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Reddito - Wikipedia

Reddito

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il reddito può essere definito come l'incremento o decremento, espresso in termini monetari, della ricchezza di un soggetto in un determinato periodo di tempo. Rappresenta in pratica il divenire di componenti economici attribuito ad un dato periodo di tempo.

Il reddito è quindi una variabile di flusso, in quanto legata ad un preciso orizzonte temporale senza il quale non avrebbe senso. Al reddito viene contrapposto il concetto di patrimonio che esprime in termini monetari la ricchezza in un dato istante: si usa dire pertanto che il reddito è flusso, mentre il patrimonio è stock.

Una delle principali funzioni del reddito è quella di costituire la base imponibile per le principali imposte di ogni ordinamento fiscale. Misurare infatti l'arricchimento di un dato soggetto rappresenta senza dubbio il parametro più equo per commisurare il prelievo fiscale. principali caratteri del reddito: il reddito è una variazione(esprime la natura dinamica dello stesso, mutabile dunque sia positivamente, sia negativamente) il reddito deve poter essere individuato in un intervallo di tempo(esistono infatti esigenze di amministrazione aziendale che rendono indispensabile la determinazione periodica del reddito) il reddito presuppone la presenza di un capitale(esso è lo strumento materiale della produzione aziendale; ne segue che il reddito è un valore, non un bene,dunque è astratto, ed è indeterminato, non deriva cioè da una operazione di calcolo oggettiva.) il reddito è il risultato della gestione non del solo processo di produzione (operazioni interne), ma anche di un insieme di operazioni di gestione esterna.

Il reddito è distinto dalla rendita che è una variabile di flusso finanziario legata a più di un periodo. La rendita è un'entrata costante ad intervalli di tempo regolari per un certo orizzonte temporale.

Indice

[modifica] Classificazioni

Una delle più comuni classificazioni di reddito è relativa al soggetto percettore. A tal proposito distinguiamo tra:

Una ulteriore classificazione, sulla falsa riga di quella effettuata dal legislatore tributario nella disciplina del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, segue il criterio della fonte di provenienza:

  • redditi di impresa: derivanti dall'esercizio di attività commerciali
  • redditi di lavoro: derivanti da prestazioni di lavoro dipendente o dall'esercizio di arti o professioni
  • redditi di capitale: derivanti dall'impiego di denaro o strumenti finanziari (interessi, dividendi e simili)
  • redditi fondiari: derivanti dall'esercizio di diritti reali su terreni e fabbricati (redditi dominicali dei terreni, redditi agrari, redditi di fabbricati)
  • redditi diversi: categoria residuale, destinata ad accogliere operazioni con intento speculativo (cessioni di titoli azionari, terreni edificabili, vincite alle lotterie, prestazioni di lavoro occasionale...)

[modifica] Criteri per stabilire la presenza di reddito

Il legislatore fiscale del 1972 ha accolto una nozione di reddito complessivo, come entità omnicomprensiva ed eterogenea, risultante dalla somma dei singoli redditi (di lavoro, di capitale, ecc.).
Il concetto di reddito fiscale può dunque comprendere il reddito-entrata (cioè gli incrementi patrimoniali anche a titolo gratuito) e le cd. entrate figurative (ad es. il reddito dell'immobile occupato dallo stesso soggetto d'imposta). Le singole categorie di reddito individuate dalla legge sono ritenute un numerus clausus: se una determinata fattispecie vi rientra, allora è considerata reddito a tutti gli effetti (civili, fiscali, ecc.). Se invece non vi rientra, non è ritenuta una fattispecie imponibile e quindi non è tassabile nemmeno se produce un aumento di ricchezza.

Per stabilire se una data fattispecie rientra nella previsione dell'art. 6 del Testo Unico delle Imposte sui redditi, si applica il principio di equipollenza, secondo cui i proventi conseguiti in sostituzione del reddito e le indennità percepite per il risarcimento della perdita del reddito sono considerati redditi della stessa categoria di quelli perduti o sostituiti.

