioni. Il combattimento richiamava la cittadinanza, che parteggiava per uno o l'altro campione, ed i combattenti, nudi ed unti di olio, decidevano con la loro forza le sorti del processo[19]. Lo stesso Dante partecipò ad almeno una di queste lotte giudiziarie, infatti nell'Inferno scrive:
« Qual sogliono i campion far nudi e unti avvisando lor presa e lor vantaggio, prima che sien tra lor battuti e punti; e sì rotando, ciascun il visaggio drizzava a me, sì che 'ntra loro il collo faceva e i piè continuo viaggio. » |
|
Per tutto il Medioevo, fino alla prima metà del Settecento, erano usuali in Arena anche giostre e tornei. Nell'Ottocento, invece, erano saltuariamente rappresentati spettacoli di prosa, eseguiti nel tardo pomeriggio fra la primavera e l'autunno. Nel 1913, nel centenario della nascita di Giuseppe Verdi, venne proposto per la prima volta un melodramma, l'Aida verdiana, cantata dal tenore Zenatello, e in questo modo l'Arena sarà finalmente scoperta per quello che adesso è conosciuto come il primo vero e più importante teatro lirico all'aperto del mondo. Nel 1996, l'Unesco designa Verona come capitale della musica e della poesia, e nel 2001 l'annovera tra le città, il cui valore artistico, è patrimonio dell'umanità.
[modifica] Iscrizioni
Nelle vicinanze dell'anfiteatro sono state trovate alcune iscrizioni che non possono che appartenere ad esso, date le grandi dimensioni. Tra questi uno indecifrabile riporta le lettere S CON,[20] mentre un altro pare essere la dedica dell'anfiteatro, in quanto riporta le lettere [...] ET DEDIT.[21] Un'iscrizione rinvenuta completa è invece la seguente:[22]
« Nomine Q(uinti) Domini Alpini Licinia mater signum Dianae et venatoriem et salientes t(estamento) f(ieri) i(ussit) » |
Vi è scritto che una ricca signora lasciò in eredità, in nome del figlio, una somma per innalzare una statua a Diana, per realizzare uno spettacolo di caccia nell'Arena (una venatio) e dei salientes, che potrebbero essere dei condotti per l'acqua o delle fontane, sempre comunque nell'anfiteatro.
E' stato rinvenuto, inoltre, uno degli originali gradini dell'Arena, in cui è iscritto il numero si posto, cioè I / LOC(US) IIII, LIN(EA) I,[23] ovvero cuneo primo, gradino quarto, posto primo.
[modifica] Architettura
L'elemento base della pianta dell'anfiteatro è costituita dall'ellisse dell'arena (lo spazio centrale in cui si svolgevano gli spettacoli), che fu quasi sicuramente tracciato sul terreno all'inizio dei lavori: il perimetro esterno dell'anfiteatro si ottenne poi tracciando una linea concentrica a quella dell'arena. Questa ellisse base venne ottenuta con quattro cerchi, di cui i due minori (posti lungo l'asse maggiore) ottenuti suddividendo il semiasse maggiore in cinque parti di 25 piedi l'una, due delle quali altro non sono che il raggio preso all'estremità dello stesso asse maggiore. La curva maggiore invece ha un raggio di sette parti da 25 piedi, con il centro all'estremità del prolungamento esterno.
L'arena misura 75,68 m x 44,43 m, ovvero 250 x 150 piedi romani, dunque una cifra tonda, a conferma della semplicità del modulo base utilizzato, con un rapporto tra asse maggiore e asse minore di 5 a 3. La cavea è invece larga 39,40 m, ovvero 125 piedi, mentre il diametro totale è di 152,43 m x 123,23 m, ovvero 520 x 420 piedi romani.[24] Con queste dimensioni risulta essere il terzo anfiteatro in Italia, dopo quelli di Roma e Capua antica.
L'anfiteatro sorgeva su di una lieve preminenza artificiale (mentre oggi si trova sotto il normale livello stradale), e le sue fondazione erano costituite da una platea in opera cementizia. Tra l'anello più esterno e la base del podio vi è un dislivello di 1,60 m.[24] Il drenaggio delle acque, molto importante per un'opera di tali dimensioni, era assicurato da tra cloache anulari poste sotto il pavimento di altrettante gallerie concentriche, che non erano altro che la struttura portante del primo piano. Altre due cloache erano poste lungo l'asse maggiore e minore della struttura, e portavano la acque di scarico fino all'Adige (tra l'altro, una di queste è stata esplorata per circa cento metri). Questo sistema di fogne era molto efficiente, anche per via delle grandi dimensioni: l'altezza si mantiene costantemente sui due metri.[24] Esse furono costruite con tratti di muratura a ciottoli legati con malta, e alternati a file orizzontali di tre mattoni, mentre grandi lastre di pietra fungono da copertura. Una tecnica simile a stata utilizzata per la messa in opera dell'impianto fogniario cittadino.
