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Storia della Corsica - Wikipedia

Storia della Corsica

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La bandiera di Corsica, simbolo della sua indipendenza nazionale.
La bandiera di Corsica, simbolo della sua indipendenza nazionale.

Nella storia della Corsica geografia ed orografia hanno avuto conseguenze più spiccate che altrove. La grande isola mediterranea è un'autentica "montagna in mezzo al mare", attraversata com'è, da nord-ovest a sud-est, da un formidabile sistema di catene montuose le cui cime superano spesso i 2.500 metri. Tali cime culminano nei 2.706 metri del Monte Cinto, la cui vetta - spesso innevata anche d'estate - dista solo 28 km dal mare a ponente, illustrando così assai bene lo sviluppo verticale più che orizzontale di questa terra.

Questo sistema montuoso ha da sempre diviso la Corsica in due parti: quella a Nord-Est (oggi Haute-Corse), detta storicamente Banda di dentro, Di qua dai monti o Cismonte (avendo come riferimento l'Italia), e quella a Sud-Ovest (oggi Corse-du-Sud), detta Banda di fuori, Di là dai monti o Pumonte.

I passi che attraversano le montagne - molti dei quali sono situati oltre i 1.000 metri - erano bloccati anche per settimane dalle nevicate, venendo così a costituire, assieme ai monti, più una barriera che un vero collegamento tra le due sub-regioni. Ancora, le ripide vallate, spesso prive di collegamenti tra loro anche nell'ambito della stessa Banda, tracciano come una ragnatela a compartimenti stagni nell'entroterra còrso.

Se da un lato queste caratteristiche del terreno hanno reso lungo e difficile il compito agli invasori, rendendone lenta la penetrazione ed abituando i còrsi a fare di guerra e guerriglia il proprio pane quotidiano per secoli, dall'altro hanno contribuito decisivamente a tenere sempre relativamente bassa la densità di popolazione e a separare i còrsi tra loro.

Il versante rivolto all'Italia ha subito una maggiore influenza dalla Penisola, sia sul piano politico-sociale, sia su quello linguistico, mentre la parte sud-occidentale ha mantenuto un'originalità più spiccata (ma goduto di un minore progresso politico, almeno sino all'invasione francese), mentre il radicamento della popolazione nelle vallate montane - tutte le maggiori città sul mare sono state fondate o sviluppate dagli invasori - ha generato e diffuso ovunque una tendenza al particolarismo, a volte spinta sino a sfociare in una sorta di anarchismo la cui conseguenza forse più drammatica fu il diffondersi e l'affermarsi, per secoli, della piaga della vendetta (simile alla faida diffusa storicamente anche in alcune zone d'Italia) quale sistema sommario di giustizia, e del diffuso fenomeno del banditismo.

Vista satellitare sintetica della Corsica che ne evidenzia il rilievo montuoso. Sullo sfondo l'Arcipelago Toscano e l'Argentario
Vista satellitare sintetica della Corsica che ne evidenzia il rilievo montuoso. Sullo sfondo l'Arcipelago Toscano e l'Argentario

La grande divisione orografica longitudinale e quelle (minori, ma a volte non meno importanti) trasversali, più marcate nella zona sud-occidentale, hanno dunque finito per creare nell'isola confini ideali, sociali, linguistici e politici. Tali confini, filtrati dalla storia, si sono tradotti nelle suddivisioni amministrative, che, tranne poche variazioni, sono rimaste immutate sino ai giorni nostri.

L'insularità della Corsica e le sue notevoli dimensioni (quasi 8.800 chilometri quadrati), pur non assicurandole uno sviluppo realmente autonomo, hanno tuttavia costituito la necessaria premessa per conferire alla sua tormentata storia un'originalità rimarchevole (ed a fare dei còrsi più dei fieri montanari che dei marinai) ed hanno garantito la nascita e la crescita, sino ai giorni nostri, di un forte sentimento nazionale e di un mai del tutto sopito desiderio d'indipendenza.

Situata in posizione strategica nel Mediterraneo occidentale, la Corsica, d'altra parte, non poteva sperare di non suscitare l'interesse dei popoli e degli Stati che, via via, si sono affacciati su quel mare come commercianti e come conquistatori.

Fenici, Greci, Romani, Vandali, Bizantini, Pisani, Aragonesi, Genovesi e, per ultimo, i francesi (che con il Trattato di Versailles del 1768 di fatto costrinsero la Repubblica di Genova a cedere l'isola, e subito dopo l'invasero in forze), si sono fatti signori di Corsica durante il correre di oltre due millenni, lasciando al suo popolo - salvo eccezioni sporadiche - solo brevissimi periodi di autonomia ed indipendenza.

Indice

[modifica] I primi abitanti

Per conseguenza delle glaciazioni il livello medio del Mediterraneo si abbassò e si vennero a creare diversi ponti naturali che consentirono il passaggio della fauna - e forse dell'uomo - dal continente italiano all'arcipelago sardo-corso, passando per le isole di quello toscano ed attraversando al più uno stretto tratto di mare. Attorno a 12-14mila anni fa, il clima iniziò l'evoluzione che lo ha portato verso la sua forma attuale, e la Corsica assunse l'odierno aspetto insulare. Risalgono a circa il 9000 a.C. (Romanelliano) i primi giacimenti paleolitici di pietre scheggiate e gli abbozzi scultorei finora ritrovati in Corsica, nella regione di Porto-Vecchio. Uno scheletro femminile (la dame de Bonifacio) datato al VII millennio a.C. è stato trovato presso la città omonima. Il Neolitico, rappresentato in Corsica anche da reperti di ossidiana importati, si conclude verso il 1800 a.C.

Menhir (stantare) allineati nel sito megalitico di Palaghju nei pressi di Sartena
Menhir (stantare) allineati nel sito megalitico di Palaghju nei pressi di Sartena

In questo periodo si sviluppa una civiltà megalitica di rilievo che lascia sull'isola dolmen (stazzòne, trovati presso Cauria e Pagliagio), menhir (stantare) e il maggior numero di originali statue-menhir del Mediterraneo, concentrate soprattutto a Sud, nel sito di Filitosa, ma presenti anche al Nord, presso San Fiorenzo. Il sito di Filitosa - riconosciuto patrimonio mondiale dall'UNESCO - si trova nei pressi di Sollacaro, verso lo sbocco a mare della valle del Taravo).

Sempre nel Sud si sviluppa, con l'avvento dell'età del bronzo, la civiltà Torreana, collegata a quella Nuragica della vicina Sardegna. Di questa cultura restano oggi numerose torri con struttura simile a quella dei nuraghi sardi, ma meno imponenti. Per la natura dei reperti, la loro epoca e la loro localizzazione, si tende a supporre che tale civiltà fosse un'estensione di quella coeva sviluppatasi in Sardegna. Meglio organizzati ed armati, i Torreani (che taluni fanno coincidere con l'antico popolo del mare degli Shardana) hanno la meglio sui megalitici e li scacciano verso il centro e il nord dell'isola. Lo stesso sito di Filitosa reca le tracce della distruzione cruenta dell'insediamento precedente e la sovrapposizione ad esso di uno torreano.

Verso l'Età del ferro sembra avvenga una progressiva fusione tra gli eredi delle due civiltà: prende così forma il popolo che i Greci chiameranno Κὁρυιοι, còrsi. Significativo il ritrovamento di alcune iscrizioni Fenicie risalenti al IX sec. a.C. che citano il popolo del mare denominato KRSYM, stanziato a Kition (Cipro). Nella grafia priva di vocali usata dai Fenici e da altri popoli semitici, KRSYM potrebbe stare per KoRSi (essendo -im il fonema caratterizzante le forme plurali). I KRSYM furono abbastanza importanti da render necessaria da parte dei Fenici l'istituzione di una figura detta MLS HKRSYM, ossia l' interprete dei Korsi.

[modifica] Invasioni dell'epoca classica

In questo periodo ogni nuovo invasore scaccia il precedente. Giungono sull'isola in rapida successione Iberi, Liguri, Fenici e Greci, mentre gli indigeni si rifugiano tra i monti.

Iniziata sull'isola attorno all'VIII secolo a.C., l'età del Ferro termina con l'ingresso della Corsica nella Storia quando viene fondata da coloni Greci Focesi la colonia di Alalia 565 a.C., presso il sito dell'attuale città di Aleria. I Greci chiamano l'isola Cyrnos.

Anche i Greci resistono poco: nel 535 a.C., a seguito della battaglia del mare sardo, vengono scacciati da una coalizione Etrusco-Cartaginese. Seguono le incursioni dei Siracusani che, nel V secolo a.C., fondano Portus Syracusanus (Porto Vecchio) e, di nuovo, quelle dei Cartaginesi (IV secolo a.C.).

[modifica] Sette secoli di Corsica romana

Le antiche Tribù Còrse e le principali città e strade in epoca Romana.
Le antiche Tribù Còrse e le principali città e strade in epoca Romana.

Lucio Cornelio Scipione occupa la Corsica nel 259 a.C., durante la I guerra punica, dando l'avvio a una dominazione ininterrotta che durerà circa sette secoli.

Dopo una serie di alterne vicende, che vedono i Romani tentare l'occupazione della Sardegna a partire dalla Corsica e poi scontrarsi con i còrsi, la definitiva espulsione delle ultime forze puniche si conclude nel 227 a.C. Inizialmente i Romani si limitano a controllare l'isola senza avviare una vera e propria colonizzazione.

Mario fonda la città di Mariana (Colonia Mariana a Caio Mario deducta, sita presso l'attuale comune di Lucciana) verso la foce del Golo nel 105 a.C. Da questo momento inizia la colonizzazione vera e propria e sull'isola fioriscono ville rustiche e suburbane, villaggi e insediamenti di ogni tipo, incluse le terme di Orezza e Guagno.

Nell'81 a.C. sono i legionari di Silla a trovare in Corsica il luogo di pensionamento, stavolta presso Aleria, seguiti dai veterani di Giulio Cesare. La dominazione romana si svolge senza incidenti di rilievo e, analogamente a quanto avviene in altre province (la Corsica è amministrativamente associata alla Sardegna con la riforma di Ottaviano Augusto del 4 a.C.), i Romani si guadagnano il rispetto e la collaborazione dei capi indigeni (a cominciare dai Venacini, tribù locale del Capo Còrso), riconoscendo loro funzioni di governo locale e apportando ricchezza con la messa a profitto delle terre sfruttabili in collina e lungo le coste.

Presso Aleria e Mariana vengono approntate basi secondarie della flotta imperiale di Miseno. I marinai còrsi arruolati presso i porti dell'isola saranno tra i primi a ottenere la cittadinanza romana (sotto Vespasiano nel 75).

Nel 44 a.C. Diodoro Siculo visita la Corsica e nota che i còrsi osservano tra loro regole di giustizia e d'umanità più evolute di quelle di altri popoli barbari, ne valuta il numero in circa 30.000 e riferisce che essi sono dediti alla pastorizia e che marchiano le greggi lasciate libere al pascolo. La tradizione della proprietà comune delle terre comunali non sarà eradicata del tutto se non nella seconda metà del XIX secolo.

Seneca passa dieci anni in esilio in Corsica a partire dal 41. Malgrado i continui collegamenti con l'Italia e forse per la sua natura selvaggia, l'isola diviene regolare luogo d'esilio e rifugio di cristiani, che probabilmente vi diffondono la nuova Fede.

In epoca Antonina vengono perfezionate le vie di comunicazione interna (strada Aleria-Aiacium e, sulla costa Est, Aleria-Mantinum - poi Bastia - a Nord e Aleria-Marianum - poi Bonifacio - a Sud): l'isola è pressoché completamente latinizzata, salvo qualche enclave montana.

Sembra accertato che l'isola fu colonizzata dai Romani soprattutto attraverso le distribuzioni di terre a veterani provenienti dall'Italia meridionale - o a soldati provenienti dagli stessi strati sociali ed etnici cui furono similmente assegnate terre soprattutto in Sicilia -, il che aiuterebbe a spiegare alcune affinità linguistiche riscontrabili ancor oggi tra Còrso meridionale e dialetti siculo-calabri. Secondo altre ipotesi, più recenti, gli influssi linguistici potrebbero essere dovuti a migrazioni più tarde, risalenti all'arrivo di profughi dall'Africa tra il VII e l'VIII secolo. La stessa ondata migratoria sarebbe approdata anche in Sicilia e in Calabria.

Nel 150 il geografo Tolomeo nella sua opera cartografica offre una descrizione piuttosto accurata della Corsica preromana, elencando 8 fiumi principali (tra i quali il Govola-Golo e il Rhotamus-Tavignano), 32 centri abitati e porti - tra i quali Centurinon (Centuri), Canelate (Punta di Cannelle), Clunion (Meria), Marianon (Bonifacio), Portus Syracusanus (Porto Vecchio), Alista (Santa Lucia di Porto Vecchio), Philonios (Favone), Mariana, Aleria -, e 12 tribù autoctone (in greco, latino e loro localizzazione):

  • Kerouinoi (Cervini, Balagna);
  • Tarabenoi (Tarabeni, Cinarca);
  • Titianoi (Titiani, Valinco);
  • Belatonoi (Belatoni, Sartenese);
  • Ouanakinoi (Venacini, Capo Còrso);
  • Kilebensioi (Cilebensi, Nebbio);
  • Likninoi (Licinini, Niolo);
  • Opinoi (Opini, Castagniccia, Bozio);
  • Simbroi (Sumbri, Venaco);
  • Koumanesoi (Cumanesi, Fiumorbo);
  • Soubasanoi (Subasani, Carbini e Livia);
  • Makrinoi (Macrini, Casinca).

Santa Devota (martire attorno al 202, persecuzione di Settimio Severo, o al 304, persecuzione di Diocleziano) è, assieme a Santa Giulia, una delle prime sante còrse di cui si abbia notizia. Secondo la leggenda la nave che ne trasportava il feretro verso l'Africa fu gettata da una tempesta sul litorale monegasco. Per questo è divenuta la patrona del Principato di Monaco e della famiglia Grimaldi.

Santa Giulia (martire durante la persecuzione di Decio del 250, o quella di Diocleziano), è patrona di Corsica e di Brescia, città dove riposano le sue reliquie dopo che vi fu fatta trasportare da Ansa, moglie del re longobardo Desiderio nel 762. Santa Giulia è patrona anche di Livorno dove le spoglie della santa avrebbero fatto tappa provenendo dalla Corsica.

A queste martiri se ne aggiunge un'intera schiera, tra i quali forse il primo vescovo di Corsica, San Parteo. Dopo l'Editto di Milano di Costantino I il Grande e l'instaurazione della libertà religiosa, la Corsica, già ampiamente romanizzata e cristianizzata, è associata alla diocesi di Roma. Il primo vescovo còrso di cui si abbia notizia certa è Catonus Corsicanus, che partecipa al Concilio di Arles indetto da Costantino I.

Come altrove in occidente l'organizzazione romana in Corsica cade con l'invasione dei Vandali che nel V secolo, muovendo dall'Africa, investe la stessa città di Roma. Aleria viene saccheggiata e, abbandonata, finisce in rovina. Mariana sarà invece a lungo sede vescovile anche nel Medioevo.

[modifica] L'Alto Medioevo

Berengario si sottomette ad Ottone il Grande
Berengario si sottomette ad Ottone il Grande

Durante le convulsioni che accompagnarono la fine dell'Impero romano d'occidente, la Corsica fu disputata tra tribù di Vandali e Goti alleate degli ultimi imperatori, sino a che Genserico se ne assicurò il pieno controllo nel 469.

Durante i 65 anni della loro dominazione i Vandali sfruttano il patrimonio forestale dell'isola per la cantieristica navale, attraverso la quale si dotano di una flotta che terrorizza il Mediterraneo occidentale.

