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Estetizzazione della violenza - Wikipedia

Estetizzazione della violenza

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L'estetizzazione della violenza nel campo artistico o televisivo o cinematografico è la descrizione della violenza in maniera tale che sia “stilisticamente eccessiva in maniera rilevante e valida” e che il pubblico possa collegare riferimenti dal "gioco di immagini e segni" a quadri, convenzioni di genere, simboli culturali, o concetti.

Indice

[modifica] Potenza della rappresentazione

[modifica] Estetizzazione della violenza nella cultura di massa

Forme di cultura elevata e di massa come la pittura, la letteratura ed il cinema hanno estetizzato la violenza, mostrandola come forma d'arte autonoma. Nel 1991, il professore di letteratura dell'Università della Georgia Joel Black disse che «..[se] c'è un atto umano che evoca l'esperienza estetica del sublime, di sicuro quell'atto è l'omicidio». Black notò che «..se l'omicidio può essere una forma d'arte, l'omicida è una sorta di artista — o un anti-artista — la cui specialità non è la creazione, ma la distruzione». La concezione secondo cui l'omicidio è un elemento artistico ha una longa storia; nel 1890, Thomas De Quincey scrisse che «..tutto nel mondo ha due piani, due facce. L'omicidio, per esempio, può essere messo su un piano morale…e quello, lo confesso è il lato debole; ma può essere anche messo sul piano estetico, come lo chiamano i tedeschi, in relazione al buon gusto».[1] Un numero consistente di registi del ventesimo secolo hanno estetizzato la violenza. Secondo James Fox, il regista Donald Cammell «...cura la violenza come un'artista cura la pittura. [Ha chiesto:] Quali sono i suoi elementi? Qual'è la sua natura? Il suo fascino?»[1] Ad esempio, Thomas Harris ha creato un personaggio fittizio chiamato "Hannibal Lecter", un cannibale interpretato da Anthony Hopkins. Nei film Il silenzio degli innocenti (1991) e Hannibal (2001), i registi Johnatan Demme e Ridley Scott, hanno deciso di creare eccitamento nel pubblico quando il cannibale sta per uccidere e divorare una delle sue vittime.

Nella recensione di Xavier Morales di Kill Bill vol. 1 di Quentin Tarantino, intitolata "Bellezza e violenza", egli definisce il film "una scalpitante estetizzazione della violenza". Morales dice che il film, definito da egli stesso "uno dei film più violenti mai girati", è "un paesaggio mozzafiato in cui arte e violenza si mixano in un'indimenticabile esperienza estetica". Morales sostiene che «...Tarantino riesce a fare precisamente ciò che Alex De Large cercava di fare in Arancia meccanica di Stanley Kubrick: presenta la violenza come una forma d'arte espressiva...[in cui]...essa stessa gratifica chi la fa, alletta visivamente e viene diretta meticolosamente tanto che il nostro istinto, le nostre emozioni, vanno ad eliminare ogni freno inibitore che potrebbe fermarci. Tarantino è capace di trasformare ogni oggetto della sfera morale in bellezza estetica...[in cui]...come tutte le forme d'arte, la violenza serve ad uno scopo comunicativo che prescinde dalla sua valenza estetica». Quando la Sposa «...con maestria affetta e si fa strada [tra gli 88 folli] sentiamo che li sta usando come fossero il quadro che mostri la sua vendetta, come un artista che si esprime con pennello e colori, lei si esprime con spada e sangue».[2]

[modifica] Analisi della violenza estetizzata nei film

I critici cinematografici, trattando sul fatto che "le immagini violente [dei film] istigano il pubblico a provar piacere nella spettacolarizzazione del dolore di altre persone" si dividono in due categorie: quelli che vedono la rappresentazione della violenza nei film come qualcosa di superficiale o come un fattore di sfruttamento dicono che questa porta le platee a divenire totalmente disinteressati alla brutalità, dunque la loro aggressività viene accresciuta.

D'altra parte, i critici che vedono la violenza come un tipo di contenuto, o come un tema, sostengono che fornisce un "effetto catartico o dissipante..., fornendo sfoghi accettabili a impulsi antisociali."[3] Secondo Adrian Martin, questi "critici[,] che hanno considerazione (amore, addirittura) per il cinema violento nelle sue varie forme... hanno sviluppato una... risposta verso coloro i quali screditano qualsiasi cosa da Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976) a Terminator 2 (James Cameron, 1991) come disumanizzante, desensibilizzante le influenze culturali..." Essis sostengono che "...la violenza sullo schermo non è violenza reale, e non deve mai essere confusa con essa. La violenza nei film è divertimento, spettacolo, far credere; è una metafora drammatica, o una catarsi necessaria, simile a quella fornita dal teatro Giacobiano; è generica, pura sensazione, pura fantasia. ha la sua storia in evoluzione, i suoi codici, i suoi precisi usi estetici."[4]

Bruder sostiene che "la violenza estetizzata non è semplicemente l'eccesivo uso della violenza in un film." Pellicole come il popolare film d'azione Die Harder sono molto violente, ma "...non cadono nella categoria della violenza estetizzata perché non è stilisticamente eccessiva in modo significativo e sostenuto." Film che usano "...violenza stilizzata [ovvero estetizzata] si baloccano con armi da fuoco, sangue denso e esplosioni, sfruttando la messa in scena non tanto per fornire un ambiente narrativo, quanto per creare l'apparenza di una atmosfera da "film" nella quale può evolversi uno spettacolo prettamente cinematografico." In film con violenza estetizzata, le "...modalità realistiche standard di montaggio e cinematografia vengono violate allo scopo di spettacolarizzare l'azione che viene svolta sullo schermo"; i registi usano un "montaggio veloce e sgraziato", "inquadrature inclinate", tagli improvvisi e riprese rallentate, per enfatizzare gli impatti dei proiettili o gli "spruzzi di sangue." [5]