Il successivo art. 9 dello stesso testo Unico citato, inoltre, prevede altri criteri particolari per qualificare come reddito una data fattispecie:

  • il criterio del valore normale, per cui taluni beni che incrementano il patrimonio entrano a far parte della categoria dei redditi di capitale (ad es. titoli, azioni, obbligazioni, corrispettivi in valuta estra, ecc.).
  • il criterio del costo specifico sostenuto dal datore di lavoro, nel caso di proventi in natura percepiti in sostituzione del reddito di lavoro dipendente (dove si prescinde dal valore normale).

Le plusvalenze derivanti dal conferimento in società (trattasi di vari negozi giuridici collegati, posti in essere allo scopo di sostituire un bene mobile o immobile con la partecipazione ad una società), sono considerati presuntivamente "cessioni a titolo oneroso", calcolate nella differenza tra il corrispettivo (valore normale delle azioni ricevute) ed il costo non ammortizzato del bene conferito.

Anche la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento si presumono effettuati a titolo oneroso, e quindi produttori di reddito.


[modifica] Classificazioni a sfondo tributario

[modifica] Reddito come prodotto

La più antica concezione probabilmente, riconducibile almeno ad Adam Smith che identificava il reddito come valore dei beni e servizi prodotti dedotto il valore del consumo dei beni capitali, secondo questa concezione il reddito è quanto può essere consumato senza intaccare il capitale. La funzione che spiega questa concezione è:

RP = Salari e stipendi + Profitto + Rendite + Interessi

Questa concezione è ormai ritenuta riduttiva perché considera solo i frutti di fonte produttiva.

[modifica] Reddito come entrata

Il reddito come entrata (RE) è stato elaborato dagli economisti Schanz, Haig e Simons, pertanto viene chiamato definizione S-H-S dalle loro iniziali. Per questa concezione il reddito è l'incremento della capacità di acquisto di un individuo. La funzione che spiega questa concezione è (C sono i consumi, W il patrimonio):

RE = C+ΔW

se si considera gli impieghi che l'individuo per fare del reddito, mentre se si considera le fonti, diviene:

RE = RP+Rtrasf+IVPn+ESD+EInasp

dove RP, come spiegato sopra, è il Reddito come Prodotto, Rtrasf i redditi di trasferimento (pensioni, sussidi..), ESD entrate per successioni o donazioni, IVP gli incrementi di valore patrimoniale e EInasp le entrate inaspettate.

Questa definizione di reddito, essendo onnicomprensiva degli aspetti delle entrate e perdite che può subire un individuo, è ritenuta abbastanza esaustiva da molti economisti.

[modifica] Reddito come consumo

Il reddito come consumo è stato propugnato da coloro, in Italia da Luigi Einaudi, che volevano porre a tassazione soltanto quella parte della ricchezza personale destinata al consumo al fine di escludere quella destinata al risparmio ed agli impieghi di capitale.

Tale esenzione deriva dall'esigenza di dover evitare che il risparmio venga tassato doppiamente: se viene tassato tutto il reddito, cioè sia il consumo sia il risparmio, su quella quota risparmiata si pagherebbero due volte le imposte: la prima volta quando viene colpito l'intero reddito, e una seconda volta quando vengono colpiti gli interessi fruttati dal risparmio

[modifica] Reddito derivante da attività illecite

Il problema della rilevanza a fini tributari dei proventi illeciti è datato ed ancora controverso.
La stessa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione esprime due orientamenti opposti, uno a favore della tassabilità, l'altro contro la tassabilità del cosiddetto pretium sceleris.
Ragioni a favore della tassabilità dei proventi illeciti.
In sintesi, le Sezioni Civili della S.C. di Cassazione hanno più volte ritenuto che:

  • il legislatore fiscale (cfr. d.P.R. n. 917 del 1986) ha sempre mostrato con indubbia chiarezza la sua indifferenza per la liceità o illiceità della fonte del reddito; in altri termini, la normativa tributaria accoglie il principio di neutralità fiscale, secondo cui la provenienza del reddito non è elemento di qualificazione di esso e l'illiceità dell'attività da cui esso deriva è elemento estraneo alla fattispecie economica;
  • il citato d.P.R. n. 917 del 1986 (ma il principio di neutralità fiscale già permeava il d.P.R. n. 645 del 1958 e il d.P.R. n. 537 del 1973) indica categorie di redditi talmente vaste e di ampio respiro da comprendere anche i proventi di attività illecite, purché rappresentino una novella ricchezza e manifestino quella capacità economica a sostenere decurtazioni ai sensi dell'art. 53 della Costituzione.
    Ragioni contro la tassabilità dei proventi illeciti.

