Caldora
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Nobilissima la famiglia Caldora. Così viene definita da Filiberto Campanile nel suo libro edito a Napoli nel MDCX (1610) “L'Armi overo Insegne de' Nobili”. Originaria della Provenza era dapprima chiamata Candol o Candola come è scritto sulla tomba eretta nella Chiesa del Paradiso in Melfi da Traiano Caracciolo, Duca di Melfi, per la moglie Maria Caldora, figlia di Jacopo, morta nel 1481: “Ex genere Candolorum, orta Illustris Melfiae Ducissa Maria, celeberrimi armorum Coelestis Herois Jacobi Candoli, Gnata Illustris Ducis”. Secondo il Candida Gonzaga, già tre componenti della famiglia Caldora si recarono con sessanta cavalli in aiuto di Re Manfredi di Svevia contro Carlo I d'Angiò. Raimondo Caldora (detto Raimondaccio) padre di Antonio, padre a sua volta di Raimondo, Restaino e Jacopo, fu Giustiziere dei Principati e Famigliare di Re Roberto d'Angiò. Nel 1345 era Signore del Vasto, feudo che gli viene tolto nello stesso anno dalla Regina Giovanna I d'Angiò. Lo stesso Raimondo con Cecco Acquaviva fu chiamato da Carlo I d'Angiò nell'Impresa di Sicilia. Nel 1345 i Caldora andarono da Roberto, Principe di Taranto, che quell'anno armava per passare in Grecia insieme a Francesco Loffredo, Jacopo Sanseverino, Giannotto Stendardo, Cristoforo Stendardo, Carlo dell'Amendolea, Tommaso di Molisii, Troilo Abenavolo, Antonuccio Caldora e Giovanni Carrafa. Nel 1363 Antonio Caldora figlio di Raimondaccio insieme a Giovanni Malatacca ed altri Baroni prende parte alla lotta per sbarrare la strada ad Ambrogio Visconti, bastardo di Bernabò Visconti, Signore di Milano, che voleva entrare in Abruzzo per conquistare la corona di Napoli. Dopo sanguinosa battaglia sulle rive del fiume Tronto, nel luogo detto “Sacco” lo sconfiggono. La Regina Giovanna I scrive ringraziando tutti i Baroni che vi avevano partecipato in particolare i Caldora, i de Sangro, i Marreri e i Mangano, come riferito da Angelo di Costanzo nel suo: “Historia del Regno di Napoli” a pag. 180.
Nel 1368 nasce a Castel Giudice da Antonio e da Rita Cantelmo, Jacopo Caldora. Jacopo è il personaggio più rappresentativo della famiglia Caldora. Condottiero di grande fama, Vicerè, Gran Connestabile del Regno, Duca di Bari e Carbonara (1429), Marchese del Vasto (1422), Conte di Trivento e Signore di circa duecento feudi: fra i più importanti Atri, Anversa, Bitonto, Conversano, Carpinone, Castel Giudice, Gioia del Colle, Manfredonia, Mattinata, Minervino, Monteodorisio, Pacentro, Palena, Valva, Capitano di Agnone. Il feudo di Castel Giudice era stato concesso ad Antonio da Roberto d'Angiò (1309-1343) per successione della moglie Rita Cantelmo. Antonio verrà giustiziato nel 1381 da Carlo III di Durazzo Re di Napoli. Personaggio carismatico, orgoglioso ma al tempo stesso umile, pur possedendo piu di duecento feudi, al contrario degli altri principi o titolati, si firmava semplicemente “ Jacobus Caldora miles armorum Capitaneus” (come nell'atto di acquisto, 8 ottobre 1427 , di un terreno del convento degli Agostiniani confinante con il castello del Vasto) Il suo nome era più importante di tutti i titoli di cui disponeva. Per la bibliografia sui Caldora vedi: -G.B. Masciotta “Jacopo Caldora, Nel suo tempo e nella posterità”. Stabilimento F. Lega, Faenza 1928. -F. Campanile “L'armi overo Insegne de' Nobili, Napoli 1610. -B.Croce “Storia del Regno di Napoli”. -A. Summonte “Storia del Regno di Napoli” (quattro volumi). -Candida Gonzaga “Famiglie Nobili”. -A. Arduino “G. Caldora” Associazione Castelgiudice. Arti Grafiche S.Giorgio Isernia, Agnone 1984. -Fazio. Vita di G. Caldora – stab. Tip. Vico dei S.Filippo e Giacomo, Napoli 1869 -Registri Angioini. -Pergamene Rogadeo n.108, 111, 112. -G.B. Masciotta: “Il Molise dalle origini ai nostri giorni”. IV vol. ed.Lampo, Campobasso 1981
