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Pensione - Wikipedia

Pensione

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La pensione è la forma di remunerazione post lavorativa delle società industrializzate. In Italia prevalentemente di natura pubblica erogata da enti di previdenza statali (pensioni di guerra e tabellari) od anche da enti previdenziali para statali, casse di ordini professionali e private - i fondi pensione -, in altri paesi, dove lo stato sociale non prevede questa forma di assistenza, viene spesso erogata da società private su contribuzione volontaria. La pensione "statale" può essere cumulata con forme "private", detta previdenza complementare.

Oltre alla pensione di anzianità lavorativa, l'INPS eroga altri tipi di pensioni:

  • sociale - erogata alle persone anziane prive di reddito;
  • di invalidità - erogata a persone con un riconosciuto grado di invalidità psicofisica;
  • di reversibilità - quella passata da un coniuge all'altro al sopraggiungere della morte dell'uno.

Per i pubblici dipendenti l'ente erogatore è l'INPDAP che eroga i seguenti tipi di pensioni:

  • dirette
  • indirette - erogate al coniuge superstite del dipendente morto in attività di servizio;
  • di reversibilità erogate al coniuge ed ai figli fino al fine del compimento del periodo legale degli studi.

I servizi utili ai fini del diritto a pensione sono quelli coperti da contribuzione. La contribuzione può essere dei seguenti tipi: contribuzione obbligatoria (quella versata dal datore di lavoro all'ente previdenziale in base ad aliquote contributive proporzionali alla reribuzione percepita dal lavoratore); contribuzione figurativa (riconosciuta gratuitamente dalla legge per periodi non coperti da contribuzione obbligatoria, come il servizio militare o il periodo corrispondente alla comedo di maternità verificatosi al di fuori del rapporto di lavoro); contribuzione da riscatto (riconosciuta onerosamente e su domanda dell'interessato dalla legge per periodi non coperti da contribuzione obbligatoria, come i periodi di studio per il conseguimento del diploma di laurea o altri). I periodi coperti da contribuzione obbligatoria presso diverse gestioni pensionistiche (ad esempio, Inps e Inpdap) possono essere riuniti al fine del conseguimento del diritto a pensione mediante l'istituto della ricongiunzione contributiva.


Il 14 agosto 1935 il Presidente Roosevelt firma il Social Security Act che prevedeva il pagamento di un'indennità di disoccupazione e di una somma a vita per i lavoratori che avevano raggiunto l'età pensionabile. La legge creava il primo sistema pensionistico, a conclusione dei lavori della commissione parlamentare presieduta dall'economista Edwin E. Witte.

La legge istituiva la Social Security, organo di proprietà statale che aveva il compito di gestire il sistema pensionistico. Il sistema pensionistico americano funzionava secondo uno schema a ripartizione, ancora vigente, per il quale i contributi erano a carico per metà del lavoratore, e per l'altra metà, a carico del datore di lavoro. La trattenuta iniziale sul salario era del 2%, progressivamente aumentata nel tempo.

I primi contributi pensionistici iniziarono ad essere versati nel 1937, e il primo assegno pensionistico fu staccato il 1 giugno 1940 a Ida May Fuller, originaria di Brattleboro nel Vermont.

Nel 1939, il Congresso approva tre emendamenti al Federal Insurance Contributions Act, creando la pensione di reversibilità per orfani e vedove, e la pensione minima anche per quanti non avevano contributi versati. Questo provvedimento permise l'accesso ai benefici pensionistici anche a larghe fasce della popolazione, che avevano vissuto la Grande Depressione.

Indice

[modifica] Risvolti sociali

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Il pensionamento è la pratica tipica delle società industriali di indurre, con incentivi o in maniera forzata, il lavoratore non più ritenuto produttivo per raggiunti limiti d'età, ad uscire dal mercato del lavoro, ovvero ad andare in pensione. Il limite di età, raggiunto il quale il lavoratore è considerato pensionabile, non è il frutto di studi sociali, medici o psicologici, bensì dell'arbitrario giudizio del cancelliere tedesco Bismarck che nel 1889 promulgò la prima legge che garantiva la pensione ai lavoratori dipendenti e stabilì, appunto, l'età limite per usufruire di questo diritto. Da quel momento molti paesi industrializzati dell'Europa e gli Stati Uniti presero spunto dalle normative della Germania quando si trattò di regolamentare, sotto questo aspetto, il mondo del lavoro.