La potenza Vandala in Africa viene quindi distrutta da Belisario, mentre il suo generale Cirillo conquista la Corsica nel 534, che viene così unita all'Esarcato d'Africa e, come tale, unita all'Impero Romano d'Oriente. Secondo Procopio, storico dell'imperatore d'oriente Giustiniano I, in Corsica restano meno di 30.000 abitanti.

Nel periodo successivo, Goti e Longobardi prendono successivamente d'assalto e saccheggiano l'isola, lasciata indifesa dai Bizantini, i quali - a dispetto delle preghiere di Papa san Gregorio magno e dopo averla a loro volta impoverita con un eccessivo carico fiscale - non la proteggono adeguatamente. D'altra parte, i Bizantini stessi sono travolti in Africa dall'invasione araba e, nel 713, gli Arabi realizzano le loro prime scorrerie contro la Corsica, muovendo dalle loro nuove basi nordafricane.

A quest'epoca si può far risalire l'avvio di un notevole processo di spopolamento dell'isola e la formazione, presso Roma, di una colonia còrsa a Porto (Ostia), nel cui seno pare tragga più tardi origine Papa Formoso (891-896).

La Corsica resta nominalmente legata all'Impero romano d'oriente sino a quando, nel 774, Carlo Magno travolge i Longobardi in Italia e conquista l'isola, che passa così sotto la giurisdizione dei Franchi. Ma già dall'806 viene segnalata una nuova recrudescenza di incursioni dei Mori, stavolta provenienti dalla Penisola Iberica; sconfitti più volte dai luogotenenti dell'imperatore Carlo Magno, essi riescono tuttavia a prenderne brevemente il controllo nell'810. Infine, spazzati via dall'isola da una spedizione guidata dal figlio dell'imperatore Carlo, i Mori non si danno tuttavia per vinti e continuano a investire la Corsica con le loro incursioni.

Al fine di tentare di porre fine a tale stato di cose, nell'828 la difesa dell'isola viene affidata a Bonifacio II, conte della Marca di Toscana, che conduce una vittoriosa spedizione punitiva direttamente contro i porti nordafricani dai quali partono gli assalti arabi contro i litorali tirrenici; sulla via del ritorno Bonifacio costruisce una fortezza presso la punta Sud della Corsica, fondando così il nucleo fortificato della città di (Bonifacio), affacciata sullo stretto (Bocche di Bonifacio) che separa l'isola dalla Sardegna, e lasciando così il proprio nome nei corrispondenti toponimi.

La guerra contro i Saraceni, che avevano ben presto ripreso i loro attacchi, fu proseguita dal figlio di Bonifacio, Adalberto, che ne ereditò l'incarico nell'846. Tuttavia i Saraceni rimasero padroni di alcune basi sull'isola almeno sino al 930.

La Corsica, che nel frattempo era unita al regno di Berengario II, re d'Italia, divenne rifugio di suo figlio Adalberto nel 962, dopo che Berengario venne detronizzato da Ottone I il Grande. Adalberto riuscì a mantenere il controllo della Corsica e ne passò il controllo al suo omonimo figlio Adalberto, il quale fu tuttavia sconfitto dalle forze di Ottone II. Si determinò pertanto il passaggio dell'isola alla Marca di Toscana, restando l'ultimo Adalberto responsabile della sola Corsica.

[modifica] Terra di Comune e Terra dei Signori

A quest'epoca si fa risalire il sorgere dell'anarchia feudale che vide esplodere la lotta tra piccoli signori locali ansiosi d'espandere i loro piccoli domini. Tra costoro spiccano i Conti di Cinarca, che si pretendono discendenti diretti di Adalberto e mirano ad espandere il loro dominio sull'intera isola. Tale pretesa trova però notevoli ostacoli e dà origine a scontri che si protrarranno per secoli: per contrastare le perduranti ambizioni dei feudatari, ancora nel XIV secolo Sambucuccio d'Alando si mette alla testa di una sorta di Dieta che si oppone alle loro pretese, confinando i signori nella porzione Sud-Ovest dell'isola. Questa prenderà il nome di "Terra dei Signori" (Pomonte), mentre nella restante parte dell'isola si afferma definitivamente un regime che lega tra loro comuni autonomi (sull'esempio del modello analogo in sviluppo in Italia sin dall'XI secolo). Tale territorio prenderà il nome di "Terra di Comune" (Cismonte).

La divisione è destinata a durare molto a lungo (sino al XVIII secolo) e a segnare significative differenze nello sviluppo sociale, economico e persino linguistico tra le due parti dell'isola, con il nord più legato all'Italia e con un idioma sempre più toscanizzato.

Dal punto di vista organizzativo, nella Terra di Comune, ciascuno dei comuni più importanti facenti capo a una Pieve (la parrocchia principale del circondario) nominava (tramite suffragio universale, ivi comprese le donne) un numero variabile di rappresentanti detti "Padri del comune", responsabili dell'amministrazione della giustizia e dell'elezione del loro presidente, detto podestà, che ne coordinava l'operato. I podestà delle varie Pievi, a loro volta, sceglievano i membri di un consiglio superiore, detto "Consiglio dei Dodici", responsabile delle leggi e regolamenti che reggevano la Terra di Comune. I "Padri del comune", inoltre, eleggevano per ogni Pieve un "Caporale", un magistrato responsabile della protezione e della salvaguardia degli strati poveri della popolazione, incaricato di garantire che i più svantaggiati non subissero soprusi e che fosse loro assicurata giustizia. Gran parte delle terre di questa regione erano considerate di proprietà comune delle collettività comunali. La totale abolizione delle proprietà comuni, promossa nella seconda metà del XIX secolo dalla Francia, ebbe conseguenze molto gravi per l'economia della Corsica.

In Cinarca (Terra dei Signori) i baroni feudali mantenevano le loro prerogative, come anche quelli che controllavano il Capo còrso, e assieme costituivano una minaccia al sistema in vigore in "Terra di Comune".

Per farvi fronte, nel 1020 i magistrati di quest'ultima chiesero l'intervento di Guglielmo Marchese di Massa (della famiglia poi nota come Malaspina), il quale, sceso nell'isola, ridusse all'ordine i baroni del Conte di Cinarca e stabilì sulla Corsica un proprio protettorato, da trasmettere poi al proprio figlio.

Verso la fine dell'XI secolo, tuttavia, il Papato sollevò, sulla base di documenti falsificati (una donazione ad opera di Carlo Magno, il quale aveva al più stabilito una reversibilità del proprio dominio a favore della Santa Sede), la questione della propria sovranità sulla Corsica. Tale rivendicazione trovò largo consenso nel seno della stessa isola, a cominciare dal suo clero, e nel 1077 i còrsi si dichiararono soggetti a Roma.

[modifica] Il dominio pisano

Torre campanaria in stile romanico-pisano della più antica chiesa di Bonifacio, Santa Maria Maggiore (XII sec.)
Torre campanaria in stile romanico-pisano della più antica chiesa di Bonifacio, Santa Maria Maggiore (XII sec.)
Chiesa di San Michele di Murato in stile romanico-pisano (XII sec)
Chiesa di San Michele di Murato in stile romanico-pisano (XII sec)

Il grande papa Gregorio VII (1073-1085), nel pieno della lotta per le investiture con l'imperatore Enrico IV, non prese direttamente il controllo dell'isola, ma l'affidò al vescovo di Pisa, Landolfo, investito della carica di legato pontificio per la Corsica. A seguito di tale evento, il titolare della cattedra arcivescovile pisana divenne anche Primate di Corsica (e di Sardegna), carica conservata a livello onorifico sino ai giorni nostri. Quattordici anni dopo, Papa Urbano II (1088-1099), su istanza della contessa Matilde di Canossa, confermò le concessioni del suo predecessore tramite la bolla Nos igitur. Il titolo di legato pontificio passò quindi a Daiberto, installato sulla cattedra di Landolfo. L'assegnazione come suffraganei dei vescovati còrsi fece sì che il vescovo di Pisa assumesse il titolo di arcivescovo.

Pisa, con il suo porto, intratteneva da secoli (sin dall'epoca romana) stretti rapporti con l'isola, espandendovi - via via che la propria potenza come Repubblica marinara cresceva - la propria influenza politica, culturale ed economica.

All'amministrazione vescovile seguì inevitabilmente l'autorità politica dei Giudici (magistrati amministrativi) della Repubblica toscana, destinata in breve tempo a far rifiorire la Corsica e segnarla profondamente, anche dopo la sostanziale perdita di controllo dell'isola seguita alla disastrosa disfatta subita dai pisani ad opera dei genovesi, nella battaglia della Meloria (1284).

Malgrado quello che ancor oggi viene giudicato generalmente il buon governo della Repubblica di Pisa, non mancarono in Corsica i motivi di dissidio. Parte del clero e dei vescovi dell'isola mal sopportavano la soggezione all'arcivescovo pisano, mentre la crescente potenza della Repubblica di Genova, arcirivale di quella di Pisa e cosciente del valore strategico della Corsica, affiancava alle lamentele dei còrsi presso la corte papale di Roma i propri intrighi per ottenere una modifica dell'assetto dell'isola in proprio favore.

Fu così che, dopo un periodo durante il quale il papato non prese una posizione chiara e coerente, nel 1138 Papa Innocenzo II (1130-1143) delineò una soluzione di compromesso, dividendo la giurisdizione ecclesiastica dell'isola tra gli arcivescovi di Pisa e di Genova, segnando così l'inizio dell'influenza ligure sulla Corsica, resa ancor più concreta, nel 1195, dall'occupazione genovese dell'importante porto e fortezza di Bonifacio.

I pisani tentarono per vent'anni, senza successo, di riprendere la città, sino a quando, nel 1217 Papa Onorio III (1216-1227), chiamato a mediare, prese formalmente controllo della piazzaforte. La mediazione papale, tuttavia, non bastò a spegnere la lotta tra Pisa e Genova che, con la loro influenza, fecero riverberare durante tutto il XIII secolo anche sull'isola la lotta tra Guelfi e Ghibellini che sconvolgeva il resto d'Italia.

Nell'ambito di tale lotta (e seguendo uno schema che si era già e si sarebbe poi ripetuto più volte nell'isola, favorendone la dominazione), i maggiorenti della Terra di Comune si risolsero a invocare l'intervento del marchese Isnardo Malaspina. I pisani reagirono instaurando un nuovo conte di Cinarca, e la guerra sconvolse l'isola senza che né il partito genovese né quello pisano riuscissero a prevalere in modo decisivo. La sconfitta della Meloria 1284, tuttavia, fece basculare decisamente il piatto della bilancia in favore di Genova che, da allora, estese con sempre maggiore intensità la propria influenza in Corsica.

[modifica] L'eredità di Pisa

Chiesa di Aregno in romanico pisano, testimonianza del dominio pisano
Chiesa di Aregno in romanico pisano, testimonianza del dominio pisano

La memoria dell'influenza pisana è perpetuata dalla toponomastica, che si sviluppa a partire da questo periodo, dall'onomastica (sono tuttora diffusi in Corsica molti cognomi d'origine toscana), dalla lingua locale (toscaneggiante soprattutto nella regione di Bastia e del Capo còrso) e da alcuni dei più pregevoli esempi d'architettura romanica rimasti nell'isola, testimonianza dell'impegno anche edilizio (chiese ed edifici pubblici: su tutte le cattedrali di Nebbio, Mariana, S. Michele di Murato, S. Giovanni di Carbini, S. Maria Maggiore di Bonifacio, S. Nicola di Pieve) e infrastrutturale (strade, ponti, fortezze e torri).

Anche dopo l'inizio del dominio genovese, Pisa mantenne sempre stretti rapporti con la Corsica, come testimoniato anche dal ricco corpus documentario relativo alla Corsica presente ancor oggi presso la Curia della città toscana, cui fu a lungo annesso un collegio per seminaristi còrsi.

Poco noto, ma significativo, il fatto che il Nielluccio, uno dei vitigni più diffusi sull'isola (affine al Sangiovese di Toscana) e base del vino còrso Patrimonio, è stato importato in Corsica dai Pisani nel XII secolo.

A partire dal dominio pisano, e nei secoli a seguire, sino al XX secolo, non vengono mai del tutto meno i rapporti culturali dell'isola con Pisa e la Toscana, testimoniati anche dalla penetrazione di elementi schiettamente toscani e, persino, di interi brani della Divina Commedia di Dante nel ricchissimo repertorio di proverbi e canti tradizionali polifonici (paghjelle) dell'isola.

Nel frattempo prende prestigio in Corsica anche il volgare toscano, che ne diviene la lingua ufficiale.

Pisa sarà anche la prima delle sedi universitarie (seguita da Roma e Napoli) frequentate daicòrsi: diverrà così proverbiale anche nell'isola dire parla in crusca di coloro che facevano sfoggio di un perfetto italiano: tale abitudine resterà popolare sino a gran parte del XIX secolo. Hanno studiato a Pisa Carlo e Giuseppe Bonaparte, Antonmarchi - medico a Sant'Elena di Napoleone -, il poeta Salvatore Viale, l'igienista Pietrasanta, medico di Napoleone III venendo, nel caso degli Angeli, Farinola, Pozzo di Borgo ed altri a far parte del collegio docente e rettorale dell'Università toscana.

[modifica] La parentesi aragonese e la penetrazione genovese

I resti di un torre genovese a Erbalunga, Corsica del nord
I resti di un torre genovese a Erbalunga, Corsica del nord

Il 12 giugno 1295, a complicare il quadro della Corsica, che - dopo la sconfitta di Pisa alla Battaglia della Meloria - sfuggiva al controllo pisano, intervenne Papa Bonifacio VIII (1294-1303), con la sua investitura in favore di re Giacomo II di Aragona (impegnato nella lotta per la Reconquista) a sovrano del nascente regno di Sardegna e Corsica (Trattato di Anagni).

Gli Aragonesi, tuttavia, si risolsero ad attaccare la Sardegna solo nel 1324, mettendo così una pietra tombale su qualsiasi velleità residua di controllo del nord sardo e della Corsica da parte dei Pisani.

La Corsica resta frattanto vittima di una sostanziale anarchia sino al 1347, quando viene convocata una grande assemblea di Caporali e Baroni che, sotto la guida di Sambucuccio d'Alando, decidono di porsi sotto la protezione di Genova e di offrire alla Repubblica ligure la sovranità totale sull'isola, da esercitarsi a mezzo di un Governatore.

Secondo l'offerta, la Corsica avrebbe pagato regolari tributi a Genova, che a sua volta avrebbe offerto protezione dalla mai sopita piaga che erano le scorrerie dei pirati barbareschi (che proseguiranno con fasi alterne sino al XVIII secolo), e garantito il mantenimento delle leggi còrse e delle sue strutture e consuetudini di autogoverno locale, regolati dal Consiglio dei Dodici per il Cismonte, e dal Consiglio dei Sei per il Pumonte. Gli interessi isolani sarebbero stati rappresentati presso Genova da un "Oratore".

Intanto l'intera Europa era afflitta dal flagello della Peste nera, che giunse anche in Corsica mietendovi numerosissime vittime proprio mentre si affermava la supremazia genovese. L'accordo tra Caporali e Baroni venne presto violato e sia gli uni, sia gli altri, si opposero l'un l'altro mentre insieme contrastavano l'instaurarsi concreto della signoria genovese in Corsica. Di tale situazione approfittò re Pietro IV di Aragona per ribadire la propria sovranità sull'isola.