[modifica] Struttura esterna
L'aspetto del monumento è oggi piuttosto diverso rispetto a quello originale, in particolare per via della mancanza dell'anello esterno, che sarebbe stata la vera facciata monumentale, compito oggi svolto dalla fronte interna, lasciata scoperta dalla terza galleria, presente solo nella cosiddetta ala, composta da quattro archi, l'unico tratto rimasto in piedi della cinta esterna. Questo anello non aveva una funzione portante, ma serviva da facciata monumentale all'opera: le sue arcate riflettevano esattamente gli ambienti vuoti sottostanti la cavea, mentre gli enormi pilastri riassumevano e ultimavano le linee di forza che provenivano dall'interno. La sovrapposizione di tre ordini di arcate rendevano espliciti all'esterno l'esistenza delle due gallerie e del porticato superiore, mentre gli architravi concludevano le volte delle gallerie interne. In questo modo i complessi volumi interni trovano all'esterno un espressione estetica e spaziale.
I collegamenti tra facciata e la costruzione restrostante sono dati solo della fondamenta comuni e dalle volte a botte della terza galleria e di quella soprastante. La facciata è composta da tre ordini sovrapposti di arcate, realizzata interamente con blocchi ben squadrati di una pietra molto comune nella provincia di Verona, il calcare Rosso Ammonitico. Le arcate del primo ordine sono alte 7,10 m, quelle del secondo 6,30 m, mentre quelle del terzo 4,50 m: questa disposizione delle altezze accentua, se visto dal basso, l'impressione dello slancio verticale. I pilastri del primo ordine sono larghi 2,30 m e profondi 2.15 m (quindi quasi quadrati), e su di essi una lesena si conclude con un capitello di ordine tuscanico, al livello della cornice.[25] Gli archi si appoggiano su due semicapitelli, e si concludono sul lato della lesena, poco sopra la sua metà. Al di sopra dei capitelli tuscanici si trova una fascia di blocchi che, sopra ogni arcata, portano il numero di ingresso (oggi sono presenti quelli dal LXIV al LXVII, anche se attorno all'anfiteatro sono disposti altri blocchi con la numerazione), quindi un secondo fascio di blocchi uguali al precedente, che sostengono la superiore cornice. Dato che le arcate, e quindi gli ingressi, erano 72, considerando la numerazione di quelli superstiti dell'ala si può evincere che il numero I doveva essere quello dell'ingresso ovest, a conferma della maggiore importanza di quel settore.[26] La numerazione degli ingressi procedeva in senso antiorario.
Il secondo ordine della facciata è praticamente uguale al primo, se si esclude la minore altezza. Nel terzo ordine vi è invece qualche piccola differenza: i capitelli sono sempre di ordine tuscanico, però sono assenti le lesene, mentre la cornice è costituita da da una trabeazione conclusa da un fregio e un'ulteriore cornice. All'interno si trovavano poi delle mensole utilizzate per sostenere le travi del portico, e certamente non per sostenere il velario, come hanno pensato alcuni studiosi (anche perché con il suo enorme peso le mensole avrebbero potuto sostenerlo solo se poste esternamente).
L'utilizzo dello stesso ordine in tutti gli ordini è tipico di altri anfiteatri, come quello di Nîmes o di Pola.
[modifica] Struttura interna
Partendo dall'interno dell'anfiteatro e muovendo lungo l'asse delle gallerie si trovano un massicio in opera cementizia a 6,80 m dal magine esterno della cavea e quindi la prima galleria, larga 3 m ed alta 3,60 m, seguita dopo 11,18 m dalla seconda, larga 3,30 m ed alta 9,10 m, ed quindi la terza galleria a 14,45 m dalla seconda, larga 4,30 m ed alta 8,15 m.[27] Sopra la galleria più esterna ne sorgeva un'altra (delle stesse dimensioni), che, a sua volta, reggeva il portico della cavea.
Queste tre gallerie concentriche andavano a formare quattro settori. Partendo sempre dall'interno, tra l'arena e la prima galleria è presente il primo ordine di gradinate, il maenianum. Il primo corridoio anulare, detto praecintio, poggiava sulla volta della prima galleria, e separava il secondo ordine di gradinate, tra prima e seconda galleria. Sopra la volta della seconda galleria vi era quindi il secondo corridoio anulare, che separava il secondo dal terzo ordine di gradinate. A questo punto le scale che portano ai vomitori hanno un andamento più complesso ed iniziano ad incrociarsi. Vi era quindi un terzo corridoio anulare che separava terzo e quarto ordine di gradinate. Dopo si alzava un portico, in corrispondenza della galleria più esterna, il cui tetto poggiava sul colonnato antistante la cavea da una parte, e su delle mensole (ancora visibili sull'ala) dall'altra.