Per gli spettatori di film contenenti violenza estetizzata, come quelli di John Woo, "Uno dei molti piaceri" tratti dalla visione dei film di Woo, come Hard Target è che portano gli spettatori a riconoscere come Woo gioca con le convenzioni "provenienti da altri suoi film" e come cio "si connette con film... che comprendono imitazioni o omaggi a Woo." Bruder sostiene che i film con violenza estetizzata come "...Hard Target, True Romance e Tombstone sono [riempiti] con... segni" e indicatori, tali che "... la violenza stilizzata che contengono serve infine come... un'altra interruzione nella spinta narrativa" del film. [6]

[modifica] Estetizzazione della violenza nei mass media

Oltre alla estetizzazione della violenza culturalmente alta, mass media quali quotidiani e televisione hanno anch'essi estetizzato la violenza con i loro rapporti sensazionalistici su crimine e guerra. Il libro di Maria Tatar, Lustmord: Sexual Murder in Weimar Germany, analizza degli omicidi nella Gemania pre-Hitleriana e la loro rappresentazione artistica, investigando "... i raggelanti motivi che stanno dietro a rappresentazioni che estetizzano la violenza, e che trasformano il corpo femminile mutilato in un oggetto di fascinazione." [7] Il recensore Patrice Petro definisce il libro di Tatar "uno studio dell'arte modernista e di avanguardia tedesca e una continua riflessione sulle relazioni tra genere, crimine, violenza e rappresentazione."[8] Leslie Kitchen definì il libro "...un contributo profondo e provocatore alla nostra comprensione del combattimento sessuale e dell'estetizzazione della violenza nella cultura moderna."[9]

L'articolo di Lilie Chouliaraki: The aestheticization of suffering on television (2006), analizza "“...un esempio di filmato di guerra, allo scopo di delineare i modi in cui la tensione tra il presentare la guerra aerea come un pezzo 'obiettivo' di informazione e come esempio di intensa sofferenza umana, viene risolto dalle strategie di mediazione della televisione." Ad esempio, Chouliaraki sostiene che il "... bombardmento di Baghdad nel 2003, durante la guerra in Iraq, venne filmato in long-shot and presented in a quasiliterary narrative that capitalized on an aesthetics of horror, on sublime spectacle (Boltanski). The aestheticization of suffering on television is thus produced by a visual and linguistic complex that eliminates the human pain aspect of suffering, whilst retaining the phantasmagoric effects of a tableau vivant”, producing an “...aestheticization of suffering [that] manages simultaneously to preserve an aura of objectivity and impartiality, and to take a pro-war side in the war footage.”[10] -->


[modifica] Bibliografia

  • Berkowitz, L., Advances in Experimental Social Psychology, Vol. 10 & 19, New York, Academic Press, 1977; 1986
  • Bersani, Leo e Dutoit, Ulysse, The Forms of Violence: Narrative in Assyrian Art and Modern Culture, New York, Schocken Books, 1985
  • Black, Joel, The Aesthetics of Murder, Baltimore: Johns Hopkins University Press, 1991
  • Feshbach, S., The Drive-Reducing Function of Fantasy Behaviour, Journal of Abnormal and Social Psychology 50: 3-11, 1955
  • Feshbach, S e Singer, R. D., Television and Aggression: An Experimental Field Study, San Francisco, Jossey-Bass, 1971
  • Kelly, George, The Psychology of Personal Constructs, Vol. I, II. Norton, New York. (1955, II edizione 1991, Routledge, Londra, New York)
  • Peirce, Charles Sanders, Collected Writings. (Curato da Charles Hartshorne, Paul Weiss e Arthur W Burks), Cambridge, MA: Harvard University Press, 1931-58.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Note

  1. ^ a b Articolo di Steven Jay Schneider, "Killing in Style: the Aestheticization of Violence in Donald Cammell's White of the Eye", Harvard & New York University.
  2. ^ Xavier Morales, "Kill Bill: Beauty and violence", articolo disponibile qui; ultimo accesso l'11 maggio 2007.
  3. ^ Margaret Ervin Bruder. Aestheticizing Violence, or How To Do Things with Style. Film Studies, Indiana University, Bloomington IN. Disponibile sulang_fr
  4. ^ Adrian Martin. The Offended Critic: Film Reviewing and Social Commentary. Si tratta di una versione ampliata di un saggio che apparve su Australian Quarterly, Vol 72 numero 2, aprile-maggio 2000. Disponibile su: [1]
  5. ^ Margaret Ervin Bruder. Aestheticizing Violence, or How To Do Things with Style. Film Studies, Indiana University, Bloomington IN. Disponibile su: lang_fr
  6. ^ Margaret Ervin Bruder. Aestheticizing Violence, or How To Do Things with Style. Film Studies, Indiana University, Bloomington IN. Disponibile su: lang_fr
  7. ^ Barbara Kosta, The Women's Review of Books - citato su: lang_frs
  8. ^ Patrice Petro, Art in America - citato su: lang_fr
  9. ^ Leslie Kitchen, The Bloomsbury Review - cited at lang_fr
  10. ^ Lilie Chouliaraki, The aestheticization of suffering on television. Disponibile su: [2]
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