In questo quadro prese le mosse il Barone Arrigo della Rocca, Conte di Cinarca, il quale con l'appoggio delle truppe aragonesi nel 1372 prese il controllo quasi totale dell'Isola, lasciando solo il Nord estremo e poche piazzeforti marine al controllo Genovese. Il suo successo spinse i Baroni del Capo còrso ad appellarsi a Genova, che pensò di risolvere il problema investendo del governatorato dell'isola una sorta di compagnia commerciale detta "Maona" formata da cinque persone e tentando di coinvolgervi Arrigo, ma senza risultati.

La Maona era un consorzio di commercianti - a volte a carattere familiare - che fu impiegato spesso da Genova, soprattutto a cavallo tra XIII e XV secolo, con funzioni di governo anche nelle colonie orientali. Tra le prime Maone quella dell'isola di Chios, nell'Egeo, istituita nel 1347, dai cui aderenti ebbe origine la celebre famiglia patrizia genovese dei Giustiniani.

Nel 1380, perdurando le tensioni, quattro dei cinque membri della Maona rassegnarono a Genova i loro incarichi, lasciando il solo Leonello Lomellino ad esercitare le funzioni di Governatore. In tale veste Lomellino fondò, nel 1383, la città di Bastia, destinata a divenire il nucleo più importante della dominazione genovese e la capitale dell'isola (sino allo spostamento ad Ajaccio di tale funzione, sull'initiativa di Napoleone al XIX secolo).

Fu solo nel 1401, a seguito della morte di Arrigo, che l'autorità genovese fu formalmente ristabilita su tutta l'isola, anche se Genova stessa, nel frattempo, cadeva nelle mani dei francesi: dal 1396 al 1409, infatti, Carlo VI di Francia fu signore della Repubblica di Genova, che gestì attraverso il governatore Jean Le Meingre detto Boucicault. Sotto il governo di questi, nel 1407, fu fondato il Banco di San Giorgio, un potente consorzio di creditori privati cui verrà affidata via via nel tempo l'amministrazione delle entrate dello Stato e il governo di numerose terre e colonie, inclusa la Corsica.

Lomellino fu dunque reinviato in Corsica nel 1407 come governatore per conto di Carlo VI di Francia e vi dovette affrontare Vincentello d'Istria il quale, avendo ottenuto privilegi dalla Casa d'Aragona, s'era fatto frattanto Signore di Cinarca e, raccolta attorno a sé tutta la Terra di Comune, inclusa Bastia, s'era proclamato Conte di Corsica già nel 1405. Gli sforzi di Lomellino non ebbero alcun successo e nel 1410 Genova (intanto tornata indipendente) controllava sull'isola esclusivamente le piazzeforti di Bonifacio e Calvi.

Ancora una volta una ribellione intestina avrebbe minato la virtuale indipendenza della Corsica: la ribellione di un feudatario e del vescovo di Mariana portò alla perdita di controllo da parte di Vincentello sulla Terra di Comune e, mentre egli si recava a richiedere aiuto in Spagna, i Genovesi ebbero buon gioco a completare rapidamente la riconquista dell'intera isola.

Ma il complesso gioco delle alleanze e delle rivalità locali, così spesso specchio e cassa di risonanza di quelle europee, non consentì a tale riconquista di essere duratura. A rimettere la situazione in movimento fu lo Scisma d'Occidente e la lotta per l'investitura papale accesa attorno all'ultimo antipapa avignonese, Benedetto XIII, sostenuto dai vescovi còrsi favorevoli a Genova da un lato, e quella dell'antipapa Giovanni XXIII, sostenuto da quelli favorevoli a Pisa.

La Cittadella di Corte.
La Cittadella di Corte.

Vincentello, riuscito a sbarcare sull'isola con una forza militare aragonese, ebbe così buon gioco a profittare delle rivalità incrociate e prese facilmente controllo della Cinarca e di Ajaccio. Accordatosi con i vescovi pro-pisani, estese la sua influenza alla Terra di Comune e costruì il castello di Corte: nel 1419 l'influenza genovese sull'isola era nuovamente ridotta ai soli centri di Calvi e Bonifacio, mentre Vincentello, con il titolo di Viceré di Corsica, stabiliva dal 1420 la sede del proprio governo a Biguglia.

Fu in questa situazione che Alfonso V di Aragona si presentò con una grande flotta nel mare di Corsica, con l'intento di prendere possesso personalmente dell'isola formalmente parte del Regno di Sardegna e Corsica. Caduta Calvi, Bonifacio continuò a resistere, assumendo nel frattempo il singolare ruolo di elemento di speranza per i còrsi, che, sperimentato il violento dominio aragonese e oppressi da livelli di tassazione insopportabili, preparavano la rivolta al loro nuovo signore e, in buona parte, si riavvicinavano a Genova.

Nel frattempo la lunga resistenza di Bonifacio convinse gli assedianti a togliere il blocco alla città che, ottenuta la conferma dei propri privilegi, divenne di fatto una sorta di microrepubblica indipendente posta sotto protezione genovese. Poco dopo, anche a causa dell'eccessiva tassazione, scoppiò una rivolta generale contro Vincentello, il quale, durante un tentativo di riparare in Sicilia, fu catturato con un colpo di mano nel porto di Bastia e, condotto a Genova come ribelle e traditore, vi fu decapitato il 27 aprile del 1434.

La lotta tra fazioni pro-genovesi e pro-aragonesi proseguì sull'isola, e il Doge genovese Giano di Campofregoso riprese il controllo della Corsica, strappata dalla superiore artiglieria della Repubblica a Paolo della Rocca (1441). In occasione di tale riconquista fu fondata e fortificata la città di San Fiorenzo (1440).

La reazione aragonese portò al culmine la lotta. Nel 1444 sbarcò sull'isola, inviata da Papa Eugenio IV, un'armata pontificia forte di 14.000 uomini che fu però sbaragliata dalle milizie còrse controllate da Rinuccio da Leca, a capo di una lega che raccoglieva quasi tutti i Caporali e i Baroni locali. Una seconda spedizione fu invece vittoriosa e Rinuccio stesso cadde ucciso in battaglia di fronte a Biguglia.

[modifica] La signoria del Banco di San Giorgio e di Genova

Il 1447 può essere considerato un anno di svolta nella storia del controllo genovese sulla Corsica. Energico e colto (introdusse a Roma lo spirito del Rinascimento), sale su trono papale Papa Niccolò V, sarzanese e dunque legato alla Repubblica di Genova. Senza indugio egli riasserisce i diritti papali sull'isola (le cui piazzeforti erano sotto il controllo delle truppe pontificie) e contestualmente li trasferisce a Genova.

La Corsica viene così ad essere largamente controllata dalla Repubblica ligure con l'eccezione della Cinarca, sotto nominale controllo aragonese attraverso il più concreto dominio dei Signori locali, e della Terra di Comune, la quale, attraverso un'assemblea dei suoi capi, nel 1453 decide di offrire il governo dell'intera isola al Banco di San Giorgio, la potente compagnia commerciale e finanziaria istituita a Genova nel 1407, che l'accetta.

Cacciati gli Aragonesi dall'isola (del loro passaggio rimarrà in Corsica solo l'emblema della Testa Mora, sviluppato a seguito della Reconquista), il Banco di San Giorgio iniziò una vera e propria guerra di sterminio contro i Baroni isolani, la cui resistenza organizzata venne meno nel 1460, quando i superstiti furono costretti all'esilio verso la Toscana. Occorsero ancora due anni di lotte per pacificare l'isola, arrivando così al 1462, quando il capitano Genovese Tommasino da Campofregoso, la cui madre era còrsa, fece leva con successo sui diritti della propria famiglia per riaffermare il pieno controllo della Repubblica anche nell'interno dell'isola.

Solo due anni dopo, nel 1464, Genova - e con essa la Corsica - cadde sotto l'influenza di Francesco I Sforza, duca di Milano. Alla sua morte, nel 1466, l'autorità milanese nell'isola svanì sotto le consuete spinte anarchiche nell'interno e, ancora una volta, solo le città costiere rimasero effettivamente sotto la tutela delle potenze continentali.

Nel 1484 Tommasino da Campofregoso persuase i Duchi Sforza ad affidargli il governo dell'isola, facendosi consegnare le fortezze. Nel frattempo consolidò il proprio potere interno, stringendo relazioni con Gian Paolo da Leca, il più potente dei Baroni isolani.

Entro tre anni la situazione fu di nuovo in movimento. Un discendente dei Malaspina, che già avevano incrociato i loro destini con quelli della Corsica nell'XI secolo, Jacopo IV d'Appiano principe di Piombino, fu invitato ad intervenire in loro favore da quanti erano avversi a Tommasino, e così il fratello del principe, Gherardo conte di Montagnano, si proclamò conte di Corsica e, sbarcato sull'isola, si impadronì di Biguglia e San Fiorenzo.

Piuttosto che opporsi a Gherardo, Tommasino restituì discretamente le proprie prerogative in favore del Banco di San Giorgio, che nel frattempo rifondò e fortificò Ajaccio (1492) presso il sito dell'antica Aiacium romana. La decisione di Tommasino fu contestata da altri componenti della sua famiglia e dal Leca non appena il Banco ebbe ragione di Gherardo. Il Banco rivolse allora le proprie armi contro i turbolenti baroni còrsi, che costrinse alla ragione dopo una lunga e sanguinosa lotta protrattasi sino al 1511.

Durante il proprio governo, il Banco di San Giorgio diede complessivamente prova di scarsa lungimiranza e acume politico, preferendo cinici tatticismi e la ricerca del profitto più immediato alla elaborazione di una strategia di integrazione, e instaurando così un vero e proprio regime coloniale sulla grande isola posta proprio di fronte alle coste di Genova.

Le colture, in particolare quella boschiva, vennero promosse, ma i proventi erano in larga parte incamerati dal Banco, che affliggeva l'isola con una tassazione in grado di soffocare in partenza qualsiasi reale possibilità di sviluppo locale. Lungo tutte le coste dell'isola vennero riadattate e in gran parte costruite ex novo dozzine di torri d'avvistamento e difesa (molte delle quali visibili tuttora) a realizzare un sistema di allerta contro le incursioni dei pirati barbareschi, integrato dal pattugliamento navale. Seppure non del tutto eliminato (sussisterà sino al XVIII secolo), il flagello fu posto sotto controllo, ma più allo scopo di proteggere i cespiti coloniali che a quello di offrire pace e protezione alla popolazione còrsa, che continuerà a subire le sanguinose incursioni dei pirati virtualmente lasciati liberi di agire nelle zone costiere reputate dal Banco prive di interesse economico e strategico.

Le istituzioni locali - tra le quali si distingueva per la sua davvero avanzata concezione politica l'organizzazione della Terra di Comune - furono in gran parte abolite o svuotate di ogni significato concreto. I notabili locali ebbero precluso l'accesso a un pieno godimento della cittadinanza, per non parlare dell'accesso all'oligarchia repubblicana genovese, del tutto sbarrato per definizione.

Gli accenni di ribellione vennero generalmente repressi con grande durezza, facendo più volte ricorso alla pena capitale; in alternativa, applicando ciecamente il principio del divide et impera, furono lasciate scoppiare scientemente - o vennero subdolamente incoraggiate - faide locali o focolai di guerra civile, reputandosi tali scontri utili a fiaccare le forze ed il morale dei signori dell'isola e dunque a prevenire alleanze che potessero dar luogo ad una sollevazione generale. In tal modo venne incoraggiato lo sviluppo delle piaghe della vendetta e del banditismo, che si radicarono, anziché essere estirpate. Tutto questo mentre in Europa - e soprattutto nella vicina Italia peninsulare - fioriva il Rinascimento.

Alle sfortune politiche si aggiunsero pestilenze e carestie, che non fecero che contribuire al processo d'impoverimento e imbarbarimento dell'isola, oltre a stratificare un'avversione senza pari verso il dominio genovese.

[modifica] Le premesse della penetrazione francese per la Corsica

Una volta divenuti padroni dell'isola, la Francia imperiale e i suoi governi acutamente coglieranno la profondità e il radicamento del sentimento di avversione verso Genova, vista come sfruttatrice coloniale per antonomasia: se ne serviranno a più riprese - dalla conquista sino al XX secolo - per imbastire un sottile gioco di propaganda teso a rendere definitiva, nell'isola, l'identificazione istintiva di qualsiasi sopruso come genovese, non perdendo occasione per rinfocolarne la memoria allo scopo di sminuire quelli commessi dai governi di Parigi.

Dissolta la Repubblica di Genova, integrata nel Regno d'Italia, si procederà alla traslazione di genovese in italiano, secondo una strategia che trovava il suo posto nel quadro di un lucido e più complesso disegno, teso a spostare l'asse portante dell'isola dalla sua costa orientale (rivolta verso la penisola), a quello Ajaccio-Calvi che, rivolto verso la Provenza francese, volge le spalle all'Italia.

Questa digressione trova qui il suo posto perché è proprio a cavallo della prima metà del XVI secolo che la Francia - già da tempo in espansione come Stato nazionale e potenza europea - inizia a rivolgere il suo interesse al Mediterraneo e, dunque, alla Corsica e all'Italia. In questo quadro Enrico II di Francia concepisce il progetto di impossessarsi dell'isola, anche in considerazione della politica genovese, che come abbiamo visto offre più di un'opportunità di pescare nel torbido, sfruttando il risentimento di quei còrsi che prestano servizio nelle armate francesi come soldati di ventura.

[modifica] La prima conquista francese e Sampiero Còrso

Concluso nel 1553 un trattato di alleanza con il Sultano turco Solimano il Magnifico, il re di Francia si assicurò non solo la neutralità, ma la collaborazione della flotta turca nel Mediterraneo. Vale la pena di ricordare brevemente che solo 18 anni dopo, nel 1571, l'avanzata turca verso l'Europa sarà fermata a Lepanto da una flotta multinazionale nella quale spicca l'assenza della Francia.

Poco dopo la flotta franco-turca si presentò davanti alle coste dell'isola e l'attaccò, ponendo l'assedio contemporaneamente a tutte le piazzeforti costiere. Bastia cedette quasi senza combattere, mentre Bonifacio resistette molto a lungo e s'arrese solo dietro la promessa alla guarnigione di ottenere salva la vita, promessa prontamente disattesa dai Turchi che, una volta penetrati nella cittadella, massacrarono tutti i difensori e si abbandonarono al saccheggio. Presto cadde l'intera isola, con l'eccezione della sola Calvi che continuò con successo la propria ostinata resistenza.

Preoccupato dalla sconsiderata azione francese (che apriva decisamente le porte alla potenza turca nel cuore del Mediterraneo occidentale), intervenne l'imperatore Carlo V, il quale invase a sua volta l'isola alla testa delle sue truppe e di quelle di Genova. Negli anni successivi (i Turchi erano sbarcati brevemente solo a Bonifacio), tedeschi, spagnoli, genovesi, francesi e còrsi si combatterono con inusitata ferocia, massacrandosi attorno ai castelli e alle piazzeforti dell'isola.

Si giunse così al 1556, allorché venne conclusa una tregua che momentaneamente lasciava alla Francia il controllo di tutta l'isola con l'esclusione di Bastia, frattanto riconquistata dai genovesi e dagli imperiali. Il governo francese, più moderato di quello genovese, si guadagnò consistenti simpatie, anche grazie all'azione dei còrsi in armi al servizio di Parigi, tra i quali spiccava, con il grado di colonnello, la figura del soldato di ventura Sampiero di Bastelica.

Nel 1559, tuttavia, la conclusione della Pace di Cateau-Cambrésis dispose la restituzione della Corsica al Banco di San Giorgio come se non fosse successo niente.