È opportuno evidenziare come la valenza di tale pratica è cambiata nel corso degli anni: da tutela di un diritto ad esercizio di una discriminazione. In realtà, come è facile immaginare, non ci sono prove scientifiche che l'essere umano al compimento dell'età pensionabile non è più abile al lavoro ed i dati statistici sullo stato di salute degli anziani non fanno che smentire questi preconcetti. Una correlazione negativa fra età e produttività del lavoratore è meno argomentabile per mansioni che non richiedono uno sforzo fisico, come mansioni impiegatizie o dirigenziali.

Anche una semplice analisi storica evidenzierebbe che nelle società preindustriali (dove l'aspettativa di vita era ben inferiore a quella dei nostri giorni) la persona anziana permaneva a lungo nel mondo del lavoro, almeno finché il suo fisico sopportava l'attività lavorativa, ma in media molto più a lungo di quanto accade oggi.

L'altro motivo dell'introduzione di un'età pensionabile nel mondo del lavoro, è di natura economica. Far fuoriuscire dal mercato, escludendo dalle attività produttive, una certa classe sociale, fa sì che al loro posto possano subentrare i giovani che, nello stereotipo comune, lavorano meglio, di più e sono più aggiornati, ma è anche vero che costano alle aziende molto meno (spesso anche grazie a varie forme di incentivazioni fiscali) dei lavoratori più anziani che godono in media di maggiori privilegi economici.

Oggi questa classe sociale è vittima anche di un'altra discriminazione. Se è vero che molte aziende sono propense ad uno svecchiamento della forza lavoro e che il tasso di disoccupazione è sempre molto alto, l'invecchiamento complessivo della popolazione, che ha assunto carattere significativo dalla metà del secolo scorso, fa sì che per uno stato sociale risulti antieconomico assorbire una sempre maggiore fetta della popolazione che risulta improduttiva e nel contempo consuma risorse sempre più difficilmente rimpiazzabili. Ecco quindi che sorge la necessità di instaurare meccanismi atti a ristabilire gli equilibri che possono essere sia lo spostamento dell'età pensionabile, sia l'aumento della forza lavoro con l'importazione di manodopera dall'estero (immigrazione).

Entrambi i provvedimenti hanno impatti pesanti sulle opportunità occupazionali per i giovani e, riguardo alla prima, anche sull'età media delle risorse umane di un'azienda e la produttività del lavoro.

Molti istituti previdenziali richiedono un numero di anni di contribuzione per concedere i benefici pensionistici al di sotto del quale il lavoratore non avrà nemmeno la pensione minima, perdendo i contributi versati. La norma interessa in particolare lavoratori immigrati, che decidono di rientrare nel Paese d'origine oppure trascorrono la vita lavorativa in nazioni diverse.

In Italia fino a pochi anni fa, la soglia era di 15 anni; in seguito, l'Italia è divenuto uno dei pochi Paesi in cui i diritti pensionistici degli extracomunitari sono gli stessi dei lavoratori italiani.

termine sezione non neutrale

Il sistema pensionistico può essere organizzato secondo uno schema a ripartizione oppure uno schema a capitalizzazione.

Il primo, vigente in Italia, si fonda su un patto di solidarietà fra generazioni, nel quale i contributi prelevati dai lavoratori vengono destinati al pagamento di chi attualmente è in pensione. La proporzione è di circa tre lavoratori per un pensionato, ed è una funzione esponenziale delle generazioni trascorse: se per un pensionato della prima generazione sono necessari tre lavoratori, quando i tre lavoratori andranno in pensione, ne serviranno altri nove, e così via.

Uno schema simile presuppone una crescita demografica esponenziale, sostenuta da flussi di immigrazione programmata a livelli governativi. Per ovviare a questo problema, il calcolo della pensione viene svolto con un metodo contributivo e non retributivo.

Il primo è basato sull'ammontare dei contributi versati ed è volto ad assicurare un equilibrio finanziario fra entrate e uscite, e a contenere l'indebitamento: ogni mese il lavoratore percepirà quindi una determinata percentuale dei contributi versati, calcolata in modo da non pesare eccessivamente sulle generazioni più giovani e sulla base della spettanza di vita.

Il secondo invece, basandosi sul presupposto che la pensione deve preservare il tenore di vita pregresso (così come il contratto non può mai essere peggiorativo), calcola la rendita come percentuale (circa l'80%) dell'ultimo salario percepito.

Le riforme Amato nel 1992, Dini e Treu nel 1995, Berlusconi e Maroni nel 2004, si ponevano l'obiettivo di garantire l'equilibrio finanziario e la pensione alle giovani generazioni, tramite due strumenti: l'innalzamento dell'età pensionabile e la revisione decennale dei coefficienti, unitamente ad una crescita delle pensioni che doveva restare al di sotto dell'aumento del PIL.

