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La quiete dopo la tempesta - Wikipedia

La quiete dopo la tempesta

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La quiete dopo la tempesta fu scritta nel settembre del 1829, poco prima del Sabato del villaggio. Entrambi i canti sono considerati dai critici la migliore espressione idillica del Leopardi.

In questo componimento il poeta riesce, soprattutto nella prima parte, a ritrovare negli eventi quotidiani il significato della vita. Il canto è diviso in due parti. Nella prima parte il poeta descrive la gioia degli esseri dopo la fine di un brutto periodo; il loro ritornare, colmi di felicità, alle solite attività. Nella seconda parte subentrano riflessioni filosofiche sulla natura del piacere che il poeta vede solo come momentanea interruzione del dolore; erompe il forte desiderio di vita degli uomini, nonostante ci sia sempre la morte che come una spada di Damocle pende sulla loro testa e li angoscia. È infine presente la ribellione (presentata anche con toni ironici) contro la natura crudele che ci ha generati per soffrire. Da tutto ciò, nasce l’amore leopardiano per la vita che, nonostante i dolori di cui essa è composta, pare inestinguibile. Canzone composta a Recanati, come annotò Leopardi sul manoscritto, nei giorni «17-120 Sett. 1829»; fu pubblicata per la prima volta in Firenze nel 1831, poi nell'edizione Starita del 1835. Tutto lo Zibaldone è pieno di osservazioni sulla vanità del piacere. Da notare, come riporta Alfredo Straccali [1], "nei giorni in cui il poeta scriveva il canto in tutt'Italia generale era il maltempo, che durò per oltre quindici giorni e che stava procurando qua e là gravi danni, come le piene che interessarono la valle del Ticino, la zona del Lago Maggiore, la Lombardia, il Bolognese, l'allagamento di Como, la distruzione di un ponte di barche presso Piacenza sul Po, come riportarono le Gazzette del tempo"

[modifica] Metro

Tre strofe libere (di 24, 17 e 13 versi): l'ultimo verso di ciascuna strofa sempre in rima con uno dei versi precedenti. Il primo verso dell'ultima strofa rima col penultimo della precedente.

[modifica] Tema centrale

Il piacere - guardare la realtà, come ne Il sabato del villaggio, umana, la realtà vicina e quotidiana con l'esperienza di chi molto ha sofferto, molto è stato ed è estraneo al mondo (e che per un momento sembra aver ritrovato una qual certa gioia di vivere), molto ha contemplato l'infelicità umana, ma con gli occhi e l'immaginazione di un tempo, quella che lo aveva guidato nella composizione degli idilli del 1819-21, è il tema della Quiete. "Tornando alla Quiete - scrive De Robertis nel Saggio sul Leopardi[2] - vogliamo insistere sul suo valor di mito, grande tanto più in quanto tocca il fondamento della poesia leopardiana, anzi dell'essenziale ragione della sua vita e del suo mondo: valor di mito, con una sua composizione e scrittura... semplice e familiare, sì che pare incredibile 1'abbia creato un poeta moderno". La Quiete è il canto dell'intimità profonda come geloso e individualizzante ripiegamento nella propria realtà interiore, nella quale trovano il loro modo di esistere i grandi sentimenti della vita non come dolente nostalgia della passata giovinezza; e in questa intimità trova innanzitutto luogo la ricerca della felicità, che diventi un momento "piacevole" della realtà. In questa intimità trovata, anche come rimedio immediato a una condizione esistenziale infelice e distruttiva che lo portava a sentire il soggiorno recanatese come una morte ([3]), nasce la poesia della contemplazione e della rimembranza, come una creazione che resti negli anni e che possa essere goduta. Ritornano alla mente i pensieri del soggiorno pisano, uno dei quali ci sembra particolarmente illuminante ed è contenuto nello Zibaldone: «Uno de' maggiori frutti che io mi propongo e spero da' miei versi, è che essi riscaldino la mia vecchiezza col calore della mia gioventù; è di assaporarli in quella età, e provar qualche reliquia de' miei sentimenti passati, messa quivi entro, per conservarla e darle durata, quasi in deposito; è di commuover me stesso in rileggerli, come spesso mi accade, e meglio che in leggere poesie d'altri: ([4]) oltre la rimembranza, il riflettere sopra quello ch'io fui, e paragonarmi meco medesimo; e in fine il piacere che si prova in gustare e apprezzare i propri lavori, e contemplare da se compiacendosene, le bellezze e i pregi di un figliuolo proprio, non con altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui. ([5])». Tema fondamentale della Quiete non è la visione del passato che muta per qualche momento la visione del presente, che pur dolorosamente affiora, ma quella contemplazione spirituale e filosofica che lo porta a mettere in versi quella teoria del piacere che da molti anni ormai, almeno fin dal 1822, aveva teorizzato e provato e riprovato sulla propria pelle. Nella Quiete si fondono perfettamente alcuni concetti fondamentali della poetica leopardiana:

  • teoria del piacere come figlio dell'affanno,
  • il ricordo della passata gioventù presente nei quadri sia della natura che dei personaggi presenti nella prima parte
  • la natura che non mantiene nella maturità le promesse fatte nella gioventù: i sogni non si realizzano, ma muoiono all'alba della vera vita.

[modifica] Note

  1. ^ Alfredo Straccali, "I Canti di Giacomo Leopardi", Sansoni, Firenze 1910, pag. 193
  2. ^ G. De Robertis, Saggio su Leopardi, pag. 112
  3. ^ vedi il commento a Il sabato del villaggio
  4. ^ Pisa. 15. Apr. 1828.
  5. ^ Pisa. 15. Feb. ult. Venerdì di Carnevale. 1828.


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