Gli esattori del Banco procedettero immediatamente ad imporre pesanti tasse tese a recuperare le spese di guerra (tasse che gran parte dei còrsi si rifiutarono o non furono in grado di pagare) e, in violazione del trattato, che prevedeva un'amnistia generale, procedettero alla confisca di tutti i beni di Sampiero, di sua moglie Vannina d'Ornano, e di altri còrsi che avevano servito a fianco della Francia.

Sampiero, riparato in Provenza, non si diede per vinto e si mise ad operare per raccogliere attorno a sé una parte significativa dei notabili dell'isola avversi a Genova, mentre parallelamente cercava appoggi per il suo progetto di strappare l'isola alla Repubblica ligure.

Si rivolse pertanto a Caterina de' Medici, che regnava in Francia a seguito della morte (sembra accidentale) del marito durante i festeggiamenti in celebrazione della Pace di Cateau-Cambrésis, la quale oppose però a Sampiero un ovvio rifiuto a coinvolgersi in un'operazione che avrebbe quasi certamente riaperto la lunga guerra appena conclusa.

Non ebbe miglior sorte un analogo tentativo operato verso Cosimo I de' Medici, che pure mirava a farsi signore di Corsica, ma s'era prefissato di ottenerla solo attraverso trattative con le potenze europee (pur senza, alla fine, ottenere nulla), convinto com'era che la Toscana non fosse in condizione di sfidarle apertamente.

Fallito un ulteriore tentativo di farsi appoggiare dai Farnese di Parma, Sampiero - riuscito a munirsi di credenziali diplomatiche francesi - giunse a recarsi di persona in Nordafrica e a Costantinopoli a supplicare il Sultano di intervenire e di fare della Corsica una provincia ottomana, ciò che sembrerebbe rendere chiaro meglio di ogni altro esempio a quale punto fosse giunta Genova nel farsi detestare dai còrsi raccolti attorno all'ormai ex colonnello del re di Francia.

La missione di Sampiero in oriente si concluse in un nulla di fatto anche perché nel frattempo Cosimo I, venuto a sapere del disegno del Còrso di installare la potenza ottomana proprio di fronte alle coste toscane, aveva avvertito dell'iniziativa i Genovesi, i cui ambasciatori avevano preceduto Sampiero e convinto i ministri turchi a respingerne le richieste.

Mentre Sampiero era in missione in oriente, la moglie Vannina d'Ornano, titolare di feudi confiscati da Genova, aveva tentato di recuperarli cercando personalmente un'intesa con la Serenissima Repubblica. Sampiero, venuto a conoscenza della faccenda al suo ritorno in Francia, non esitò a reagire a quello che considerava un tradimento sanguinoso, uccidendo un amico còrso lasciato a vegliare sulla sua sposa e strangolando personalmente la moglie e le due dame di compagnia cui l'aveva affidata durante la sua assenza. Sampiero rivendicò gli omicidi come delitto d'onore e sfuggì così alla giustizia francese. Guidato da una singolare pervicacia e - con ogni probabilità - da una buona dose di disperazione legata anche alle sue vicende personali, sbarcò nel luglio 1563 con un pugno di seguaci a Propriano, nel golfo di Valinco, con l'intenzione di cacciare i Genovesi dall'isola.

Questi, nel frattempo, riconosciuto seppur tardivamente il ruolo politicamente negativo giocato dal Banco di San Giorgio nell'amministrazione la Corsica, ne avevano assunto direttamente il controllo a partire dal 1562, installando un governatore nell'isola.

In breve tempo Sampiero raccolse e consolidò le alleanze locali preparate da tempo, mettendo assieme un'armata di 8.000 uomini con la quale condusse una sanguinosa serie di colpi di mano cui il governo genovese s'oppose tanto in armi, quanto facendo leva sulle rivalità tra maggiorenti isolani. Dopo anni di guerra caratterizzati da una ferocia senza pari da ambo le parti e segnati da massacri, saccheggi, incendi di messi e di interi villaggi, i Genovesi, facendo leva sull'odio mai sopito dei parenti di Vannina, riuscirono ad assoldare tra essi dei sicari che, nel 1567, uccisero a tradimento Sampiero e ne recarono la testa mozzata al governatore ligure. Il nome presunto dell'uccisore di Sampiero, Vittolo, passò così a rappresentare per antonomasia un sinonimo di traditore nella fantasia popolare isolana ed è ancora oggi impiegato con tale significato.

La lotta proseguì per qualche tempo guidata dal figlio giovanissimo di Sampiero, Alfonso, ma i còrsi insorti, perduta la guida esperta di Sampiero e a corto di risorse militari, si sfaldarono e cercarono la pace, cui si giunse nel 1569 con l'intesa tra Alfonso e il genovese Giorgio Doria.

[modifica] Un secolo e mezzo di pax genovese

Ponte genovese a tre arcate sul fiume Tavignano, presso Altiani, tuttora utilizzato.
Ponte genovese a tre arcate sul fiume Tavignano, presso Altiani, tuttora utilizzato.

Alla fine della guerra si giunse anche grazie al fatto che, già negli ultimi tempi della lotta, Genova sembrava aver compreso che l'eccessiva durezza mostrata nell'amministrazione e nello sfruttamento della Corsica erano il miglior sistema per incitare i suoi abitanti a trovare nella rivolta l'unica risposta alla miseria loro inflitta, ed aveva pertanto avviato una politica più moderata ed equilibrata per garantirsi l'appoggio della popolazione.

Il dispositivo di pace prevedeva un'amnistia e la liberazione di ostaggi e prigionieri, la concessione ai còrsi delle libertà - prima negate - di movimento da e verso l'Italia e di disporre direttamente dei propri beni, un condono ed una proroga fiscale di cinque anni. Ad Alfonso fu offerta la restituzione dei feudi d'Ornano che, confiscati, erano stati all'origine della tragedia di sapore shakespeariano che aveva coinvolto il padre e la madre, inteso che egli, con i suoi più stretti seguaci, s'esiliasse comunque, come poi fece passando in Francia.

Nell'ottica di pacificare l'isola in modo duraturo e di riconoscere, oltre ai più basilari diritti, anche significativi elementi di autogoverno locale, nel 1571 Genova - tornata ad occuparsi direttamente della Corsica sin dalla fine dell'amministrazione del Banco di San Giorgio nel 1562 - istituisce gli Statuti Civili e Militari che, da allora in poi, regoleranno - almeno sulla carta - il diritto e l'amministrazione nell'isola.

Successivamente emendati ed estesi, gli Statuti furono nel complesso un buono strumento istituzionale e - nelle parti recepite nella Costituzione paolina del 1755 - e resteranno parzialmente in vigore sino alla conquista francese (1769).

Dal punto di vista amministrativo la Corsica dipese, da allora in poi, da una sorta di ministero dedicato con sede a Genova, il Magistrato di Corsica, che rendeva conto del proprio operato di fronte ai massimi organi della Repubblica, il Maggior Consiglio ed il Minor Consiglio. Sull'isola risiedeva un governatore genovese, coadiuvato da un Vicario e dal consiglio dei Nobili Dodici, mediato dalla simile istituzione della Terra di Comune.

Il territorio fu suddiviso in province, ognuna delle quali aveva alla propria testa o un Commissario (con sede a Bonifacio, Ajaccio e Calvi), o un Luogotenente (con sede a Corte o Aleria, Rogliano, Algaiola, Sartena e Vico). Le fortificazioni furono ove riparate, ove consolidate e ingrandite e vennero munite di presidi più solidi che nel passato. Le Corti di giustizia furono riorganizzate e dotate di un complesso apparato burocratico.

La vita pubblica fu organizzata attorno ad una ridefinizione accurata delle comunità rurali che divennero il nucleo base del territorio dal punto di vista istituzionale, fiscale e religioso, integrando l'antica rete delle Pievi. I villaggi, riuniti in parlamenti, eleggevano periodicamente i loro Podestà o Padri del comune, responsabili delle funzioni di amministrazione e di polizia locali, attraverso la carica, pure elettiva, di capitano della milizia. Le comunità si governavano quindi in maniera largamente autonoma, senza ingerenze da parte della Repubblica, se non in casi eccezionali. Nei paesi dell'entroterra fu così libera di svilupparsi una classe di notabili indicati come i Principali. Gli atti, sia privati che pubblici (elezioni locali e Grida governatorali), erano trascritti presso i registri notarili. Tali registri venivano regolarmente sottoposti al Cancelliere della sede provinciale competente e per un certo periodo le autorità locali furono autorizzate a inviare propri rappresentanti presso il Governatore o, addirittura, presso l'autorità centrale a Genova, per esprimere particolari esigenze, denunce di gravi abusi o richieste di aiuto in caso di calamità quali la siccità.

Il territorio fu suddiviso, dal punto di vista fiscale e produttivo, in circoli destinati a frutteti e vigne, prese, destinate alle semine, e terre comuni, patrimonio collettivo delle comunità, destinate al pascolo, alle colture temporanee ed orticole, alla raccolta di frutti di bosco e legname. Guardie campestri e giudici specializzati si occupavano di vigilare sul rispetto degli Statuti nella conduzione delle terre.

Legislazione civile e criminale furono ben definite come mai prima, come pure la tassazione, resa più efficiente pur restando basata sulla taglia (l'imposizione diretta) e sulle gabelle come lo scudo a botte per il vino, le tratte per altri prodotti, il boatico (vendita forzosa a prezzo ridotto di orzo e grano alle guarnigioni di stanza sull'isola) e diversi monopoli (primo tra tutti quello sul sale) per quanto riguarda l'imposizione indiretta.

Le città costiere, alcune delle quali popolate in grande maggioranza da genti liguri (in particolare Calvi, Bastia e Bonifacio), godevano di diversi privilegi rispetto ai centri dell'interno (esenzioni fiscali, immunità particolari), venendo così a costituire un mondo a parte. Sede dei governi provinciali, queste piccole capitali svilupparono un patriziato più affine a quello che cresceva nel frattempo in Italia, arricchendosi tanto con i traffici marittimi e con i compensi derivanti dall'esercizio di incarichi amministrativi legati al governo, quanto attraverso l'imprenditoria agricola sviluppata nell'immediato entroterra.

La classe del patriziato, detta dei Nobili - ma in effetti si trattava una borghesia urbana - avevano in mano il mercato dei cereali, quello della pesca, quello dei prestiti e quello dell'artigianato e della produzione manifatturiera locali. Saranno proprio gli esponenti di questa classe che, aspirando a sempre maggiori prestigio e ricchezze, si porranno nel XVIII secolo alla guida della rivolta popolare e costituiranno prima il nerbo della Corsica indipendente di Pasquale Paoli, e poi il primo elemento di legittimazione locale dei governi francesi.

La Repubblica, sia durante il XVII che il XVIII secolo, riprese la parte migliore del lavoro già avviato dal Banco di San Giorgio nel mettere a frutto la coltivazione cerealicola nelle regioni litoranee, la coltura dell'ulivo (soprattutto in Balagna) e lo sfruttamento forestale (soprattutto i castagneti di Castagniccia). La rete stradale dell'isola fu incrementata e migliorata (alcuni ponti genovesi sono ancor oggi in uso), mentre specialmente nel Cismonte e in tutte le città costiere ebbe luogo un'intensa attività di edificazione e di ristrutturazione edilizia che caratterizzò molti centri storici il cui aspetto è, ancor oggi, marcato dalla forte impronta stilistica ligure e barocca dovute a questo periodo.

Sulle coste fu rafforzato il dispositivo delle torri d'avvistamento e difesa, a causa della recrudescenza degli assalti barbareschi, che divennero particolarmente frequenti e distruttivi soprattutto nei due decenni successivi alla sconfitta subita dai Turchi a Lepanto nel 1571. Ciò che non deve stupire in quanto la pirateria venne a riempire lo spazio lasciato libero dall'impossibilità per gli ottomani di accedere altrimenti alle ricchezze prima disponibili attraverso i normali traffici loro negati a seguito del grave rovescio della loro flotta.

Le conseguenze di questo ventennio di attacchi, piuttosto ben documentati e distribuiti in un po' tutta l'isola, furono disastrose e comportarono l'abbandono di dozzine e dozzine di centri abitati di pianura come non avveniva da secoli. È esemplare a questo proposito il caso di Sartena. Nel 1540 la sua regione contava undici centri maggiori che alla fine del secolo risultano tutti abbandonati tranne Sartena stessa, che fu fortificata e che costituì rifugio di tutta la popolazione del suo circondario sino al XVIII secolo quando, passato il pericolo, i centri minori poterono risorgere.

Nello stesso periodo l'isola fu colpita da gravi pestilenze che costituirono ulteriori ostacoli alla realizzazione i piani di sviluppo predisposti dalla Repubblica, che nel complesso, per quanto ben congegnati sulla carta, non ebbero il successo sperato. La stagnazione economica tenne dunque viva la storica tendenza all'emigrazione delle genti còrse, che continuarono a tentare in ogni modo di cercar fortuna sul continente, specialmente servendo - per tradizione consolidata - come militari al servizio delle potenze straniere, ed anche sfidando la proibizione in tal senso emessa da Genova, preoccupata da questa emorragia che ostacolava i propri piani di sviluppo e spopolava le campagne.

Tale preoccupazione del resto, era ben spiegata dalle mancate entrate fiscali che derivavano dal mancato sviluppo e che assumevano un peso particolare considerando il declino finanziario della Repubblica, che s'era esposta a finanziare i sovrani di Spagna i quali, nel corso del XVII secolo, più volte mancarono di restituire alla scadenza prevista i cospicui prestiti concessi da Genova, sino a dichiararsi insolventi. In tal modo divennero inesigibili ricchezze vitali all'effettiva indipendenza e alle speranze di potenza della Repubblica ligure, già scossa dalla perdita progressiva di tutte le sue colonie d'oriente per mano dei Turchi e dal calo del volume dei suoi traffici con il Levante, indotto anche dalla concorrenza Francese, venutasi ad aggiungere, a partire dal XVI secolo, a quella storicamente esercitata dalla Repubblica di Venezia.

Oltre a ristabilire la proibizione formale ad espatriare, nuovamente imposta ai còrsi a dispetto di quanto promesso inizialmente negli Statuti, Genova cercò in ogni modo di incoraggiare la valorizzazione delle terre dell'isola, istituendo anche a tale scopo la figura del Magistrato della coltivazione e concependo piani di sviluppo che però rimasero in buona parte inattuati, ma la cui bontà generale è testimoniata dal fatto che saranno molto più tardi fedelmente ricalcati da simili piani francesi (anch'essi, per altro, rimasti largamente inattuati).

Uno dei punti deboli di tali piani era costituito dal fatto che essi, piuttosto che su un intervento dello Stato (per altro di difficile attuazione, vista la sofferenza finanziaria della stessa Repubblica), basavano tutte le proprie speranze di attuazione sulla libera iniziativa privata attraverso un complesso sistema di infeudamenti ed enfiteusi che invece di avviare il circolo virtuoso produttivo sperato, finì per avviare l'erosione delle terre comuni alienandone la piena disponibilità alle comunità locali e favorendo l'arricchimento di alcuni Principali e Nobili senza alcun vantaggio per la collettività.

Tale fenomeno di espropriazione ed immiserimento delle comunità còrse a favore di ricchi possidenti avrà un'accelerazione decisiva quando lo schema sarà riproposto dai francesi, e finirà per creare danni sociali tanto acuti da poter essere considerato tra le cause scatenanti delle insurrezioni che, per circa un cinquantennio, scoppiarono in Corsica dopo l'occupazione francese e che, per certi versi, sono paragonabili alle insorgenze che nell'Italia meridionale sottoposta al governo sabaudo all'indomani della caduta del Regno delle due Sicilie, daranno vita al fenomeno poi passato alla storia come Brigantaggio.