Il lavoro a termine in questo senso crea un problema di stabilità dei versamenti contributivi, e un'ulteriore difficoltà all'innalzamento dell'età pensionabile. Infatti, viene proposto di totalizzare i periodi di disoccupazione, tramite dei contributi figurativi; diversamente, il lavoratore per avere 35 anni di contributi versati, dovrà andare in pensione più tardi.

I contributi figurativi sono contabilizzati nel bilancio degli istituti previdenziali, ma non sono effettivamente pagati dallo Stato. Si tratta di un diritto acquisito del lavoratore, e di un impegno per lo Stato a pagare gli anni mancanti quando questi presenterà la domanda di pensionamento.

Lo schema contributivo è molto simile a quello a capitalizzazione, vigente ad esempio nei Paesi Scandinavi, in cui ogni contribuente ritira nel periodo della pensione il solo denaro versato durante la sua vita lavorativa. I contributi vengono investiti in portafogli a basso rischio, insieme agli interessi maturati, che crescono in un regime di capitalizzazione composta.

Al deficit degli istituti previdenziali contribuiscono anche la mancata separazione fra assistenza e previdenza, per la quale gli istituti previdenziali devono caricare nel loro bilancio uscite per ammortizzatori sociali (quali cassa integrazione, sussidi di disoccupazione e mobilità, assegni di accompagnamento per anziani disabili e pensioni minime a quanti non hanno contributi versati) che non sono corrisposti da contributi in entrata, generando debiti o perdite. Tali indennità all'estero sono spesso erogate da istituti separati, e caricate sulla fiscalità generale.

[modifica] Pensione sociale

Alla pensione sociale (o pensione minima) accedono le persone oltre i 65 anni di età prive di reddito, che non hanno versato contributi, o che hanno versato contributi per una pensione inferiore al minimo sociale. La pensione integrata al trattamento minimo (impropriamente pensione minima) è cosa differente dalla pensione sociale (oggi assegno sociale).

Con un minimo di anni contributivi e il pagamento rateizzato di quelli mancanti, hanno accesso alla pensione minima anche le persone di età inferiore e rimaste prive di reddito (ad es. vedova non occupata).

Il reddito da pensione sociale (se non è cumulato ad altri redditi come affitti o salari) esenta le persone dalla presentazione del modulo 730 e dal pagamento dell'IRPEF e altre imposte.

La pensione sociale è considerata come un riferimento di reddito per le fasce sociali più deboli da proteggere. Al di sotto di tale reddito una famiglia o una persona si considerano nella soglia della povertà.

Perciò sono oggetto di dibattito politico ulteriori proposte per proteggere tali fasce della popolazione, oltre all'esenzione dalle imposte.

Le Associazioni dei Consumatori e altre parti sociali da anni propongono delle tariffe sociali a favore delle fasce di reddito più basse.

Acqua, energia, gas, poste e telecomunicazioni, trasporti sono servizi essenziali universali di pubblica utilità, per i quali di principio è previsto il diritto ad un accesso universale, a prezzi accessibili e secondo standard minimi di qualità.

Standard minimi di qualità sono stati introdotti a tutela delle zone geografiche in cui è antieconomica l'erogazione di un servizio, per evitare l'adozione da parte degli operatori di soluzioni di qualità inferiore pur di ridurre investimenti in perdita.

Livelli di servizio minimi (e differenti) tutelano anche chi ritarda o è inadempiente ai pagamenti a causa di un reddito troppo basso. Infatti, gli operatori limitano o interrompono l'erogazione del servizio ai morosi, indipendentemente dal reddito del non-pagatore. Tuttavia, la legge impone per l'acqua o l'energia che l'operatore possa limitare l'erogazione riducendo pressione e portata dell'acqua, piuttosto che il chilowattora e il voltaggio elettrico, ma vieta l'azzeramento del servizio.

La disciplina è contenuta nelle leggi sul servizio universale o nei contratti di servizio firmati a livello locale fra amministrazioni statali e operatori pubblici o privati. Queste fonti però non introducono quelle agevolazioni tariffarie che dovrebbero garantire il diritto di accesso a tali servizi alle fasce di reddito più basse.

Per il gas metano, l'Autorità ha previsto che i Comuni possano destinare l'1% dell'importo del gas erogato, per istituire agevolazioni tariffarie per le famiglie economicamente disagiate. Ad oggi solo 50 Comuni su 8.000 hanno assunto decisioni in merito.

Per le fasce di reddito inferiori ai 7000 euro, l'Agcom ha deciso il dimezzamento del canone Telecom. La Toscana (legge regionale n°100 del 1998) ha creato tariffe fortemente scontate del 40% per i trasporto pubblico urbano ed extraurbano. La legge è stata poi seguita da altre regioni, ma non vale ancora a livello nazionale.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

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