Achille Lauro (nave)
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Achille Lauro | |
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Achille Lauro |
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Descrizione generale | |
Cantiere | De Schelde, Vlissingen, Olanda |
Impostazione | 1938 |
Varo | luglio 1946 |
Completamento | 1947 |
Proprietario | Flotta Lauro |
Destino finale | Affondata, 2 dicembre 1994 |
Caratteristiche generali | |
Dislocamento | 23.629 t |
Lunghezza | 192,4 m |
Larghezza | 25 m |
Altezza | 14,5 m |
Propulsione | 8 motori Sulzer, 4 assi, 2 eliche 23.500 cv |
Velocità | 21 nodi (39 km/h) |
Passeggeri | 152 passeggeri in prima classe, 1.155 in turistica |
L'Achille Lauro fu un transatlantico battezzato in onore del proprietario della sua originale compagnia di navigazione. È famosa per il dirottamento che vi avvenne nel 1985.
Ordinata nel 1938, il suo scafo venne impostato nel 1939 a Vlissingen, Olanda, per i Rotterdamsche Lloyd. La costruzione venne ritardata dalla seconda guerra mondiale e da due bombardamenti e la nave non venne varata fino al luglio 1946 con il nome di Willem Ruys. Venne completata alla fine del 1947 e compì il suo viaggio inaugurale il 2 dicembre 1947. Era dotata di un impianto di desalinizzazione per ricavare acqua potabile dall'acqua di mare. Fino al 1963 rimase in servizio sulla linea Europa-Australia. Successivamente venne usata per crociere nel Mediterraneo.
Nel 1964, venne venduta alla Flotta Lauro e ribattezzata Achille Lauro (dal nome del precedente sindaco di Napoli Achille Lauro). Ricostruita estensivamente e modernizzata nei Cantieri del Tirreno di Palermo rientrò in servizio nel 1966. Nell'aprile 1975, mentre si trovava nello stretto dei Dardanelli entrò in collisione con una nave trasporto bestiame, la Yousset che affondò. Nel 1982 successivamente al fallimento della Flotta Lauro, passò alla Lauro Line (Mediterranean Shipping Company).
Per quattro volte (1965, 1972, 1981 e 1994) fu vittima di incendi, l'ultimo dei quali, scoppiato il 30 novembre 1994 ne causò l'affondamento il 2 dicembre, tre giorni dopo.
Indice |
[modifica] Il dirottamento
Per approfondire, vedi la voce Crisi di Sigonella. |
Il 7 ottobre 1985, mentre compiva una crociera nel Mediterraneo, al largo delle coste egiziane, venne dirottata da un commando del Fronte di Liberazione della Palestina. A bordo erano presenti 201 passeggeri e 344 uomini di equipaggio.
Dopo frenetiche trattative diplomatiche si giunse in un primo momento ad una felice conclusione della vicenda, grazie all'intercessione dell'Egitto, dell'OLP di Arafat (che in quel periodo aveva trasferito il quartier generale dal Libano a Tunisi a causa dell'invasione israeliana del Libano) e dello stesso Abu Abbas (uno dei due negoziatori, proposti da Arafat, insieme a Hani El Hassan, un consigliere dello stesso Arafat [1]), che convinse i terroristi alla resa in cambio della promessa dell'immunità.
Due giorni dopo si scoprì tuttavia che a bordo era stato ucciso un cittadino americano, Leon Klinghoffer, ebreo e paralitico: l'episodio provocò la reazione degli Stati Uniti. L'11 ottobre dei caccia statunitensi intercettarono l'aereo egiziano (un Boeing 737), che, secondo gli accordi raggiunti (salvacondotto per i dirottatori e la possibilità di essere trasportati in un altro paese arabo), conduceva in Tunisia i membri del commando di dirottatori, lo stesso Abu Abbas, Hani El Hassan (l'altro mediatore dell'OLP) oltre ad degli agenti dei servizi e diplomatici egiziani, costringendolo a dirigersi verso la base NATO di Sigonella, in Italia, dove fu autorizzato ad atterrare poco dopo la mezzanotte.
L'allora presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi si oppose tuttavia all'intervento americano, chiedendo il rispetto del diritto internazionale e sia i VAM (Vigilanza Aeronautica Militare) che i carabinieri di stanza all'aeroporto si schierarono a difesa dell'aereo contro la Delta Force statunitense che nel frattempo era giunta su due C-141. A questa situazione si aggiunse un altro gruppo di carabinieri, fatti giungere da Catania dal comandante generale dei carabinieri (il generale Riccardo Bisogniero). Si trattò della più grave crisi diplomatica del dopoguerra tra l'Italia e gli Stati Uniti, che si risolse cinque ore dopo con la rinuncia degli USA ad un attacco all'aereo sul suolo italiano.
I quattro membri del commando terrorista vennero presi in consegna dalla polizia e rinchiusi nel carcere di Siracusa e furono in seguito condannati, scontando la pena in Italia. Per il resto della giornata vi furono numerose trattavive diplomatiche tra i rappresentanti del governo italiano, di quello egiziano e dell'OLP.