In questo quadro si inserisce come singolare la concessione ad alcune centinaia di Greci originari della Laconia (regione meridionale del Peloponneso) in fuga dal dominio ottomano. A seguito di lunghe trattative (che richiedevano sostanzialmente l'accettazione del primato papale in campo religioso, come avvenuto per altre comunità greco-ortodosse riparate in Italia, vedi l'esempio di Piana degli Albanesi) questi profughi furono installati nel 1676 nelle terre costiere a circa 50 km a Nord di Ajaccio. Nella regione, detta Paomia, i greci fonderanno una colonia che, spostata a Cargese a seguito dell'occupazione francese, ha mantenuto sin quasi ai giorni nostri la propria lingua e alcune tradizioni originarie, ivi compreso il rito religioso orientale, tuttora officiato.

Il mancato successo dei piani di sviluppo genovesi - che finì comunque per porre in modo acuto una questione agraria le cui conseguenze si faranno sentire sino ai nostri giorni - nel contesto di un'economia ancora improntata ad uno sfruttamento sostanzialmente coloniale e di un restringimento progressivo all'esercizio effettivo delle poche libertà concesse ai còrsi, considerati di fatto come sudditi e non come cittadini dalla Repubblica, finì per far montare una crisi che doveva rivelarsi senza rimedio e che avrebbe condotto la Corsica a rompere definitivamente con Genova, sia pure in modo graduale e difficilmente percettibile sino all'esplosione della rivolta, a partire dal 1729.

[modifica] La fine della Guardia Còrsa papale a Roma

La lunga storia di conflitti e violenze che ha caratterizzato la Corsica a partire almeno dalla caduta dell'Impero Romano, aveva abituato i suoi abitanti a considerare la guerra quasi come il proprio pane quotidiano ed aveva fatto del mestiere delle armi uno delle principali attività esercitata dei còrsi espatriati verso gli stati italiani (e in misura molto minore verso la Francia) dal Medioevo sino all'Età Moderna. Scorrendo con attenzione l'elenco dei nomi dei capitani di ventura italiani, si scopre che una significativa porzione di essi erano di origine della regione còrsa e che, in diversi casi, avevano alle proprie dipendenze interi reparti di loro corregionali.

Tra i reparti militari interamente còrsi che operarono fuori dall'isola la Guardia Còrsa papale fu il più famoso e quello di più lunga - plurisecolare - durata.

Malgrado l'incertezza dei documenti, si fa solitamente risalire al 1378 - in coincidenza con la fine della "cattività avignonese" - la fondazione a Roma di un corpo militare composto esclusivamente da còrsi con funzioni di Guardia del Pontefice e di milizia urbana.

Monumento funerario a Pasquino Còrso, colonnello della Guardia Còrsa papale, Roma.
Monumento funerario a Pasquino Còrso, colonnello della Guardia Còrsa papale, Roma.

Non sembra vi siano documenti attestanti l'istituzione di questo corpo militare in precedenza, anche se la presenza di una significativa colonia còrsa a Porto (Fiumicino) e poi in Trastevere (dove la chiesa di San Crisogono fu titolo nazionale e basilica cimiteriale dei còrsi) è certa almeno dal IX secolo e non è affatto da escludere un'organizzata presenza di milizie còrse nel seno delle armate papali anche assai prima del XIV secolo, stante il forte legame della Corsica con Roma, dalla quale l'isola dipese formalmente a partire dall'VIII secolo e sino alla sua definitiva entrata nell'orbita genovese.

La Guardia Còrsa che, come vedremo, sarà ininterrottamente al servizio del papa per quasi tre secoli, precederebbe dunque di quasi 130 anni l'istituzione, nel 1506 della oggi ben più nota Guardia svizzera.

La fine della Guardia Còrsa, scatenata da un incidente occorso a Roma il 20 agosto 1662, ci consente di gettare uno sguardo sull'evoluzione della situazione geopolitica in Europa e sulla crescente influenza francese in Italia. La vicenda che condusse allo scioglimento della Guardia è emblematica a questo proposito e, in un certo senso, costituisce un singolare presagio dell'atteggiamento sprezzante verso i còrsi che da parte francese farà più volte la sua comparsa nella storia seguente e sin quasi ai giorni nostri. Anche per questo merita di essere qui brevemente raccontata.

Verso la metà del XVII secolo la presenza a Roma di numerose rappresentanze diplomatiche degli stati europei aveva finito per creare una situazione paradossale, in quanto le maggiori potenze - attraverso un'estensione eccessiva del concetto di extraterritorialità - avevano in certi casi munito le loro ambasciate di vere e proprie guarnigioni militari (che erano libere di girare in armi per tutta la città) e condotto alla trasformazione di intere zone del centro cittadino in zone franche, dove delinquenti ed assassini di ogni risma trovavano rifugio ed intangibilità.

Papa Alessandro VII cercò di porre rimedio a tali eccessi e fu presto accontentato in tal senso tanto dalla Spagna, quanto dall'impero. Re Luigi XIV di Francia, al contrario, inviò a Roma suo cugino Carlo III, duca di Créqui, come ambasciatore straordinario con una scorta militare rafforzata, che finì in breve tempo - e quasi inevitabilmente - per causare una grave rissa presso il Ponte Sisto con alcuni militi della Guardia Còrsa che pattugliavano le vie di Roma. L'affronto dovette essere particolarmente grave (ne erano stati segnalati molti altri sin dal 1661, ma senza gravi conseguenze), perché anche i militi a riposo nella caserma della Guardia alla Trinità de' Pellegrini, presso Palazzo Spada, accorsero ad assediare il vicinissimo Palazzo Farnese, sede dell'ambasciatore francese, pretendendo la consegna dei militi francesi responsabili dello scontro. Ne seguì una sparatoria, innescata dal casuale ritorno a Palazzo Farnese, sotto nutrita scorta militare francese, della moglie dell'ambasciatore. Un paggio della signora di Créqui rimase mortalmente ferito e Luigi XIV ne approfittò per trarne pretesto per portare ai massimi livelli lo scontro con la Santa Sede, già avviato sotto il governo di Mazarino.

La reazione e le pretese del re di Francia nei confronti del papa danno la misura della potenza, ma anche della personalità e dei metodi adottati dal monarca, che ritirò l'ambasciatore da Roma, espulse quello del papa in Francia, procedette all'annessione dei territori pontifici ad Avignone e minacciò seriamente di invadere Roma se papa Chigi non gli avesse presentato le sue scuse e non si fosse piegato ai suoi desideri, che comprendevano lo scioglimento immediato della Guardia Còrsa, l'emissione di un anatema contro la loro nazione, l'impiccagione per rappresaglia di un certo numero di militi e la condanna al remo in galera per molti altri, la rimozione del Governatore di Roma e l'erezione nei pressi della caserma della Guardia di una colonna d'infamia ad imperitura maledizione dei còrsi che avevano osato sfidare l'autorità francese.

Il papa in un primo tempo oppose un rifiuto e cercò di temporeggiare, ma la concretezza della minaccia di una discesa dell'esercito francese su Roma lo fece via via cedere. La Guardia Còrsa fu sciolta per sempre ed alcuni militi impiccati, il monumento d'infamia eretto, il Governatore esiliato da Roma. Nel febbraio 1664 i territori avignonesi furono restituiti e nel luglio, a Fontainebleau, il nipote del papa, Flavio Chigi, fu costretto a umiliarsi e a presentare le scuse di Roma al re di Francia, che quattro anni più tardi concesse il permesso a demolire la colonna infame.

Nel corso delle trattative Luigi XIV aveva colto l'occasione per espandere la propria influenza in Italia atteggiandosi a protettore dei principi italiani per aver costretto il Papa, sempre nel contesto delle riparazioni per l'affare della Guardia, a rendere Castro e Ronciglione al Duca di Parma e ad indennizzare il Duca di Modena dei suoi diritti su Comacchio.

[modifica] La rivolta contro Genova

Pur non minacciata da nuove invasioni (fatte salve le perduranti scorrerie piratesche) e da nuovi cambi di regime e di potenza occupante, la Corsica, durante l'ultimo secolo di dominazione genovese scivola - quasi in silenzio - verso una crisi che ne segnerà la storia in modo drammatico, e che condurrà l'isola a perdere il contatto con la propria naturale area culturale, etnografica e linguistica attraverso la sua difficile integrazione nello Stato francese.

Del resto già la penetrazione Genovese in Corsica, e poi il suo dominio, come abbiamo visto segnati da asprissime lotte, avevano contribuito - sebbene in misura assai minore di quanto avverrà con la sua francesizzazione - ad alienare la Corsica dall'alveo socioculturale e linguistico toscano e centro-italiano nel quale s'era sviluppata dal IX secolo: le Grida del governo genovese, scritte in italiano, erano forse più immediatamente e spontaneamente comprensibili al pastore analfabeta còrso che al gendarme di lingua ligure che accompagnava l'araldo che le annunciava nei villaggi dell'isola.

La crisi sofferta dalla Corsica durante il XVII secolo e poi nel XVIII è, inevitabilmente, conseguenza della crisi e del progressivo declino ed indebolimento della Repubblica di Genova, nel più ampio quadro del declino generale che interessa tutta la Penisola italiana dopo il Rinascimento, in contrapposizione alle crescenti ricchezza e potenza di altri Stati europei.

Genova entra in una situazione di sensibile crisi ben prima di Venezia e si troverà ad essere minacciata da vicino e poi occupata e disciolta come Stato indipendente dalla Francia poco dopo aver perso la Corsica e, anzi, avendo speso gran parte delle proprie residue energie proprio nel vano tentativo di conservarne il controllo.

Conviene qui soffermarsi ad evidenziare che la Liguria ha oggi una superficie (5.410 km²) nettamente inferiore a quella della Corsica e che, anche se al tempo della Repubblica il territorio metropolitano era maggiore (poco oltre i 6.000 km²), la Corsica rappresentava comunque circa il 60% dell'intero territorio controllato dalla Serenissima. Anche il dato demografico è impressionante: la Liguria, che oggi conta 1.760.000 abitanti, ne contava solo circa 370.000 nel Seicento (che passeranno a 523.000 alla caduta della Repubblica nel 1797) mentre la Corsica ne contava circa 120.000 nel XVII secolo e non giungevano a 165.000 alla fine del XVIII secolo.

Salta all'occhio, dunque, come la lotta che si svolse per quarant'anni (dal 1729 al 1768) tra Genova e la sua colonia insorta fosse una lotta per la sopravvivenza (e difatti Genova perderà la sua indipendenza meno di trent'anni dopo aver perso la grande isola), di come essa fosse più che impegnativa per la Repubblica, che controllava in continente un territorio inferiore a quello disputato e per di più senza disporre in patria di una base demografica schiacciante rispetto a quella còrsa.

A questo proposito va anche notato come la ferocia della guerra e il suo perdurare per decenni abbia influito drammaticamente sulla stentata crescita della popolazione còrsa, soprattutto a seguito delle stragi e delle distruzioni che continuarono ad affliggere la Corsica in lotta contro la Francia (con episodi significativi almeno sino al secondo decennio del XIX secolo) dopo che Genova s'era sfilata dalla lotta e attendeva, tutto sommato in pace, la sua fine come Stato indipendente.

Alla radice della rivolta còrsa contro Genova, accanto ad un'avversione per il governo genovese (di solito ingigantita ad usum Delphini da buona parte della storiografia di marca francese), generata dalla mancata equiparazione della cittadinanza rispetto ai domini di terraferma della Repubblica, c'è la stagnazione della produzione di ricchezza indotta dallo scarso successo dei piani di sviluppo dell'isola. La Corsica finì così a vivere di un'economia sostanzialmente di sussistenza, mentre altrove in Europa fiorivano i commerci e si realizzava l'accumulazione di immense ricchezze.

Sull'isola, invece, le misure prese dal governo della Repubblica al fine di stimolare l'agricoltura finiscono, nel loro affidarsi eccessivamente all'iniziativa privata, per far sorgere una borghesia in buona parte parassitaria, che vive (salvo qualche eccezione, come nel Capo còrso, dove prevale l'impresa commerciale legata ai trasporti navali) soprattutto di rendita fondiaria quando non di usura anche spicciola, ma fortemente dannosa, come ad esempio quando finisce per taglieggiare la transumanza pastorale e minacciare la stessa sussistenza delle comunità contadine sottraendo progressivamente spazio alle terre comuni.

Questo stato di cose fa crescere sino a livelli parossistici il livello di litigiosità locale e fa riesplodere ed ingigantire progressivamente i fenomeni della vendetta e per conseguenza, del diffuso banditismo (cui fanno ricorso sia i còrsi braccati dalla giustizia per le faide, sia i pastori gettati sul lastrico dalle pretese dei Principali proprietari terrieri e dei loro Fattori), creando una situazione di allarme e malessere sociale diffuso, sino a configurare uno strisciante stato di guerra civile.

L'indifferenza sostanziale di Genova di fronte a tale evoluzione e la sua presenza sensibile solo al momento di esigere gabelle e di perseguire i delitti (neanche tutti e non sempre con efficacia), finisce per elevare parossisticamente la naturale tendenza isolana all'introversione ed a far crescere a dismisura il sentimento di estraneità e di avversione che si diffonderà nell'isola contro la Repubblica. Quando essa interverrà a tentare - troppo tardivamente ed in modo incongruo - di porre un freno alla violenza diffusa, con la proibizione generale per i còrsi di portare armi (una proibizione particolarmente incomprensibile ed inaccettabile per un popolo da sempre abituato ad esse), anziché recare sollievo e pacificazione, contribuirà a rendere inevitabile la rivolta, anche grazie alla disparità di trattamento creata attraverso la concessione arbitraria di salvacondotti ed indulti (rispetto al porto delle armi ed al loro uso), unita alla singolare pratica di arruolare nelle proprie milizie i banditi che non riesce a catturare.

Sarà proprio la classe minoritaria dei notabili rurali e cittadini dell'isola, al cui sviluppo aveva dato impulso decisivo il complesso di misure economiche privatistiche del governo genovese, a far leva sulla situazione modesta e a volte miserabile del resto della popolazione (non dissimile però da quella di altre aree depresse d'Italia o di Francia) per avviare, dal 1729, la grande rivolta indipendentista còrsa.

[modifica] Dalla rivolta del 1729 a re Teodoro

Per compensare i mancati introiti fiscali dovuti alla proibizione del porto d'armi (molto diffuso e per il quale si pagava una tassa), nel 1715 Genova introdusse in Corsica la tassa generale dei due seini. Tale tassa era stata varata come temporanea, ma era stata più volte prorogata senza che il divieto a girare armati e l'introduzione dei Pacieri - magistrati preposti alla composizione pacifica delle vendette - avesse sortito effetti significativi.

Nel 1729 si parlò di nuovo di prorogare i due seini per altri cinque anni, proprio mentre i cattivi raccolti degli ultimi anni e l'indebitamento dei contadini assumeva livelli catastrofici. Fu così che la spedizione periodica per l'esazione dei due seini effettuata dal Luogotenente di Corte nella Pieve di Bozio, fece scoccare la scintilla insurrezionale nel cuore di quella Terra di Comune che, più socialmente e civilmente avanzata di altre regioni sin dal medioevo, meno era atta a sopportare la crisi economica ed il restringimento dei diritti che subiva. Un distaccamento di soldati Genovesi fu circondato, disarmato, derubato e, spogliato di tutto, rimandato a Bastia mentre in tutta la regione suonavano le campane e in montagna il tradizionale corno marino dei pastori chiamando alla rivolta.

