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Émilie du Châtelet - Wikipedia

Émilie du Châtelet

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Émilie du Châtelet

Émilie du Châtelet , nome completo Gabrielle Émilie Le Tonnelier de Breteuil, marchesa du Châtelet, (Parigi17 dicembre 1706 – Lunéville10 settembre 1749) è stata una matematica, fisica e scrittrice francese. Fu uno dei più grandi ingegni al femminile non solo dell'intero XVIII secolo ma di ogni tempo. Contribuì alla conoscenza e all'approfondimento delle teorie di Newton e di Leibniz, traducendone le opere. Svolse ricerche personali nel campo della matematica e della fisica. In particolare dimostrò che l’energia di un oggetto in movimento è proporzionale alla sua massa e al quadrato della velocità mentre fino a quel tempo si era ritenuto che l'energia fosse direttamente proporzionale alla velocità.

Nata in una famiglia di elevatissimo ceto sociale, il padre aveva infatti incarichi di grande prestigio alla corte del Re Sole Luigi XIV, fu stimolata a sviluppare studi sia linguistici che scientifici, all’epoca riservati esclusivamente ai rampolli di sesso maschile delle grandi famiglie. La serietà degli studi non le impediva di condurre una vita brillante, e potremmo dire frivola, intessuta di occasioni mondane che divennero sempre più frequenti dalla data della sua presentazione a corte, avvenuta all’età di sedici anni. Particolarmente versata nelle lingue: conosceva latino, greco e tedesco, si interessava anche alla musica, al teatro, alla danza.

Va tenuto ben presente che nel Settecento le donne erano escluse da una formazione di livello superiore, oggi diremmo universitario, e quindi si costruì, durante il corso della sua vita, una preparazione di altissimo livello, in parte come autodidatta, in parte facendo ricorso agli insegnamenti privati e attraverso il confronto dialettico con alcune tra le più grandi menti scientifiche dell’epoca come Bernoulli, Buffon, Clairaut, Eulero, König, Maupertuis, Réaumur.

Il 12 giugno 1725, appena diciannovenne, sposò il marchese Florent Claude du Châtelet all’epoca trentenne. Il matrimonio rispondeva più a criteri di censo che a motivi sentimentali, i due ebbero tre figli ma il marchese, per obblighi inerenti alla propria carriera militare, incontrava la moglie assai di rado. Comunque il legame matrimoniale non le impedì mai di vivere una vita sentimentale assai libera. Ebbe due relazioni con il marchese di Guébriant e con il duca di Richelieu.

Il rapporto sentimentale più importante e duraturo della sua vita fu quello con il grande Voltaire. I due vissero insieme nel castello di Cirey-sur-Blaise, nell’Alta Marna, di proprietà del marito della marchesa, non nascondendo la loro relazione, anzi ne facevano mostra, senza curarsi minimamente delle opinioni della gente. Va detto che una simile libertà era all’epoca un privilegio delle classi elevate, i cui membri mostravano una notevole tolleranza derivante dal fatto che i matrimoni erano regolarmente combinati e rispondenti a strategie di rafforzamento patrimoniale, quando non politico o diplomatico.

Il sodalizio culturale e sentimentale con Voltaire iniziò nel 1733. Lui era già, a 39 anni, all'apice del successo, lei, a 28 anni, conduceva la vita dorata di una rappresentante della classe più agiata e influente. Lo splendido Chateau de Breteuil testimonia ancor oggi il livello di vita dei membri della famiglia a cui la marchesa apparteneva. Nel maggio del 1734 essendo Voltaire incorso nella disapprovazione del re a causa di suoi scritti inneggianti alle libertà di cui fruiva il popolo inglese, da lui ben conosciute per essere state approfondite nel corso di un precedente esilio, fu ospitato nel castello di Cirey che era situato vicino al confine francese.

La dimora necessitava di notevoli opere di restauro e così Voltaire stipulò un accordo con il proprietario in base al quale avrebbe prestato a quest'ultimo, a un interesse assai conveniente, la somma di 40.000 franchi con cui sarebbe stato possibile realizzare i lavori necessari. Il castello fu riadattato per poter ospitare il gran numero di visitatori che la fama intellettuale della coppia attirava. La biblioteca arrivò a contare ben 21.000 titoli cioè più o meno il livello di un’istituzione universitaria del tempo.

Stimolata da Voltaire ad approfondire sempre più la tematica scientifica la Chatelet pubblicò nel 1737 gli Elementi della filosofia di Newton. L’opera reca nella prefazione il nome di Voltaire come coautore ma non è dubbio che l’apporto teorico determinante fu della Chatelet. Lo scopo era consentire a un pubblico più vasto, anche non dotato di un livello estremo di conoscenze scientifiche, di avvicinare l’opera dello scienziato inglese. Nel 1740 pubblica Istituzioni di fisica, un’esposizione delle teorie del filosofo Leibniz.

Negli anni successivi porta avanti il progetto della pubblicazione dell'opera di Newton Principia matematica tradotta, dal latino piuttosto ostico dell'autore, in francese e con l’aggiunta di una sezione dedicata alle evoluzioni che avevano subito le teorie dell'autore ad opera degli scienziati francesi. L'opera uscirà postuma nel 1759 e la pubblicazione fu seguita da Voltaire che la considerò un debito d'affetto nei confronti della donna che forse gli era stata intellettualmente più affine.

Nel 1746, presa da un'improvvisa passione per il poeta Saint Lambert, abbandonò Voltaire e si dedicò, con ogni mezzo, a legare a sé l'amante, di dieci anni più giovane. Sembra che Saint Lambert non fosse particolarmente attratto dalla Chatelet ma che abbia agito solo per un capriccio e per ingelosire la sua precedente amante, Madame de Boufflers, che lo aveva abbandonato.

La relazione si risolse tragicamente perché la Chatelet affrontò una gravidanza ad un'età che, all'epoca, costituiva un rischio mortale per la puerpera. Diede alla luce una bambina che morì subito dopo la nascita e lei stessa morì sei giorni dopo, assistita negli ultimi momenti da Voltaire, col quale era rimasta in ottimi rapporti, e da Saint Lambert.

Nel 1749, poco dopo la morte di Emilie, Voltaire scrive a un'amica: je n'ai pas perdu une maîtresse mais la moitié de moi-même. Un esprit pour lequel le mien semblait avoir été fait. (non ho perduto un'amante ma la metà di me stesso. Un'anima per la quale la mia sembrava fatta).

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