I fratelli di Jacopo sono Raimondo e Restaino come appare scritto sul sepolcro “Cappella Caldora” fatto erigere dalla madre Rita Cantelmo nel 1412 nella Abbazia Morronese di Sulmona. Questo sepolcro iniziato fra il 1241 e il 1293 presenta importanti affreschi riconducibili, secondo gli ultimi studi, a Gualtiero di Alemagna, definito Maestro della Cappella Caldora, lo stesso che ha affrescato il Sacro Speco a Subiaco. I Cantelmo originano da Everardo, ultimo figlio di Duncan Re di Scozia. Entrano i Cantelmo prima in Francia e poi nel Regno di Napoli con Carlo I d'Angiò. La discendenza dal Re di Scozia fu riconosciuta da Carlo II, Re d'Inghilterra, con atto del 1683 e da Carlo II, Re di Spagna, con atto del 1688. La famiglia Cantelmo si è estinta nel 1749 con Giuseppe, Principe di Pettorano, Duca di Popoli, Cantelmo Stuart. Nel 1422 Jacopo divenuto Signore del Vasto inizia la ricostruzione e l'abbellimento del castello. Infatti su progetto del famoso architetto Taccola, vengono trasformate le torri tonde del castello, rivelatesi poco efficienti per l'artiglieria del tempo, in torrioni a base ottagonale. Jacopo l'8 ottobre 1427 acquista dal convento degli Agostiniani un terreno confinante per allargare il castello. Nel 2 giugno 1424 Jacopo, nuovo Capitano Generale delle Milizie, si dirige verso l'Aquila, incontra nella Contea di Celano le truppe Pontifice sotto il comando del legato Pontificio Francesco Picciolpasso, Arcivescovo di Milano, che si mettono alle sue dipendenze. Questa battaglia è ricordata perché, sia da una parte che dall'altra, vi hanno partecipato i più valorosi e noti Capitani dell'epoca. Sotto il comando di Caldora ci sono Francesco Sforza, Ludovico Colonna, Luigi Sanseverino, Lorenzo e Micoletto da Cotignola, Nicolò da Tolentino, Federico da Matelica, Antonio Caldora e Scoramuccio d'Ascoli ed altri. Nella parte avversa, assedianti la città dell'Aquila, ci sono Braccio Fortebraccio da Montone con Giampaolo Orsini, Nicolò da Pisa, Malatesta Baglioni, Giannantonio d'Acquasparta, il Conte Brandolino da Forlì, Nicolò Piccinino, Erasmo Gattamelata. Jacopo li sconfigge. Il Piccinino e il Gattamelata, fatti prigionieri, riusciranno a fuggire mentre Braccio per le ferite riportate, trasportato nella tenda di Jacopo, vi muore. Jacopo sposa due volte. La prima moglie è Medea d'Evoli, figlia ultima di Francesco Duca di Castropignano, da cui ha Antonio, Berlingeri e Maria. Rimasto vedovo sposa Jacovella di Celano, figlia del Conte Ruggero IV Berardi di Celano, da cui non ha figli. Nel 1428 Antonio, figlio di Jacopo, sposa Isabella Caracciolo del Sole, figlia di Giovanni (Ser Gianni) e di Caterina Filangeri de Candia. Ser Gianni era Gran Siniscalco e favorito della Regina Giovanna. Isabella era sorella di Traiano Caracciolo, Duca di Melfi, che sposerà a sua volta Maria Caldora sorella di Antonio. Da Isabella Caracciolo, Antonio ha un solo figlio, Restaino. Sempre Antonio, morta Isabella Caracciolo, sposa Margherita de Lagny, dalla quale ha due figli, Jacopo detto “Jacopuccio” e Raimondo. Jacopo il 30 agosto 1429 su legato del Papa Martino V, conclude a Bologna la pace tra i rivoltosi che avevano cacciato i Bentivoglio e il Papa. Nel 1429 Maria Caldora, figlia di Jacopo, sposa il 17 di agosto, in Castel Capuano, Traiano Caracciolo, figlio