Così ebbe origine una vera e propria jacquerie contadina che, all'inizio del 1730, scendendo dalla Castagniccia e dalla Casinca, si diede al saccheggio nella piana di Bastia, investendo parzialmente anche la capitale. Genova inviò sull'isola come nuovo governatore Gerolamo Veneroso (che era stato Doge dal 1726 al 1728) e si giunse ad un'effimera tregua, invitando le comunità còrse a presentare le proprie istanze.

Nel dicembre del 1730 gli insorti, riuniti nella Consulta (assemblea) di San Pancrazio prendono misure sul finanziamento dell'insurrezione e la costituzione di milizie, coagulando un proprio gruppo dirigente attorno ad alcuni notabili: Andrea Colonna Ceccaldi, Luigi Giafferi e l'abate Raffaelli, a segnare l'adesione del basso clero a quella che presto diverrà causa nazionale.

Nel successivo febbraio 1731 una Consulta generale tenuta a Corte stabilisce formalmente le rivendicazioni da indirizzare al governo genovese, segnando una fase nella quale i notabili ormai alla guida della rivolta si preoccupano di moderarla (reprimendo discoli e malviventi) e di trovare sbocchi negoziali alla rivolta.

L'aprile seguente i teologi isolani si riuniscono ad Orezza, assumendo un atteggiamento prudente, con l'invito alla Repubblica ad esercitare i propri doveri per evitare disordini, verso i quali viene mostrata comprensione. Il canonico Orticoni si reca in missione da una corte all'altra in Europa, difendendo le ragioni della propria gente specialmente presso la Santa Sede. La rivolta còrsa diviene rapidamente un affare europeo e non manca di attirare l'attenzione dell'ambasciatore francese a Genova, che prontamente ne riferisce al proprio governo.

Nel frattempo l'anarchia e i disordini tornano, dopo secoli, ad insanguinare tutta l'isola: la colonia greca di Paomia viene aggredita e minacciata di massacro, segnando l'estensione della rivolta, prima confinata al Cismonte, anche al Pumonte, mentre s'avvia il contrabbando di armi specialmente da Livorno, con l'aiuto dei còrsi emigrati in Italia.

Alcuni insorti, fidando, come da tradizione, in appoggi esterni, invocano l'aiuto di Filippo V di Spagna (che prudentemente eviterà di invischiarsi nella vicenda) e, allo scopo, producono la riedizione della bandiera Aragonese con la Testa Mora: la benda che, nell'originale, copriva gli occhi della figura, viene spostata come una fascia sulla fronte a dare forma al motto che viene coniato per questo vessillo, «Adesso la Corsica ha aperto gli occhi».

Nell'agosto del 1731 Genova, rotti gli indugi ed incapace di far fronte da sola alla ribellione, ottiene dall'Imperatore Carlo VI (preoccupato di prevenire un eventuale coinvolgimento di Filippo V) l'invio di una spedizione militare che sbarca in Corsica agli ordini del barone tedesco Wachtendonk in appoggio alle forze del commissario straordinario genovese, Camillo Doria. Dopo aver subito una sconfitta a Calenzana (febbraio 1732), le truppe imperiali, forti di superiore artiglieria e di 8.000 uomini, hanno la meglio.

I capi della rivolta sono esiliati e l'arbitrato imperiale si fa garante, nel gennaio del 1733, delle graziose concessioni (in verità ben formulate per riuscire soddisfacenti) che il Minor Consiglio genovese approva al fine di disarmare le aspirazioni secessioniste e riportare la calma nell'isola.

Solo per poco, poiché già nell'autunno seguente (1733) scoppia un nuovo focolaio insurrezionale in Castagniccia, stavolta guidato direttamente da un notabile proveniente della massima istanza locale che Genova aveva voluto a collaborare con il proprio governatore, i Nobili Dodici. Tra questi era stato precedentemente eletto Giacinto Paoli, che si trova a capo della nuova rivolta.

L'isola sfugge nuovamente al controllo genovese - salvo le città costiere - e gli insorti si organizzano con il crescente aiuto dei loro compatrioti in Italia. Si giunge così al 1735, quando una nuova Consulta generale tenuta a Corte elabora, sotto la guida dell'avvocato Sebastiano Costa (un còrso rientrato dall'Italia a sostenere l'insurrezione) una dichiarazione costituzionale che di fatto costituisce la Corsica in Stato sovrano. Il testo prefigura già la Costituzione paolina del 1755 ed attira l'attenzione di Montesquieu, segnalando sin da allora come alla guida della rivoluzione còrsa si muovano uomini ispirati dai più avanzati concetti giuridici ed illuministici già diffusi in Italia.

Nello stesso contesto la Corsica viene posta sotto la protezione della Vergine Maria e viene adottato come inno nazionale il canto sacro "Dio vi salvi Regina" composto alla fine del secolo precedente dal gesuita Francesco de Geronimo, originario di Grottaglie (TA).

Lo Stato di Corsica concepito a Corte manca volutamente di un sovrano, con lo scopo più o meno palese - pur di liberarsi della Repubblica ligure - di indurre qualche regnante europeo a reclamare per sé la Corsica. Tuttavia, pur se molti sono i monarchi che gradirebbero impadronirsi dell'isola, il complesso equilibrio raggiunto dopo la Pace di Westfalia induce ciascuno alla prudenza e gioca a favore di Genova e dell'incredibile avventura di un certo barone Teodoro di Neuhoff (1694-1756), uno strano avventuriero della piccola nobiltà tedesca fuoriuscito dalla nativa Colonia e passato in Francia e Spagna prima di riuscire a convincere la comunità còrsa di Livorno a candidarsi al vacante trono di Corsica.

È così che, sbarcato nel marzo 1736 ad Aleria con armi, cereali e aiuti in danaro, riesce con notevole abilità ed eloquenza a farsi accogliere da Giacinto Paoli, Sebastiano Costa e Luigi Giafferi, che guidano l'insurrezione, come una sorta di Deus ex machina e farsi proclamare re di Corsica. Alquanto perspicace, Teodoro dimostra di aver compreso alla radice quali siano le aspirazioni più profonde dei notabili isolani e si affretta ad instaurare un ordine della nobiltà di Corsica, distribuendo con liberalità titoli magniloquenti ai capi degli insorti.

Ciò malgrado, subito si accesero dispute tra i nuovi nobili per accaparrarsi i titoli che sembravano più suggestivi, a riprova di quanto le aspirazioni dei notabili fossero legate al proprio avanzamento sociale (in modo non dissimile da quanto avverrà nelle altre rivoluzioni moderne), negato loro costituzionalmente da Genova. Ai malumori collegati alle dispute intorno ai titoli nobiliari, si aggiunsero presto quelli assai più seri legati al venire al pettine dei nodi legati alle vane promesse di aiuti con le quali Teodoro aveva convinto i còrsi a farlo loro re. Ancora una volta dimostrando notevole tempismo e perspicacia, dopo solo otto mesi di regno l'effimero sovrano, sbeffeggiato dai genovesi, lasciò la Corsica nel novembre del 1736 con il pretesto di recarsi a reclamare personalmente gli "aiuti" millantati.

Ancora nel 1736 esce, scritto dall'abate còrso Natali, il Disinganno intorno alla Rivoluzione di Corsica, primo esempio significativo della fiorente letteratura apologetica - sempre scritta in italiano - che renderà popolare la lotta d'indipendenza dei còrsi presso gli ambienti illuminati di tutta Europa.

Teodoro riapparirà in Corsica solo due anni dopo, per un breve tentativo - subito fallito - di restaurazione e ancora nel 1743, con l'appoggio britannico, con identico esito. La vita del re di Corsica si concluderà in povertà a Londra nel 1756 e la sua tragicomica vicenda sarà oggetto di curiosità in tutta Europa, al punto da meritargli un'opera (Teodoro a Venezia) di Mozart, che ne aveva filtrato il personaggio già dileggiato da Voltaire nel suo Candido.

[modifica] Il primo coinvolgimento francese

Partito Teodoro la lotta continua in una situazione di sostanziale stallo. Da un lato, i còrsi insorti e padroni dell'isola, ma incapaci di conquistarne le fortezze costiere, dall'altro i genovesi serrati nei maggiori centri litoranei, privi di risorse umane e finanziarie per poter lanciare una controffensiva e riprendere il pieno controllo della Corsica.

È in queste circostanze che Genova, rimasta senza alternative - pur di malavoglia e con comprensibile diffidenza - prende una decisione che si rivelerà fatale ed accetta l'interessato aiuto che la Francia le offre, desiderosa com'è di mettere le mani sulla Corsica (prevenendo possibili analoghe mosse inglesi o spagnole) pur senza causare un conflitto aperto europeo.

La strategia della Francia di Luigi XV sotto il governo prima del cardinale de Fleury e poi di Germain Louis Chauvelin e del duca de Choiseul, consisterà sostanzialmente nell'installare proprie truppe in Corsica con il pretesto di sostenere il governo genovese, cui però presenterà il conto del mantenimento dell'armata, ben sapendo che la Repubblica difficilmente troverà le risorse necessarie a saldare il debito contratto.

Così nel febbraio 1738 sbarcano in Corsica le prime truppe francesi al comando del generale de Boissieux, che si atteggia a mediatore, senza tuttavia accontentare nessuno. A dicembre una colonna francese viene ignominiosamente messa in fuga dagli insorti a Borgo e Boissieux viene sollevato dall'incarico, affidato di seguito a Maillebois. Questi prende in mano la situazione e attacca gli insorti. Già nel luglio del 1739 Giacinto Paoli (seguito dal figlio Pasquale) e Luigi Giafferi sono costretti a riparare in esilio verso l'Italia.

Nel 1741, considerando pacificata l'isola, Maillebois lascia Bastia senza che la Repubblica ligure, da sola, riesca a tenere davvero sotto controllo l'isola, che presto è di nuovo in fermento. A nulla vale un nuovo compromesso offerto da Genova nel 1743, né la missione pacificatrice intrapresa sull'isola dal francescano Leonardo da Porto Maurizio, condotta nel 1744.

Nell'agosto 1745 una nuova Consulta rivoluzionaria convocata ad Orezza mette un nuovo triumvirato alla testa della rivolta, composto da Gian Pietro Gaffori, Alerio Matra e Ignazio Venturini, mentre il còrso fuoriuscito Domenico Rivarola (ex podestà di Bastia nel 1724 e poi colonnello dell'armata sabauda) riesce a convincere Carlo Emanuele III di Savoia a tentare, con l'appoggio degli inglesi (anch'essi bramosi di mettere le mani sulla Corsica) e degli Austriaci, una spedizione contro Bastia.

Tra il 1745 e il 1748, con l'aiuto inglese e sabaudo, Domenico Rivarola riesce a mettersi a capo di parte degli insorti e ad impegnare duramente i Genovesi a Bastia, ma le divisioni tra i notabili còrsi minano i successi della sua iniziativa e nel 1748 Rivarola muore a Torino, ove s'era recato a cercare nuovi aiuti.

Messi di nuovo alle strette, i Genovesi dovettero ancora ricorrere alla Francia, che inviò a Bastia nuove truppe guidate dal Maresciallo de Cursay. Questi, oltre a svolgere un ruolo di mediazione, avviò nella capitale dell'isola un'accademia ed altre iniziative culturali che avevano lo scopo di installare e di irradiare la cultura francese nell'isola. Il troppo zelo dimostrato dal de Cursay nella sua azione propagandistica in favore della Francia esercitata presso i còrsi, suscitò le ire dei Genovesi. La Repubblica reagì nel 1753, chiedendo ed ottenendo la partenza del Maresciallo e delle sue truppe dall'isola. Frattanto alcuni sicari al soldo di Genova assassinavano il capo degli insorti, Gian Pietro Gaffori.

Va ricordato che queste ultime vicende si inquadrano nello svolgimento della Guerra di successione austriaca che, tra l'altro, porta all'occupazione di Genova da parte delle armate austriache (con il famoso episodio del Balilla, dicembre 1746), e a nuovi, durissimi colpi per la Repubblica, impoverita, invasa e costretta dall'ostilità dei Savoia ad affidarsi sempre più all'abbraccio - che si rivelerà mortale - della Francia.

[modifica] La Corsica indipendente di Pasquale Paoli

Pasquale Paoli (Cosway)
Pasquale Paoli (Cosway)
Monumento a Pasquale Paoli all'Isola Rossa - Iscrizione: "Centenariu di u ritornu di e cennere 1889-1989. In memoria di Pasquale de' Paoli, u Babbu di a Patria"
Monumento a Pasquale Paoli all'Isola Rossa - Iscrizione: "Centenariu di u ritornu di e cennere 1889-1989. In memoria di Pasquale de' Paoli, u Babbu di a Patria"

Dopo l'assassinio di Gaffori (per mano di còrsi assoldati da Genova e nel quale fu implicato suo fratello, che fu giustiziato), gli insorti impiegarono quasi due anni a trovare un accordo sul nuovo capo di cui dotarsi. La scelta di un gruppo consistente di notabili dell'area Nord del Cismonte, forse anche per non chiamare in causa rivalità già consolidate nell'isola, cadde sul giovane (aveva trent'anni) Pasquale Paoli, figlio di Giacinto, che era stato esiliato a Napoli dal 1739. Pasquale, che aveva 14 anni quando aveva lasciato la Corsica, nel frattempo era divenuto un ufficiale di Carlo di Borbone e prestava servizio a Porto Longone (odierna Porto Azzurro) all'Isola d'Elba.

Formatosi nell'ambiente illuminista della Napoli di Antonio Genovesi e di Gaetano Filangieri, Pasquale Paoli - che si era preparato già da qualche tempo a rientrare nell'isola con un ruolo dirigente - avrebbe impresso una svolta decisiva alla rivolta còrsa: fu Paoli che gli fece assumere i connotati di prima vera (e ingiustamente oggi misconosciuta) Rivoluzione borghese d'Europa, e sua è la prima Costituzione (anch'essa ingiustamente poco nota) democratica e moderna, quella che regolò la vita della Corsica indipendente dal 1755 alla conquista francese 1769.

Giunto in patria il 19 aprile, Paoli raggiunse il fratello Clemente a Morosaglia e, tra il 13 e il 14 luglio 1755, venne proclamato "Generale" di quella che ormai con piena coscienza si definiva come la Nazione còrsa. L'elezione avvenne presso il convento francescano di Sant'Antonio di Casabianca. Emanuele Matra, notabile della regione di Aleria, raccolti intorno a sé un gruppo di maggiorenti avversi al partito di Paoli, non ne accettò l'elezione e diede vita ad una vera e propria guerra civile per opporsi alla sua elezione.

Affrontato con polso di ferro e vinto entro novembre dal neoeletto Generale della Nazione (che, secondo il console francese a Bastia, riceveva appoggi britannici), il Matra, che era sostenuto dai genovesi, fu sconfitto e costretto all'esilio. Malgrado il successo, Paoli dovrà affrontare ancora per anni le ostilità suscitate dai membri della famiglia Matra e dai loro alleati.

Tra il 16 e il 18 novembre 1755, riunita una Consulta generale a Corte (divenuta capitale dello Stato còrso), Paoli promulgò la Costituzione di Corsica. Essa teneva conto della struttura istituzionale preesistente, perfezionandola e migliorandola, e pur dovendo adeguarsi alla situazione d'emergenza, di isolamento geografico, di guerra e di assenza di un vero riconoscimento internazionale del nuovo Stato che essa istituiva e regolava, contribuì a rendere Paoli molto popolare negli ambienti illuminati di tutt'Europa e tra i coloni inglesi insorti che daranno vita agli Stati Uniti e alla loro Costituzione.

La Costituzione còrsa s'attirò l'attenzione di tutta Europa per la sua eccezionale carica innovativa e Paoli chiese la collaborazione di Jean-Jacques Rousseau per perfezionarla. Il filosofo ginevrino rispose volentieri all'appello e redasse il suo Progetto di costituzione per la Corsica (1764).

