Pietra leccese
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(Ascanio Grandi - I fasti sacri, 1635)
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La pietra leccese (in dialetto salentino leccisu), detta anche pietra gentile, è una roccia calcarea appartenente al gruppo delle calcareniti e risalente al periodo miocenico. È una formazione rocciosa tipica della regione salentina, nota soprattutto per la sua plasmabilità e facilità di lavorazione.
Questa roccia ha una composizione piuttosto omogenea: l'esame petrografico rivela che è costituita principalmente da carbonato di calcio (CaCO3) sotto forma di granuli di calcare (microfossili e frammenti di fossili di fauna marina, risalenti a circa sei milioni di anni fa) e di cemento calcitico, a cui si legano glauconite, quarzo, vari feldspati e fosfati, oltre a sostanze argillose finemente disperse (caolinite, smectite e clorite), che, nelle diverse miscele, danno origine a differenti qualità della roccia.
La pietra leccese affiora naturalmente dal terreno e si ricava dal sottosuolo in enormi cave a cielo aperto, profonde fino a cinquanta metri[1] e diffuse su tutto il territorio salentino, in particolare nei comuni di Lecce, Corigliano d'Otranto, Melpignano, Cursi e Maglie[2]. Il leccisu viene ricavato in forma di parallelepipedi di varia dimensione; l'estrazione è semplice poiché si lascia incidere con la stessa facilità del legno. Una volta estratto, accade qualcosa di unico: la durezza e la resistenza del leccisu crescono con il passare del tempo e nella consolidazione la pietra assume una tonalità di colore ambrato simile a quella del miele.
Di colore dal bianco al giallo paglierino, la roccia si presenta compatta e di grana fine, a differenza del carparo, altra formazione affine rinvenibile nella stessa zona. Utilizzata sia in campo architettonico che scultoreo, la pietra leccese deve la sua particolare malleabilità alla presenza di argilla, che permette un modellamento al tornio e persino manuale. Apprezzata in campo artistico, ha raggiunto stima internazionale grazie all'artigianato locale che nel corso dei secoli ha prodotto la complessa architettura del Barocco leccese. Esempi significativi sono i fregi, i capitelli, i pinnacoli e i rosoni che decorano molti dei palazzi e delle chiese di Lecce, come ad esempio il palazzo dei Celestini e l'adiacente Chiesa di Santa Croce, la Chiesa di Santa Chiara e il Duomo.
La natura stessa della pietra la rende molto sensibile all'azione meccanica degli agenti atmosferici, all'umidità di risalita del terreno, alla stagnazione di acqua e allo smog. Per rendere il leccisu più resistente alle intemperie, i maestri scultori dell'epoca barocca usavano trattare la roccia con del latte. Il blocco di pietra leccese veniva spugnato o immerso interamente nel liquido; il lattosio, penetrando all'interno delle porosità, creava uno strato impermeabile che preservava la pietra fino a portarla, quasi inalterata, ai giorni nostri.
Nota sin dall'antichità, nella Terra d'Otranto si ritrovano dolmen, menhir, statue e costruzioni romane fabbricati in leccisu. I primi studi geologici risalgono alla seconda metà del XVI secolo, ma si deve a Giovanbattista Brocchi, nel suo studio sulla configurazione geologica salentina (1818), l'identificazione, la prima datazione (fra Secondario e Terziario) e l'origine del nome della pietra leccese. Al suo interno, cavatori e paleontologi hanno rinvenuto fossili rilevanti di cefalopodi, delfini, capodogli, denti di squali, pesci, tartarughe e coccodrilli. Attualmente, l'artigianato della pietra leccese produce souvenir e vere e proprie opere d'arte.
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[modifica] Bibliografia
- ^ Aldo Evangelista, Luciano Picarelli, The Geotechnics of Hard Soils. Soft Rocks, Taylor & Francis, 2000. ISBN 9058090213
- ^ Stefano Milioni, Confartigianato (a cura di) Artigianato in Italia, Touring Editore, 2003. ISBN 8836528066
- Stefano Margiotta, Sergio Negri, Alla ricerca dell'acqua perduta. Nuove conoscenze del sottosuolo nel Salento leccese, Congedo, 2004. ISBN 8880864785
[modifica] Voci correlate
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