di Ser Gianni e di Caterina Filangeri de Candia. Nella notte tra il 17 e il 18 agosto 1429 dopo il matrimonio viene assasinato Ser Gianni, che verrà poi sepolto nella Cappella Caracciolo di S.Giovanni a Carbonara a Napoli. Da Traiano Caracciolo e Maria Caldora nasceranno due figli: Giovanni, Duca di Melfi e Jacopo, Conte di Avellino. Jacopo Caldora, figlio di Berlingeri, fratello di Antonio, sposa Carmela Cantelmo, figlia del Duca di Sora. Berlingeri I Caldora, figlio di Jacopo, fratello di Antonio, sposa Francesca de Riccardis di Ortona che gli porta in dote Ortona, Campomarino e Termoli. La cinta muraria di Ortona è fatta erigere da Berlingeri, su progetto di Andrea della Porta, alla metà del '400. Berlingeri muore a Vasto nel 1436 fra le braccia del padre Jacopo per le ferite riportate a Bari in uno scontro amoroso. Nel febbraio 1435 muore la Regina Giovanna d'Angiò. I sedici Baroni del Consiglio della Corona, tra cui lo stesso Jacopo, gli confermano il titolo di Gran Connestabile e Vicerè. Con Jacopo, nel Consiglio della Corona ci sono: Antonio Dentice, Raimondo Orsini conte di Nola, Baldassarre della Ratta conte di Caserta, Berdicasso Barile conte di Monteodorisio, Ottino Caracciolo conte di Nicastro, Giorgio de Alemannia conte di Buccino, Gualtiero Caracciolo, Ciarletta Caracciolo e altri. Il 15 novembre 1439 Jacopo alla testa di ottomila uomini, si dirige verso Napoli in soccorso di Renato di Angiò. All'altezza di Cercello, ora Colle Sannita, feudo di Giacomo della Leonessa, fedele all'Aragonese, mentre si accinge ad assaltare il paese che si era rifiutato di consegnargli vettovaglie per i suoi uomini, conversando con Luigi di Capua, conte di Altavilla e con Cola d'Osieri, napoletano, famiglia della Piazza del Nido sul modo di attaccare il paese, “...una goccia di sangue gli cadde dal capo nel cuore”. Sorretto mentre sta per cadere da cavallo, Jacopo, trasportato nella sua tenda vi muore tra lo sgomento ed il dolore dei suoi uomini che si disperdono. Le sue spoglie vengono portate a Sulmona e tumulate nella cappella Caldora nella Badia di S.Spirito. Il suo motto, inciso sulle bardature dei cavalli e dei carriaggi è tratto da un versetto Biblico di Davide. “Coelum coeli Domino, terram autem dediit fiilis hominum” ( il cielo al Signore del cielo, la terra invece diede ai figli degli uomini). Il suo stemma è inquartato di oro al primo e al quarto quadrante; di azzurro al secondo ed al terzo. Detto stemma era ancora presente sull'ingresso del castello del Vasto, poi scalpellato e sostituito con quello dei d'Avalos (Giannone-Historia del Regno di Napoli 1770, libro 25, cap 7, pag 230). Alla morte di Jacopo, al figlio Antonio, vengono confermati tutti i feudi del padre. Il Ducato di Bari e Carbonara, il Marchesato del Vasto, il titolo di Vicerè e Gran Conestabile. Nel 1442, il 29 giugno, Antonio, oltremodo ambizioso, sicuro di poter sconfiggere Alfonso di Aragona, rimasto ormai signore incontrastato del Regno di Napoli, lo affronta in battaglia a Sessano vicino al castello di Carpinone, antica sede dei Caldora. Nella notte Paolo de Sangro, suo congiunto, si accorda con Re Alfonso, per cui al mattino Paolo lo tradisce, passando nel campo avverso. Antonio viene così sconfitto. Per magnaminità gli vengono concesse le Contee di Monte Odorisio, Pacentro, Palena, Archi, Aversa, Valva. Gli vengono tolte tutte le altre che erano state conquistate dal padre Jacopo. Nel Castello di Carpinone, Antonio come descritto nelle Storie, si inginocchia per il perdono davanti al Re Alfonso, offrendogli ricche suppellettili. Il