Alla ripartenza dell'aereo con destinazione Ciampino si unirono al veivolo egiziano un veivolo del SISMI (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) che era nel frattempo giunto con l'ammiraglio Fulvio Martini (che nelle prime ore della crisi era stato costretto a seguire le trattative solo per via telefonica) e a una piccola scorta di due F-104S decollati dalla base di Gioia del Colle e altri due decollati da Grazzanise, voluta dallo stesso Martini. Nel frattempo un F-14 statunitense decollò dalla base di Sigonella senza chiedere l'autorizzazione e senza comunicare il piano di volo e cercò di rompere la formazione del Boeing e dei velivoli italiani, sostenendo di voler prendere in consegna il veivolo con Abbas a bordo, venendo però respinto dagli F-104 di scorta.[1] [2]
Una volta giunti a Ciampino, intorno alle 23:00, un secondo aereo statunitense, fingendo un guasto, ottenne l'autorizzazione per un atterraggio di emergenza e si posizionò sulla pista davanti al velivolo egiziano, impedendone un'eventuale ripartenza. Su ordine di Martini al caccia venne allora dato un ultimatum di cinque minuti per liberare la pista, in caso contrario sarebbe stato spinto fuori pista da un Bulldozer; dopo tre minuti il caccia statunitense ridecollò, liberando la pista.[1]
Gli Stati Uniti richiesero nuovamente la consegna di Abu Abbas, in base agli accordi di estradizione esistenti tra Italia e USA, senza tuttavia portare prove del reale coinvolgimento del negoziatore nel dirottamento. I legali del ministero di Ministero di Grazia e Giustizia e gli esperti in diritto internazionale consultati dal governo ritennero comunque non valide le richieste statunitensi.[1]
Il Boeing egiziano venne quindi trasferito a Fiumicino, dove Abu Abbas e l'altro mediatore dell'OLP vennero fatti salire su un diverso velivolo, un volo di linea di nazionalità Jugoslava la cui partenza era stata appositamente ritardata. Solo il giorno successivo, grazie alle informazioni raccolte dai servizi segreti israeliani (che tuttavia non erano state consegnate al SISMI durante la crisi, pur essendo già disponibili), si ottennero alcuni stralci di intercettazioni che potevano legare Abu Abbas al dirottamento. La CIA consegnò solo alcuni giorni dopo (il 16 ottobre) i testi completi delle intercettazioni, effettuate da mezzi statunitensi, che provavano con certezza le responsabilità di Abu Abbas,[1] il quale venne processato e condannato all'ergastolo in contumacia.
Secondo le dichiarazioni rese da Omar Ahmad, uno dei membri del commando terroristico, il piano originario dei dirottatori era quello di condurre la nave in un porto militare israeliano, di sparare ai soldati presenti, uccidendone il più possibile, e quindi di fuggire in Libia. La vicenda si svolse invece diversamente, secondo Omar Ahmad, per colpa di Abu Abbas.
Dopo aver lasciato Alessandria e aver effettuato uno scalo in Grecia, l'Achille Lauro si diresse verso Napoli, quando la CIA passò un'informazione, forse proveniente dai servizi egiziani, relativa alla possibile presenza di esplosivo su alcune casse caricate ad Alessandria. Pur non potendo verificare la veridicità dell'informazione il SISMI, in accordo con il comandante della nave, decise per precauzione di far gettare in mare alcune casse di cui non era stato possibile far controllare il cui contenuto. [1]
Il ministro della difesa Giovanni Spadolini ed altri due ministri repubblicani presentarono le dimissioni in segno di protesta contro Craxi, provocando la caduta del governo.
Nel 1990 il dirottamento venne trasformato in un film per la televisione, Il viaggio del terrore: la vera storia dell'Achille Lauro con Burt Lancaster e Eva Marie Saint.
[modifica] L'affondamento
Il 30 novembre 1994, mentre era in navigazione al largo della Somalia, scoppiò un incendio che tre giorni più tardi, il 2 dicembre 1994 ne causò l'affondamento. L'incendio causò due morti uno dei quali schiacciato da una scialuppa di salvataggio durante un'errata manovra durante le fasi di evacuazione e uno per complicanze cardiovascolari, la maggior parte dei passeggeri venne salvato dal vascello battente bandiera panamense Hawaiian King. Una parte dell'equipaggio venne tratta in salvo dalla Fregata Zeffiro della Marina Militare Italiana che rientrava da una missione a Jedda. I passeggeri superstiti vennero scortati nel porto di Djibouti. Secondo la commissione di inchiesta istituita dal ministero dei Trasporti l'incendio fu dovuto al caso.
[modifica] Note
- ^ a b c d e f Fulvio Martini, Nome in codice Ulisse, pag 112 e seguenti, 1999, Rizzoli, ISBN 88-17-86096-4
- ^ (EN) The First Anti-Terror War, articolo del sito acig.org (Air Combat Information Group)
[modifica] Altri progetti
- Wikimedia Commons contiene file multimediali su Achille Lauro (nave)
[modifica] Collegamenti esterni
- (EN) H2G2 article about the hijacking of the Achille Lauro
- (EN) Special Operations.Com Achille Lauro Hijacking
- La testimonianza dell'ammiraglio Martini, all'epoca del dirottamento direttore del Sismi
- La testimonianza di Gennaro Acquaviva, consigliere di Craxi durante il dirottamento
- (EN) Achille Lauro: dati, schemi e immagini
- Intrigo internazionale: l'affaire "Achille Lauro" La Storia siamo Noi - Rai Educational