Le Sezioni Unite penali della S.C. di Cassazione ritengono che il principio di neutralità fiscale vada interpretato alla luce della regola generale della liceità della causa: è tassabile solo il reddito conseguito nell'ambito di un processo produttivo e non anche quello che sia conseguenza di un reato, dove invece le Sezioni Penali ravvisano la vigenza del contrario principio di ripetibilità dei cespiti illeciti.
In altre parole, i proventi derivanti da attività illecite, non essendo frutto di un'operazione produttiva tipizzata dal legislatore ma di un arricchimento senza causa, non possono rientrare nella nozione di reddito in senso tecnico, tanto più che l'ordinamento ha predisposto strumenti giuridici per impedire che il reo consegua un utile economico da un'attività penalmente rilevante (risarcimento, restituzioni, confisca). Se si accogliesse la tesi opposta, si dovrebbe concludere che l'ordinamento fiscale voglia legittimare la permanenza di profitti illeciti nel patrimonio dell'autore del reato.

[modifica] Reddito effettivo e reddito normale

Fin dal 1865, la legislazione fiscale è stata caratterizzata dal contrasto fra la tendenza ad individuare il reddito effettivo e quella a dare rilievo al reddito normale. Vi è infatti una latente contraddizione tra la normativa che tende a rilevare l'«effettiva capacità contributiva», e la concrete determinazioni dell'Amministrazione Finanziaria che invece individua i redditi medio-ordinari per classi, coefficienti e simili meccanismi.
In economie di tipo statico e arretrato, l'Amministrazione Finanziaria usava criteri forfettati di imposizione basati sulla redditività media della categoria. Il reddito era cioè accertato in base a criteri standards che ragionevolmente si avvicinavano al reddito effettivo (indici statici, coefficienti di ricarico, medie ricavate dagli studi degli Ispettori compartimentali, ecc.).
Per le grandi società di capitali, il criterio della redditività media del settore non era però adeguato e doveva farsi riferimento alla situazione specifica della società sottoposta ad accertamento tributario.
Dottrina e giurisprudenza elaborarono la categoria dei cosiddetti «soggetti tassabili in base al bilancio», in cui dominava il principio dell'accertamento del reddito effettivo, in deroga al criterio dell'accertamento di un reddito normale (normale rispetto a tutti gli altri soggetti). Fu anche elaborata la Teoria dei metodi di accertamento, allo scopo di descrivere le regole del gioco in termini di motivazione e di prova.
Tale principio non fu travolto dalla riforma "Vanoni-Tremelloni" del 1958, che introdusse il «principio della perequazione tributaria» nonché l'obbligo generalizzato della dichiarazione dei redditi.
La perequazione tributaria era la ripartizione delle imposte tra i singoli cittadini in base alla accertata capacità contributiva di ciascuno. Base della perequazione era quindi un accertamento rigoroso dei redditi imponibili, per eliminare sperequazioni nella contribuzione e la pratica abusiva dell'evasione.
La riforma del 1958 (attuata con d.P.R. n. 645 del 1958) voleva garantire il contribuente contro accertamenti arbitrari ed adeguare l'imposizione al reddito effettivo. Lo scopo non venne raggiunto perché non vi era sufficiente controllo sull'evasione fiscale, e perché la giurisprudenza e la prassi avallarono il cd. accertamento sintetico (cioè induttivo), basato su criteri valutativi precostituiti e ciò rappresentava una deroga al criterio della tassazione della realtà economica.

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