Re accetta solo un vaso di cristallo che era stato offerto dai Veneziani a suo padre Jacopo. Nel 1459, in ottobre, sbarca alla foce del Volturno, Giovanni d'Angiò, figlio di Renato, quale pretendente al trono di Napoli. Antonio con altri baroni feudatari ci riprova e si arma contro Ferdinando, figlio di Alfonso d'Aragona. La battaglia avviene il 7 luglio 1460 a Sarno. Ferdinando viene sconfitto, si rifugia a Napoli dove però si rafforza. Deciso a finirla con il Caldora, si dirige verso il castello del Vasto. Antonio si era attestato nel castello di Civitaluparella mentre aveva lasciato a guardia del Vasto il valoroso Raniero de Lagny, fratello di sua moglie Margherita. Vasto viene così assediata; i suoi abitanti preoccupati per le loro conseguenze, aprono le porte agli Aragonesi che imprigionano Antonio che nei giorni precedenti, di notte si era portato da Civitaluparella a Vasto per portare aiuto agli assediati. Tradotto ad Anversa e poi a Napoli, viene lasciato libero sulla parola con l'obbligo di risiedere in città, per intercessione del Duca di Milano, Francesco Sforza. Antonio dopo circa cinque anni, non sopportando tale condizione si imbarca a Pozzuoli con la moglie Margherita e i suoi figli, uscendo così dai confini del Regno di Napoli. Si rifugia a Jesi nella Marca Anconetana dove morirà poverissimo in casa di un veterano di suo padre. Tramonta così la gloriosa stirpe dei Caldora che per più di un secolo aveva dominato la scena del Regno di Napoli. Nel 1488 alla morte del marito, Margherita de Lagny ritorna a Napoli dove viene nominata Dama di compagnia di Isabella, nipote di Ferrante d'Aragona, che va sposa a Giovanni Galeazzo Sforza, Duca di Milano, nipote di Francesco Sforza. Il figlio di Antonio Caldora e di Isabella Caracciolo, Restaino, lo troviamo a Napoli che porta a braccio con altri paggi il feretro di Don Pietro di Toledo quando Re Alfonso, lo fa trasferire nella Chiesa di S. Pietro Martire. (A. Summonte. Historia del Regno di Napoli 1675, vol III, pag 60). Vasto dopo la disfatta di Antonio, ritorna nel 1471 al Regio Demanio. Re Ferdinando nomina Marchese del Vasto Pietro de Guevara, succeduto al padre Innico, destituito per fellonia. Nel 1496 Vasto viene infeudato a Rodrigo d'Avalos e in seguito al fratello Innico II. Degli altri Caldora, Berlingeri II sposa Cornelia Cantelmo e alla venuta del signore di Lautrech, recupera la Contea di Monte Odorisio, Ascoli Satriano, Trivento e Pacentro. Morirà affogato attraversando il fiume Volturno. Altri Caldora parteciperanno alla congiura dei Baroni il 15 maggio 1487 con Pirro del Balzo, Antonello Sanseverino, Pietro di Guevara, Giovanni della Rovere, Matteo Acquaviva, Giovanni Caracciolo, Angilberto del Balzo, Raimondo Caldora, Giovanni Francesco Orsino, Berlingero Caldora e Giacomo Antonio Caldora. I discendenti di Jacopuccio e Raimondo, figli di Antonio e Margherita de Lagny, passano a Narni dove troveranno sepoltura nella Cappella di Jus Patronato Caldora, nella Abbazia di San Girolamo a Narni. La Cappella aveva due altari con sopra due tele rappresentanti una la “Coronazione di Maria Vergine” del Ghirlandaio e l'altra la “Deposizione di Cristo”, ambedue asportate e trasferite nel comune di Narni. Le lapidi erano intitolate a “Vincentius et Jo-Franciscus de Caldoriis”, mentre in terra vi era una lapide con una bellissima e triste scritta “Caldoro, la morte è il fin dell'oro, che altro, che un sospir breve la vita. Da “Descrizione delle Chiese di Narni e dei suoi dintorni” a cura del marchese Giovanni Eroli- Tipografia Petrignani 1898.
