Monaca di Monza
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Marianna De Leyva, in religione suor Virginia, meglio nota come la Monaca di Monza o la Signora (Monza, 1575 – Milano, 7 gennaio 1650), è stata una religiosa italiana. Fu la protagonista di un celebre scandalo che sconvolse Monza all'inizio del XVII secolo. La sua fama attuale si deve soprattutto al romanzo I promessi sposi, nel quale Alessandro Manzoni inserì la sua vicenda.
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[modifica] Biografia
I De Leyva erano i feudatari di Monza: Marianna apparteneva dunque alla più potente famiglia della città. Nel 1591, a sedici anni, si fece suora, probabilmente spinta o costretta dai genitori, secondo un costume diffuso all'epoca. Assunse il nome di suor Virginia ed entrò nel convento monzese di Santa Margherita (oggi non più esistente).
Dopo alcuni anni, ella intrecciò una relazione con il nobile monzese Gian Paolo Osio, la cui abitazione confinava con il monastero. Dalla relazione nacque un figlio la cui esistenza venne tenuta nascosta; quindi un'ulteriore gravidanza fu interrotta da un aborto. La situazione precipitò nel 1606, quando una giovane conversa, Caterina Cassini da Meda, minacciò di rendere pubblica la relazione: Osio la uccise e la seppellì presso il convento, quindi tentò di eliminare altre due suore che erano state loro complici, per assicurarsi che non parlassero: affogò l'una e gettò l'altra in un pozzo. Quest'ultima però sopravvisse e denunciò tutto alle autorità, e lo scandalo esplose. Suor Virginia, subito arrestata, fu condannata alla reclusione a vita in una cella murata. Osio invece, condannato a morte in contumacia e ricercato, si rifugiò a Milano presso dei nobili suoi amici, ma essi lo tradirono e lo uccisero per incassare la taglia che era stata offerta per la sua cattura.
Nel 1622, dopo quindici anni trascorsi nella cella murata, suor Virginia fu esaminata dal cardinale Federigo Borromeo e trovata redenta: le fu quindi concesso il perdono e fu trasferita in un convento di Milano, dove visse per altri ventotto anni fino alla morte.
[modifica] I promessi sposi
Ne I promessi sposi, Alessandro Manzoni riprende la figura della "monaca di Monza"; tuttavia cambia i nomi ai personaggi (suor Virginia è chiamata nel romanzo Gertrude, il suo amante Egidio) e ne trasporta la vicenda in avanti nel tempo di alcuni anni (l'azione del romanzo si svolge tra il 1628 e il 1630, oltre vent'anni dopo i fatti reali).
Manzoni descrive come la giovane Gertrude venga monacata a forza, non già con la violenza, ma con una costante e sottile opera di persuasione, iniziata fin dalla sua infanzia, alla quale poco alla volta ella si piega. La successiva relazione con Egidio è lasciata intuire più che descritta; Manzoni la introduce con una frase divenuta proverbiale: quando l'uomo per la prima volta le rivolse la parola, "la sventurata rispose".
In seguito suor Gertrude, su richiesta di fra Cristoforo, riceve Lucia, in fuga da Lecco, e la ospita nel convento; ella le si affeziona e la protegge, ma poi cede alle pressioni di Egidio, complice dell'Innominato, la tradisce e la consegna agli sgherri di quest'ultimo.
[modifica] L'opera di diseducazione del principe padre ne I Promessi Sposi
Gli strani e ambigui atteggiamenti, l’indole enigmatica, l’animo contorto della nostra monaca sono il triste esito di una sottile e approfonditamente studiata opera diseducativa del principe, suo padre, il quale aveva destinato alla monacazione Gertrude, sin dal suo concepimento, ovviamente senza che lei ne fosse al corrente, né, tanto meno, d’accordo. Tale opera consta ha portato a una serie di specifici effetti: tanto per cominciare, la sfortunata giovane, da sempre istradata su un sentiero a senso unico, un sentiero che le era stato definito come prioritario rispetto a qualsiasi altra cosa, non è stata in grado, non per sua colpa quindi, di acquisire quel bagaglio di esperienze di vita, che agevola moltissimo nelle relazioni interpersonali e nel superamento degli ostacoli che la vita spesso ci pone davanti. Infatti, assolutamente priva di ciò, e del tutto all’oscuro di come rapportarsi col prossimo, come ampiamente dimostrato dal lunatico atteggiamento nei confronti delle sue subordinate, Gertrude è cresciuta sentendo il peso di questa carenza; come se non bastasse, l’intera circostanza l’ha portata a patire un senso di disorientamento e confusione di fronte a qualunque tipo di nuova esperienza, come ad esempio la prospettiva della vita coniugale delle coetanee nel monastero oppure l’affetto sincero del paggio. Restando in tema di vero affetto, possiamo affermare con certezza che la poverina non ne ha ricevuto affatto dalla famiglia, né tanto meno dalle corrotte monache, che solevano circondarla di agi e privilegi, esclusivamente perché anche loro rientravano nel terribile piano di plagio della giovane. Inoltre, affrontando il discorso in merito alla “vocazione” di Gertrude, vien da sé affermare che di tutto si tratta meno che di una scelta volontaria: il sottile lavorio psicologico del mostruoso principe prevedeva che si facesse leva sulla superbia e sulla sete di potere, innate nella sfortunata, descrivendo maestose immagini di principessa del monastero. A lungo andare, questo continuo sottostare ai desideri del genitore, l’ha resa estremamente debole e fragile, le ha fatto perdere la percezione della propria autonoma personalità, non permettendole di concepire di essere “altro” dal padre e trasformandola in quella che viene da alcuni definita “una malata di volontà”. E’ per questo che Gertrude, attorniata da figure false e costruite, spinta a fare scelte contro la propria volontà e distrutta dalla propria condizione di sottomessa, di frequente ricorreva allo stratagemma dello splendido ritiro (come definito dal Manzoni) del paradiso dei sogni, nel quale si rifugiava, ogni qual volta volesse evadere dalla prigionia virtuale in cui era segregata, dando sfogo alle fantasie più recondite, spesso, fino ad abusarne ossessivamente.
[modifica] Collegamenti esterni
- Storia della Monaca di Monza
- Lettere autografe della Monaca di Monza sul sito della Biblioteca Ambrosiana
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