La Costituzione assegnava al Generale un ruolo particolare, paragonabile per certi versi, vista la situazione di guerra perdurante, a quella di un dittatore nell'antica Repubblica Romana, affiancato da un Consiglio di Stato elettivo che rispondeva ai principi di collegialità e di rotazione, seguendo uno schema che traeva la sua ispirazione dal modello comunale sorto in Italia. Si trattava quindi di una sorta di dispotismo illuminato, ove la massima autorità era sottoposta al controllo assembleare e votata ad un'azione riformatrice ispirata dallo spirito dei lumi'.

Le mai del tutto sopite fronde e spinte anarchiche interne, unite alla costante minaccia dall'esterno, costrinsero allo sviluppo di un sistema giudiziario severo ed inflessibile (che resterà famoso come Giustizia paolina) e ad una notevole pressione fiscale, accompagnata da un continuo e quasi disperato sforzo di sviluppo agricolo, economico (entro il 1762 la Corsica batterà la propria moneta) e commerciale. La Corsica si dotò così di una propria flotta, battente la bandiera con la Testa Mora, per rompere il blocco navale genovese. Anche a tale scopo nel 1758 Pasquale Paoli fondò il porto di Isola Rossa, strategicamente ben posizionato per tagliare il traffico tra Genova, Calvi e San Fiorenzo. Sempre nel 1758 l'abate Còrso Salvini diede alle stampe a Corte, in italiano, la Giustificazione della Rivoluzione di Corsica.

Ridotta Genova a controllare poche piazzeforti costiere, spesso assediate, Paoli si diede con inesauribile energia a dare forma e concretezza all'autoproclamato Stato di Corsica in ogni campo, senza trascurarne alcuno, spaziando dalla giustizia all'economia. Tollerante nell'ambito religioso (Paoli incoraggiò l'immigrazione ebraica dalla Toscana), il Generale ebbe la fiducia del clero locale, che del resto aveva sempre in larga parte appoggiato gli insorti, e buoni rapporti con il Vaticano, anche nella speranza che ciò potesse condurre ad un riconoscimento ufficiale dell'indipendenza còrsa.

Il nuovo Stato - come del resto quelli sorti più tardi dalle Rivoluzioni Americana e Francese - si caratterizzò come un regime controllato dalla borghesia isolana che era cresciuta sotto il dominio genovese e, per molti versi, grazie ad esso, pur se attraverso gli strumenti democratici della convocazione periodica di assemblee che, anche nei più piccoli centri, eleggevano a suffragio universale i loro rappresentanti i quali, riuniti in consulte, a propria volta procedevano al rinnovo delle cariche amministrative e politiche ai vari livelli, sino al Consiglio di Stato che affiancava il Generale della Nazione. Le elezioni erano a suffragio universale e il voto era un diritto per tutti i residenti leali allo Stato, a prescindere dalla nazionalità d'origine, dal sesso (potevano votare anche le donne) e dal censo o dalla religione (potevano votare tutti i maggiori di 25 anni).

In tal modo venne a realizzarsi l'aspirazione della classe dei notabili ad accedere alle alte funzioni nel governo, nell'amministrazione e nella giustizia, che erano state loro sempre negate dalla Repubblica genovese che, non accogliendo mai i còrsi nella propria oligarchia, aveva ad un tempo delineato il proprio dominio sull'isola come coloniale e, in ultima analisi, provocato la sollevazione della Corsica contro la propria autorità.

L'amministrazione locale dell'isola, guidata dal Generale e dal Consiglio di Stato - che s'insediarono nel "Palazzo Nazionale" di Corte - presiedeva al controllo delle province attraverso magistrati che ricalcavano le funzioni dei Commissari e Luogotenenti genovesi (che rispondevano al governatore dell'isola). Sempre a Corte Paoli fondò, nel 1765, un'Università di lingua italiana (che era la lingua ufficiale dello Stato) destinata a formare i quadri del governo e la sua classe dirigente, mentre venne avviata la pubblicazione di un vero e proprio bollettino ufficiale dello Stato, i "Ragguagli dell'Isola di Corsica".

Accanto alla conservazione di parte da parte della Costituzione degli Statuti della Repubblica ligure, anche a livello locale vi fu una sostanziale conferma di buona parte degli istituti esistenti, inclusi i podestà, i padri del comune, i capitani della milizia, i pacieri e i guardiani (campestri). La situazione di guerra condusse a considerare sottoposti a chiamata militare tutti gli uomini validi e all'organizzazione capillare di marce di addestramento. Tali preparativi militari divengono vitali quando, dal 1764, i francesi tornano in forze a presidiare Bastia, Ajaccio, Calvi e San Fiorenzo.

[modifica] La conquista francese

Rovine del ponte genovese sul Golo noto come Ponte Nuovo, teatro della battaglia vinta dall'Armata di Luigi XV di Francia, che segnò la fine dell'indipendenza dello Stato còrso di Pasquale Paoli, il 9 maggio 1769. Il ponte fu quasi totalmente distrutto dall'esercito tedesco in ritirata verso Bastia nel settembre 1943, al fine di rallentare l'avanzata delle truppe italiane, coadiuvate dalla Resistenza locale e da truppe coloniali francesi
Rovine del ponte genovese sul Golo noto come Ponte Nuovo, teatro della battaglia vinta dall'Armata di Luigi XV di Francia, che segnò la fine dell'indipendenza dello Stato còrso di Pasquale Paoli, il 9 maggio 1769. Il ponte fu quasi totalmente distrutto dall'esercito tedesco in ritirata verso Bastia nel settembre 1943, al fine di rallentare l'avanzata delle truppe italiane, coadiuvate dalla Resistenza locale e da truppe coloniali francesi

Con l'avvento del duca di Choiseul a ministro di Luigi XV l'antico disegno di Parigi di mettere le mani sulla Corsica (già suggerito nella trattatistica politico-diplomatica francese del XVII secolo) prese un'accelerazione.

La Francia aveva subito una dura sconfitta nella Guerra dei sette anni, e aveva perso tutte le proprie colonie d'America, che con Trattato di Parigi del 1763 erano passate sotto il controllo inglese. Diveniva pertanto vitale difendere gli interessi francesi nel Mediterraneo, dove la potenza francese era minacciata dalla Spagna (che controllava anche il Regno delle Due Sicilie), dalla crescente presenza britannica - il cui interesse per estendere il proprio protettorato sulla Corsica non era ignoto a Parigi - e dall'estendersi del dominio austriaco sulla Penisola italiana, con l'acquisizione alla sua sfera d'influenza della Toscana (ove s'era estinta la casata dei Medici cui era subentrata la dinastia Asburgo-Lorena mentre la Lorena era stata in cambio riunita al regno di Francia).

Individuata la Corsica come bene strategico di fondamentale importanza per il perseguimento della politica mediterranea francese, Choiseul perfezionò e portò a compimento il disegno - già delineato - per impossessarsene alle spese della Repubblica ligure ed anzi atteggiandosi ad alleato di Genova. La prima fase dell'operazione consistette nell'indurre Genova alla firma del Trattato di Compiègne nel 1764, che stabiliva l'invio di truppe francesi in Corsica a sostenere la riconquista dell'isola da parte dell'antica Repubblica marinara, che si assumeva l'onere di finanziare l'intera operazione.

Una volta che l'armata francese passò a presidiare le città costiere dell'isola, Choiseul, invece di attaccare risolutamente Paoli, prese a parlamentare con il Generale dei Corsi, investendolo di minacce e blandizie attraverso il suo inviato Matteo Buttafuoco, un fuoriuscito còrso che serviva come ufficiale di Luigi XV. Paoli tenne duro e respinse anche le lusinghe che paventavano un suo possibile ruolo preminente in una futura amministrazione francese dell'isola.

Nel frattempo le truppe del re di Francia, lungi dall'aprire le ostilità contro i còrsi come promesso, restavano al sicuro nelle fortezze genovesi, incrementando così a dismisura il conto che Genova doveva pagare per la loro presenza secondo il Trattato di Compiègne, sino a divenire forzosamente insolvente per mancanza delle risorse necessarie, come previsto da Choiseul.

L'impasse si prolungò così sino al 15 maggio 1768, quando Choiseul coronò il suo piano, costringendo Genova a firmare il Trattato di Versailles, fatto passare - in modo sostanzialmente falso e tendenzioso - per "vendita della Corsica alla Francia" da una storiografia sin troppo ossequiosa e piegata alle esigenze propagandistiche della Francia e dei Savoia, prima nemici giurati di Genova, e poi principi d'Italia sotto il protettorato francese.

In realtà la Corsica fu estorta a Genova quale garanzia per i debiti non onorati, e in un certo senso, artificiosamente creati.

Proprio come se si trattasse di una vendita (al chiaro scopo di esacerbare il disprezzo còrso verso i Genovesi) il trattato venne reso noto a Paoli contestualmente alla richiesta di fare atto di sottomissione al re di Francia. La risposta del Generale fu la mobilitazione generale per resistere, armi alla mano, alle pretese di Parigi.

Mentre i genovesi lasciavano per sempre l'isola, il governo francese replicò avviando speditamente una campagna militare. In un primo tempo le truppe del marchese di Chauvelin furono duramente sconfitte a Borgo nell'ottobre 1768. Paoli, sperando così di guadagnarsi il rispetto della Francia, anziché massacrarli, lasciò liberi i numerosi prigionieri francesi catturati. Alle sue vane speranze di una composizione favorevole del conflitto rispose l'arrivo in Corsica, agli ordini del marchese De Vaux, di forze francesi ancora più ingenti e dotate di una potente artiglieria.

La disperata ricerca d'aiuti internazionali da parte di Paoli non diede risultati di rilievo e così la campagna militare francese entrò nel vivo all'inizio di maggio del 1769, puntando direttamente verso il quartier generale còrso a Murato. Per sbarrare la strada all'attacco, Paoli mise in campo tutte le forze a disposizione, compreso un contingente di fanteria mercenaria tedesca.

La battaglia decisiva si svolse il 9 maggio 1769 a Ponte Nuovo sul Golo, ove le milizie còrse cedettero con gravi perdite alla potenza della superiore artiglieria delle forze francesi, che eran appoggiate da contingenti di còrsi assoldati dai notabili rivali di Paoli, prontamente passati a fianco dei futuri padroni dell'isola. Malgrado la sconfitta, i còrsi, per il coraggio dimostrato in battaglia, si guadagnarono l'ammirazione europea, specialmente presso gli intellettuali illuminati che vedevano in loro la prima sfida aperta all'Ancien Régime. Voltaire scriverà della battaglia sottolineando il valore dei còrsi che difesero il ponte, additandoli come esempio di eroica rivendicazione della libertà, mentre James Boswell, nel suo Account of Corsica (1768), già aveva paragonato Paoli ad un novello Licurgo.

Paoli sfuggì alla cattura e, imbarcatosi per Livorno, di lì raggiunse Londra dove fu accolto in un esilio onorato (fu ricevuto personalmente dal re Giorgio III e dotato di una pensione), mentre in Corsica restava il suo segretario Carlo Maria Buonaparte, padre di Napoleone I, a tentare - assieme ad altri notabili - un'estrema resistenza. La schiacciante e sanguinosa vittoria militare delle armi francesi, tuttavia, presto fece pendere decisamente la bilancia politica dalla parte della Francia e lo stesso Buonaparte finì per aderire al partito francese.

[modifica] Dall'Ancien Régime alla Rivoluzione Francese

Chiesa di San Cervone presso Oletta.
Chiesa di San Cervone presso Oletta.

Alla crescita di tale partito diede un contributo notevole l'intelligenza del conte di Marbeuf, già distintosi alla guida delle truppe di Luigi XV che occupavano l'isola in forze. Mentre veniva, ancora una volta, mantenuta in vigore buona parte degli Statuti genovesi, venne formandosi per mezzo di sentenze ed editti reali un corpus legislativo denominato Code Corse. Ogni vestigia diretta dello stato paolino fu cancellata, a cominciare dalla chiusura dell'Università italiana di Corte.

Esportando sull'isola il modello assolutista e centralista francese, le antiche assemblee democratiche locali vennero abolite (ingraziandosi così i notabili locali, presto dotati di titoli nobiliari di secondo rango in cambio della loro adesione al nuovo regime), così come furono eliminati i privilegi goduti dalle città costiere, rovinandole totalmente dal punto di vista commerciale.

Il patrimonio demaniale fu accuratamente censito e fu preparato un Plan Terrier teso a mettere a profitto l'isola a favore del re, che fu anche l'occasione per il rilancio degli antichi piani del Banco di San Giorgio per sfruttare le piane costiere (che divennero poi preda dei notabili locali pro-francesi) mentre il sistema fiscale ripropose, razionalizzate, le imposte genovesi.

L'arrivo di giudici ed amministratori francesi in massa completò il quadro, facendo accorrere i notabili locali a sottomettersi al re di Francia pur di non vedersi esautorati nei ruoli amministrativi. I risultati del Plan Terrier e dalla politica francese furono scarsi sul piano produttivo e disastrosi dal punto di vista politico, riducendo alla fame le comunità locali espropriate di ogni diritto dall'avidità dei nuovi proprietari. L'unica operazione che poté dirsi riuscita fu l'installazione pacifica a Cargese, dei coloni greci che erano stati scacciati da Paomia e che s'erano rifugiati in Ajaccio durante tutta la durata della guerra.

Lungi dall'essere estirpata, la resistenza Paolista continuava nei santuari montani, ed era accresciuta dalla disperazione dei contadini espropriati dalla voracità dei notabili passati alla Francia. Come accadrà anche nell'Italia meridionale dopo il 1860, tutti coloro che si opponevano al nuovo regime furono sbrigativamente designati come Banditi e Briganti e, come tali, vennero combattuti con ferocia (significativo il caso della Congiura d'Oletta, 1770).

Particolarmente sanguinosa fu la repressione dell'insorgenza del Niolo, che s'era sollevato sotto la guida di alcuni patrioti còrsi: nel 1774 il maresciallo di campo Narbonne si rese protagonista della distruzione e l'incendio di interi raccolti e villaggi, oltre all'esecuzione di innumerevoli fucilazioni ed impiccagioni, seguite da vere e proprie deportazioni di massa, con lo sterminio differito dei combattenti catturati, mandati a morire di stenti nelle oscure prigioni di Tolone.

[modifica] La Rivoluzione francese e il ritorno di Paoli

Tutto ciò contribuì a tenere ben viva, anche tra le classi dirigenti, seppure quasi mai espressa apertamente, la nostalgia per il regime di Paoli ed una particolare avversione verso quello instaurato dal re di Francia.

Non stupisce pertanto che la Corsica, risentendo della crisi dell'Ancien Régime più di altre zone di Francia, fosse tra le regioni che aderirono alla Rivoluzione francese e presentarono i propri Cahiers de Doléances nel 1789, tanto più che gran parte della sua classe dirigente, oltre ad aver dato vita al regime democratico paolino, aveva assorbito i principi illuministici allora molto diffusi presso le Università italiane, dove da sempre si formavano i notabili còrsi.

L'entusiasmo suscitato dal crollo del vecchio regime assolutista (con il quale era identificata l'occupazione francese) e le grandi speranze di libertà accese dalla Rivoluzione, fecero passare in secondo piano le velleità nazionali dei còrsi, come del resto avverrà più tardi anche in Italia e altrove all'arrivo delle armate francesi che esportavano la Rivoluzione.