Antonio Caldora 3 Luglio 1764 Filippo 1774. Canonico della Cattedrale. Vincenzo 9 Aprile 1775 Capitano di armi. Alessandro 1779 Tenente (da Riformanze del Comune di Narni dall'anno 1526 e dall'anno 1770 al 1794).
I Caldora si estinguono per via di donna, in casa Risi, o de Risis o de Riseis, famiglia di Narni. Narni era insignita di Nobiltà generosa ma dopo il sacco del 15 luglio 1527 da parte dei Teutonici andarono distrutti gli archivi Pubblici. Dopo tale data si formò un nuovo Registro delle Passate Nobili Famiglie Narni 13 giugno 1823 firmato Confaloniere Andrea Lolli. I Risi divengono nobili nel 1527 e hanno sepoltura nella Cappella dedicata a San Giuseppe sita nella Cattedrale di Narni, Cappella di Jus Patronato, come da Istrumento Rogato da Zannantonio Risi, Canonico della Cattedrale1717-1730, deputato al Befotrofio, Protonotario apostolico. I Risi avevano casa alla via Vecchia ora via XX Settembre. Per la storia di casa Risi e Mei vedi: Carlo de Cellis.
Rappresentanti della Casata Risi:
Nuccio Risi 1475-1479 Francescangelo 1490 o Francesco di Angelo. Domenico Antonio di Nuccio 1479 Gregorio notaro 1512 nel 1529 Capo Priore del Comune Giovanni Antonio, di Francesco di Angelo, marito di Virginia (figlia del conte Massimo Arca Marinata). Angelo gabelliere 1531-1532 Orazio 1535 Gregorio 1540-1556 Lentulo 1543 Maddalena di Lentulo Romolo di Gregorio, consigliere, marito a Lelia figlia del conte Fabio Arca Marinata 1547-1572. Fu mandato ambasciatore a Roma. Giuseppe, Confaloniere del comune di Narni. Maddalena figlia di Giuseppe, Confaloniere, nel 1750 sposa Ermenegildo Mei. Giovanni Antonio Risi 1607 eletto dalla Santa Sede capitano degli archibugieri a cavallo nella guerra contro i veneziani. Francesco Antonio 1760 proto notario apostolico (inter canonicos primus). Romualdo Risio 1773 patrizio narnense, sepolto nella Cappella di San Giuseppe, abate commendatario di San Giovanni a Martano, Preposto di San Giuliano a Città di Castello. Zannantonio canonico 1739-1760. Giuseppe 1750 confaloniere. Antonio Risi fratello di Romualdo canonico 1757-1760. Maddalena figlia di Giuseppe confaloniere nel 1750 sposa Ermenegildo Mei. I Risi avevano sepoltura a Roma nella Chiesa di Sant'Agostino (dal registro delle famiglie nobili narnesi). Diploma pontificio 13 giugno 1823. Firmato confaloniere Andrea Lolli. Il nome Antonio quasi sempre accompagnato ai nomi di casa Risi sta a testimoniare la discendenza da Antonio Caldora.
