Endecasillabo falecio
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L'endecasillabo falecio è un verso di larghissimo uso sia nella poesia greca che in quella latina. Prende il suo nome dal poeta alessandrino Faleco, il quale ne fece frequente impiego come verso stichico; ma il suo uso è molto più antico e risale all'epoca arcaica.
Schema: X X | — ∪ ∪ — | ∪ — | ∪ — X
Il suo schema base è formato da un gliconeo seguito da un monometro giambico catalettico, che assume la forma di un cretico. La resa del verso non differisce molto da quella del gliconeo: la base eolica è prevalentemente spondaica o trocaica, mentre la forma trisillabica è estremamente rara, e in età imperiale — tanto nella poesia latina con Marziale che in quella greca con Simia — lo spondeo diviene l'unica forma ammessa. Le due sillabe libere dopo il coriambo del gliconeo sono rese di norma con un giambo, ma si può incontrare anche la forma spondaica; la sizigia giambica può ammettere la lunga irrazionale, assumendo la forma di un molosso.
Alcuni esempi:
Cui dono lepidum novum libellum / arida modo pumice expolitum? (Catullo, I, v. 1-2. In questo esempio il primo falecio inizia con uno spondeo, il secondo è trocaico.)
Del falecio esiste anche una forma acefala (X | — ∪ ∪ — | ∪ — | ∪ — X), che si incontra con una certa regolarità nella poesia greca arcaica e classica: l'esempio più antico si incontra in un frammento di Saffo.
Rara, ma nota, è anche la forma catalettica del falecio (X X | — ∪ ∪ — | ∪ — | ∪ —), chiamata in alcune fonti antiche metro nicarcheo: la si incontra, ad esempio, in alcune strofe di Bacchilide.