L'ingresso più monumentale dell'anfiteatro è posto ad ovest dell'edificio, quindi verso porta Borsari e la via Postumia: qui la volta centrale è alta il doppio delle altre e giunge fin sotto le gradinate della cavea. Il settore ovest doveva quindi essere il più importante,[27] come sembra confermare anche la diversa disposizione delle scale d'accesso rispetto al settore est: nel primo settore (quello ovest) gli ambienti sono simmetrici, in questo modo i corridoi sono realizzati rettilinei e conducono dunque gli spettatori direttamente agli ordini inferiori delle gradinate, mentre nel settore est i corridoi sono piuttosto irregolari, e la maggior parte delle persone veniva incanalato verso gli ordini di gradinate superiori. Al contrario, nel settore ovest la maggior parte degli ospiti era incanalato verso gli ordini inferiori. Inoltre, dall'ingresso monumentale, entrava probabilmente[25]
[modifica] Capienza
Nel momento della costruzione dell'anfiteatro si tenne conto della popolazione presente a Verona, nel contado, ma anche nelle città vicine, dato che gli spettacoli richiamavano spesso molte persone. Si tenne conto certamente anche dello sviluppo demografico futuro, e questo perché la costruzione di una tale opera era molto dispendiosa, e si doveva evitare di dover costruire un secondo edificio (come successe per esempio a Pozzuoli) o di dover ampliare quello già esistente (come a Pola) per errori di calcolo. La capienza è stata calcolata recentemente per gli spettacoli estivi dell'Arena in 22.000 persone, però bisogna tenere conto che, oggi, il palcoscenico occupa circa un terzo dei posti, e che non è più presente il portico nella parte più alta della cavea, per cui si può parlare molto realisticamente di circa 30.000 posti.[28]
[modifica] Leggende sulle origini
Nel corso del tempo ci sono state varie leggende circa l'origine dell'Arena: per un certo periodo nel medioevo si pensò che un veronese fu accusato di un crimine cruento, per il quale venne condannato a morte, e pur di avere salva la vita disse che avrebbe costruito in una sola notte un edificio in cui si potessero svolgere spettacoli: per adempiere alla promessa promise l'anima al demonio, che però non finì il lavoro (da qui sarebbe nata l'Ala) per il sopraggiungere delle preghiere mattutine, che lo scacciarono[29]. Secondo altre leggende medioevali sempre al demonio sarebbe attribuita la sua costruzione, per via della enorme mole dell'Arena, per cui pareva impossibile che esseri umani avessero potuta costruirla[30]. In altre leggende sarebbe stata fatta costruire da Re Teodorico (probabilmente perché fece restaurare l'anfiteatro, e vi fece tenere numerosi spettacoli), oppure ad un console romano fuggito dalla sua patria.
[modifica] Note
- ^ G. Solinas. Storia di Verona. Verona, Centro Rinascita, 1981. p.171
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni. Arena di Verona. Verona, Ente autonomo Arena di Verona, 1973. pp.15
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni 1973, pp.15-16
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.16
- ^ a b F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.32
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.34
- ^ L. Puppi. Ritratto di Verona. Verona, Banca popolare di Verona, 1978. p.80
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni 1973, pp.64-65
- ^ Paneg. IX, 8
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.65
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.40
- ^ CIL XI, 3471.
- ^ CIL XI, 3459.
- ^ CIL XI, 3465.
- ^ CIL V, 3465.
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.59
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.60
- ^ CIL V, 3408
- ^ M. Carrara. Gli Scaligeri. Verona, 1964. p. 116
- ^ CIL V, 3454.
- ^ CIL V, 3453.
- ^ CIL V, 3222.
- ^ CIL V, 3456.
- ^ a b c F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.23
- ^ a b F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.26
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.29
- ^ a b F. Coarelli e L. Franzoni 1973, p.24
- ^ F. Coarelli e L. Franzoni 1973, pp.31-32
- ^ Tratto da verona.com URL consultato il 02-12-2007.
- ^ M. Carrara. Gli Scaligeri. Verona, 1964. p. 113
[modifica] Bibliografia
- T. Lenotti. L'Arena di Verona. Verona, Ed. Di vita Veronese, 1954.
- F. Coarelli e L. Franzoni. Arena di Verona: venti secoli di storia. Verona, Ente autonomo Arena di Verona, 1973.
- F. Spalviero e D. Arich. L'Arena di Verona: duemila anni di storia e di spettacolo. Verona, Accademia di Belle arti G.B. Cignaroli, 2002.
[modifica] Voci correlate
[modifica] Altri progetti
- Wikimedia Commons contiene file multimediali su Arena di Verona