- Casata dei Virili
Conti palatini, famiglia di Castelnuovo frazione di Farfa in Sabina. Personaggi della Casata: Luca Antonio Virili, creato Cardinale da Papa Urbano VIII nel 1629, muore prematuramente. Era in predicato tra quelli che dovevano divenire papa. Dario, padre di Luca e Pietro Cipriano, fratello di Luca. (da Amaiden Teodoro:storia delle famiglie romane, vol II, collegio araldico Romano, Corso Vittorio, Palazzo della Valle Roma). (Ciacconio Vitae Pont. Et Cardinalium-tomo IV pag.582)
- Casata dei Mei
I Mei, famiglia di Narni, ottengono con Giovanni Antonio Mei la nobiltà di Narni nel 1776 per sé e per i discendenti.
Mei Augusto 1474 Mei (o de Meis) Angelo 1477 Mei Paolo 1515 Mei Ippolito di Paolo, priore, 1515 Sigismondo 1566 notaro (lo troviamo nel consiglio dei Nobili nel 1606) Meo Mei, priore del comune 1643 Francesco Antonio Mei. Avvocato del duca Cesi di Acquasparta. 1601-1675 Angelo, Deputato, 1698-1706. Angelo, era nipote del conte Joannino Scotti che già godeva del 1279 di nobiltà in Narni Ermenegildo Mei, Confaloniere, nel 1750 sposa Maddalena Risi figlia di Giuseppe Giovanni Antonio Mei. Ottiene per se e per i suoi discendenti la Nobiltà di Narni nel 1776. Il Conte Francesco Mei, Risi Virili Caldora, figlio di Giovanni Antonio, eredita i nomi e le fortune dei Risi, dei Virili e dei Caldora come attesta il Libro “Nobiltà dello Stato Pontificio edito nel 1828 dal Collegio Araldico per Bettini, quaranta esemplari, Biblioteca Casanatense, Piazza S.Agostino, Roma”. Luigi, n.1806 a Narni. Silvestro, n.1848, marito a Altavilla Millozzi di Narni. Lorenzo, n.nel 1876, marito a Elide d'Alessio. Andreina, n.1915, moglie ad Antonio Romano.
Altri rappresentanti della famiglia Mei sono Francesco e Augusto che pur appartenendo alla nobiltà pontificia, fanno parte della brigata garibaldina di Narni e muoiono il 28 ottobre 1867 a Montelibretti (Rieti) e lì vengono sepolti. Un ramo dei Mei si trasferisce a Roma, dove divengono cittadini romani con Mei Filippo il 23 febbraio 1646 (Credenzone I tomo V 1584). Papa Benedetto XIV decreta che sono Nobili Romani di diritto coloro che avevano esercitato o discendevano da antenati che avevano sostenuto la dignità di Conservatori della Camera Capitolina.
Libro d'oro del Campidoglio - Elenco dei Conservatori di Roma dal 1305 al 1846.
1385 Paolo di Stefano Mei. 1426 Romano di Cecco Mei, con Francesco di Luco, Alessio Leo de Leis, Lorenzo Altieri, Pietro di Meolo Rossi, Renzo de Bondiis. 1561 Vincenzo Mei, nel marzo diviene Consigliere di Campo Marzio.
Elenco dei Magistrati, cittadini romani.
1570 Vincenzo Mei, consigliere di Vitorchiano . 1646 il 23 febbraio Filippo Mei diviene Cittadino Romano. Credenzone I°, tomo V 1564. Bartolo Mei è nella Congregazione dei Nobili 1795 presso la Chiesa del Gesù in Roma. Il conte Filippo Mei nel 1823 ha sepoltura nella chiesa del SS. Nome di Maria al Foro Traiano (ora Sacrestia). Per la storia di casa Mei vedi Carolus de Cellis. Lo stemma di casa Mei è: al capo di azzurro con tre gigli d'argento sotto un lambello rosso a quattro pendenti; in punta: di verde, al monte di tre cime all'italiana colore argento, sormontato da un picchio al naturale. Fascia d'oro caricata di tre stelle a sei punte di colore argento.