Tale osservazione serve a capire meglio la richiesta - promossa dal delegato còrso Saliceti all'Assemblea Nazionale di Francia - di sottrarre l'isola al patrimonio reale e di unirla all'Impero Francese, godendo così della sua nuova Costituzione. L'istanza di Saliceti fu approvata il 30 novembre 1789, includendo un'amnistia per tutti i paolisti, compreso Pasquale Paoli.

Nel frattempo sull'isola scoppiarono gravi disordini e le truppe fedeli al re furono travolte. Alla luce di tali eventi si comprende meglio il tentativo - poco noto, ma significavo - che il re Luigi XVI di Francia fece, all'inizio del 1790, di liberarsi del turbolento possedimento, cercando di restituire la Corsica a Genova.

Nella primavera del 1790 Pasquale Paoli giunse a Parigi, accolto con estremo calore da quanti, incluso Robespierre, ne avevano ammirato le gesta da oppositori dell'Assolutismo. Ricevuto da La Fayette e dal re, Paoli proseguì per la Corsica, ove fu accolto trionfalmente - malgrado 21 anni d'assenza - ed eletto comandante della Guardia Nazionale e Presidente del Direttorio del Dipartimento francese nel quale era inquadrata l'isola. Solo due anni prima, proprio da Parigi, Vittorio Alfieri aveva dedicato a Pasquale Paoli «Propugnator magnanimo de' Corsi» la sua tragedia Timoleone.

Gli anni che seguirono videro crescere le tensioni in Corsica, dove ai rivoluzionari s'opponevano i controrivoluzionari, creando così uno stato di tensione e polemica permanente, senza tuttavia sfociare in scontri sanguinosi. In questo periodo si collocano alcune lettere del giovane Napoleone I, che gli saranno più tardi cagione d'imbarazzo per avervi chiaramente espresso - allora - il suo sentirsi còrso e la sua ammirazione per Paoli, accostata al disprezzo per quanti s'erano venduti alla Francia anziché, come l'eroe còrso, scegliere la via dell'esilio.

Fu in questo clima che, mentre in Francia cresceva lo scontro tra Girondini e Montagnardi, Pasquale Paoli, il quale aveva accettato la prospettiva girondina di un federalismo repubblicano come quadro almeno temporaneamente accettabile per la sua Corsica, iniziò a prendere partito per i primi. La vittoria giacobina e l'avvio del Terrore nel 1793, con il ghigliottinamento di Luigi XVI segnarono la svolta. Dopo il misero fallimento di una spedizione guidata dal giovane Napoleone tesa a conquistare la Sardegna (respinta dall'eroe gallurese Domenico Millelire), sulla quale Paoli aveva espresso perplessità, si venne a coagulare un gruppo di notabili (in prima fila Saliceti e i Buonaparte) che proponeva l'estensione del regime giacobino sull'isola e che desiderava liberarsi dell'ormai anziano Babbu (padre) della nazione còrsa. Si giunse così, nell'aprile 1793 all'emissione a Parigi di un decreto di arresto contro Paoli per intelligenza con il nemico.

[modifica] Il regno Anglo-Corso

Paoli, temendo il peggio, raggruppò attorno a sé i propri partigiani e contrattaccò i giacobini alla Consulta tenuta in maggio a Corte, rifiutando di sottomettersi alla Convenzione Nazionale. Dichiarato fuorilegge in luglio, Paoli rispose dichiarando la secessione della Corsica dalla Francia e chiedendo soccorso agli Inglesi, dopo che i suoi partigiani avevano già messo in fuga i giacobini - espatriati in gran fretta - e dato fuoco alla casa natale di Napoleone ad Ajaccio (la casa-museo mostrata ancor oggi ai turisti è sostanzialmente un falso).

Gli inglesi, che erano in guerra contro i rivoluzionari francesi dal febbraio 1793, non mancarono di cogliere l'occasione di strappare la Corsica alla Francia e così perfezionare il blocco navale cui era sottoposto il regime giacobino. Attaccate da Nelson, le fortezze costiere dove si erano rifugiate le truppe francesi sull'isola caddero una dopo l'altra.

Le grandi speranze suscitate in Corsica da quest'intervento, tuttavia, dovevano essere di breve durata e destinate a causare un'amara e definitiva delusione a Pasquale Paoli.

Scacciati i francesi dall'isola, si procedette alla redazione di una nuova Costituzione di Corsica (la seconda dopo quella del 1755), che fu approvata nel giugno 1794 da una Consulta tenutasi a Corte, tornata capitale dell'isola dal 1791, dopo che Paoli aveva represso una rivolta controrivoluzionaria scoppiata a Bastia. Più complessa della precedente, la nuova Costituzione prefigurava la Corsica come un protettorato personale del re d'Inghilterra ma dotato di larga autonomia, realizzando un'originale struttura istituzionale sintesi di parlamentarismo all'inglese, riformismo illuminato e indipendentismo.

In realtà quanto disposto dalla carta costituzionale restò largamente lettera morta, anche considerando il fatto che l'Inghilterra, in guerra contro la Francia, non aveva certo intenzione di limitarsi ad esercitare un protettorato poco più che simbolico (come la Costituzione prometteva) su un'isola tanto importante per la realizzazione delle proprie mire imperiali.

Paoli, che aveva sperato di ricoprire la carica di viceré, la vide invece assegnata all'inglese Sir Elliot (che dal 1807 al 1813 sarà governatore generale dell'India), e vide sfumare così tanto le ambizioni personali, quanto quelle di avere, finalmente, realizzato il suo sogno di una Corsica libera ed indipendente.

Così la costituzione che diede vita al Regno Anglo-Corso (ancora una volta scritta in italiano, che restava la lingua ufficiale dell'isola), pur importante dal punto di vista legislativo, rimase in buona parte inattuata, dando origine a crescenti malumori.

Paoli, sostenuto dai molti notabili che si sentivano messi da parte dal nuovo regime, iniziò apertamente a fare la fronda a Sir Elliot sino a che Giorgio III in persona gli ordinò di recarsi a Londra. Giuntovi nell'ottobre 1795, l'eroe còrso si trovò esiliato definitivamente, seppure dotato di mezzi adeguati e confortato da appoggi e frequentazioni atte a fargli vivere una vecchiaia decente ed agiata. Dopo aver lasciato una cospicua somma destinata alla riapertura dell'Università italiana a Corte, Paoli morì a Londra il 5 febbraio 1807 e fu sepolto, con onori assolutamente eccezionali per uno straniero, nell'Abbazia di Westminster.

Nell'ottobre 1796 gli inglesi evacuarono la Corsica, che fu rioccupata quasi senza colpo ferire dai francesi dell'Armata d'Italia, guidata da Napoleone, che provvide subito a dividerla in due dipartimenti (Golo e Liamone) anche allo scopo di indebolirne l'unità e quindi scongiurare nuove sollevazioni.

[modifica] Nella Francia imperiale

«Il faut que la Corse soit une bonne fois française» dichiarò il futuro imperatore e, con l'arrivo del potere napoleonico, la Corsica cominciò a subire la campagna di francesizzazione che l'accompagnerà sino ai giorni nostri. L'isola viene rioccupata interamente nel 1797, mentre in Italia Napoleone liquida sia la Repubblica di Genova che quella di Venezia.

Ma il ritorno in Corsica della potenza francese vittoriosa in Europa non riporta né la pace, né la prosperità sull'isola. Le ribellioni e le rivolte si susseguono e quelli che un tempo erano definiti i patrioti di Paoli, divenuti banditi sotto Luigi XV e Luigi XVI, sono ora definiti controrivoluzionari dal Direttorio.

Nel 1798 scoppia la rivolta detta della Crocetta, per via della piccola croce bianca che decora i berretti degli insorti. La ribellione, affine per certi versi alla quasi contemporanea crociata Sanfedista del cardinale Fabrizio Ruffo in Italia meridionale, ha origine dagli eccessi del governo giacobino contro il clero (che in Corsica aveva sempre sostenuto le istanze nazionali). Guidata dal vecchio Agostino Giafferi (1718-1798), l'insorgenza conquista in breve tempo gran parte del Nord della Corsica. La reazione giacobina è spietata e la rivolta viene affogata nel sangue. Giafferi (figlio di Luigi esiliato con Giacinto Paoli), ottantenne, viene prelevato nella sua casa e fucilato.

Simile destino ha una spedizione di còrsi fuoriusciti, che sbarca nel Fiumorbo nel 1800 provenendo dalla Toscana: le promesse di sostegno fatte loro dal console Russo si rivelano chimere e anche questo tentativo, duramente represso, fallisce dopo la resistenza contrappostagli da una Sartena fieramente repubblicana.

Il perdurare dei disordini e il pugno di ferro applicato dal governatore militare dell'isola, Miot de Melito, rendono endemiche miseria e povertà ovunque nell'isola. Miot, di fronte ad una Corsica ridotta allo stremo, è costretto ad alleviare la pressione fiscale a partire dal 1801. Altri provvedimenti in questo senso sono presi via via sino al 1811 quando, per decreto imperiale, essi sono confermati e completati dalla riunificazione dei due Dipartimenti, con spostamento della capitale ad Ajaccio.

Ai vantaggi fiscali - che non avranno alcun effetto significativo, perdurante lo stato di guerra nell'isola - si affianca però la sospensione dell'applicazione della Costituzione francese nell'isola, che resta sotto un brutale regime militare durante tutto il Consolato e l'Impero. Il generale Morand, cui sono conferiti pieni poteri dal 1803, con il pretesto della lotta al banditismo, utilizza i tribunali militari come strumento di dura rappresaglia contro tutta la popolazione. Incoraggiato da Napoleone, il generale si abbandona ad eccessi di inusitata ferocia e, nel tentare di implementare la coscrizione di massa, si scontra contro una nuova rivolta nel Fiumorbo e nelle montagne dell'Alta Rocca, che divengono un rifugio di renitenti e un focolaio di resistenza permanente e ostinata che si prolungherà anche dopo la Restaurazione. La ferocia della sua repressione diventa leggendaria e sarà ricordata in Corsica come giustizia morandiana quale sinonimo di cieca violenza.

Sul piano economico non v'è nulla di significativo, se non qualche tentativo di miglioramento delle razze ovine, il riadattamento ad uso militare della strada Bastia-Ajaccio e lo sfruttamento forestale per le costruzioni navali della marina da guerra francese.

Il bilancio napoleonico in Corsica è dunque a dir poco fallimentare e anche pochi cenni sulla storia di quegli anni rendono chiaro quanto sia artificioso e largamente ad uso dei turisti il culto napoleonico ancor oggi celebrato ad Ajaccio, l'unica città dell'isola, per altro, che abbia ricevuto qualche attenzione, seppur largamente vacua e distratta, dal suo illustre figlio.

Alla caduta di Napoleone gli Ajaccini gettano a mare il busto del loro concittadino ed inalberano i vessilli borbonici, mentre i Bastiesi, guidati dal poeta còrso Salvatore Viale, pubblicano un manifesto (Proclamazione di Bastia) ed incitano l'isola alla rivolta e all'indipendenza, instaurando un governo provvisorio che reclama la sovranità còrsa sull'isola. Ma il Congresso di Vienna non si discute, e in Corsica torna il potere francese. L'opportunismo prevale ancora una volta: molti notabili, compresi quelli che avevano tratto qualche beneficio dal regime napoleonico, fanno atto d'obbedienza alla monarchia francese restaurata salvo, con un clamoroso voltafaccia, plaudire in massa al Napoleone dei Cento giorni.

[modifica] Verso il secondo impero

Chiusa definitivamente nel mondo, la parentesi napoleonica porta i suoi strascichi in Corsica, essendo divenuta l'isola uno dei luoghi di raccolta dei superstiti seguaci dell'imperatore. Di fronte alla reazione monarchica, i partigiani còrsi di Napoleone fanno causa comune con gli insorti mai domati delle montagne centro-meridionali e, tra il 1815 e il 1816, imperversa nell'isola la cosiddetta Guerra del Fiumorbo: per mesi poco più di un migliaio di uomini e qualche centinaio di guerrigliere còrse tengono testa - ed alla fine quasi sconfiggono - le superiori forze (almeno 8.000 uomini) del marchese de Rivière.

Scampato per miracolo alla cattura in battaglia, il marchese viene sostituito dal conte Willot, il quale offre una resa onorevole al comandante degli insorti, il murattiano Poli che, grazie all'amnistia concordata, nel maggio 1816, abbandona la Corsica con i suoi seguaci. Quasi sconfitti militarmente, i Borboni ottengono così una vittoria politica, e allontanati o imprigionati i bonapartisti, affidano a monarchici di provata fede il governo dell'isola.

Passata l'ultima fiammata del Fiumorbo (ma una parte degli insorti si darà alla macchia e sarà operativa sin verso il 1830), la gente di Corsica, con alle spalle un secolo intero (1729-1816) di guerre quasi ininterrotte, o si rassegna al proprio destino ripiegata su sé stessa e sulla propria identità, accontentandosi della protezione delle proprie montagne o, se cerca fortuna, lo fa - quasi ovviamente - per lo più all'interno dello Stato francese e in quel contesto, facendo ogni sforzo per far dimenticare le proprie origini.

La gente comune continua a vivere di un'economia di sussistenza e l'incremento demografico registrato dal 1800 al 1890 (da 164.000 a 290.000 abitanti) - spesso sopravvalutato dalla storiografia francese, ansiosa di esibire buoni risultati - è comunque modesto (specie in termini assoluti) e ampiamente spiegabile con la fine di un lunghissimo periodo di continue guerre e devastazioni. A testimonianza della fatica della gente còrsa per darsi di che vivere, sono oggi visibili nell'isola numerosi i terrazzamenti abbandonati, creati con grande fatica non per la coltura di viti ed olivi, ma di cereali panificabili.

I successivi piani di sviluppo agricolo non fecero che ricalcare nella sostanza i passi di quelli ideati ancora nel XVII secolo dal Banco di San Giorgio, portando con sé - quasi inevitabilmente - gli stessi scarsi risultati e generando le stesse tensioni sociali che li avevano contraddistinti due secoli prima, finendo così per generare contrasti che scoppiarono puntualmente in occasione delle rivoluzioni del 1848.

A rendere più fosche le tinte del periodo non mancarono le carestie (1811, 1816, 1823, 1834) e le epidemie di colera (1834, 1855), senza contare le febbri malariche, endemiche nelle pianure umide litoranee, e il perdurare della vendetta e del banditismo che, lungi dal costituire solo un fenomeno di pura criminalità (cui inevitabilmente s'intreccia soprattutto quale conseguenza delle faide), si fa consapevole oppositore del continuo sforzo di acculturazione francese - pregno di disprezzo e razzismo verso i còrsi - e portatore di una rivendicazione collettiva di identità e di rigetto per il modello francese, visto come estraneo e coloniale.

La risposta dello Stato, significativamente, ricalca quella genovese: fallite le politiche repressive si ricorrerà, nel secondo impero, alla soppressione generalizzata del porto d'armi, mentre con il pretesto di aiutare l'agricoltura s'impiantano colonie penali agricole nell'isola, ridotta ad una piccola Caienna.

D'altra parte gli stessi francesi sentono la Corsica come estranea (Chateaubriand dà per scontato questo dato nelle sue polemiche antinapoleoniche e si riferisce in modo sprezzante ai suoi abitanti) e, almeno sino al compiersi del Risorgimento, anche i còrsi - che continuano a frequentare le Università italiane - si sentono parte della comunità italiana intesa in senso culturale.

Il francese non è impiegato che quasi esclusivamente negli atti amministrativi (neanche in tutti: sino a metà Ottocento è normale trovare atti di nascita, matrimonio e morte esclusivamente redatti in italiano), e l'italiano continua ad essere schiacciante maggioranza nelle pubblicazioni locali e persino negli atti notarili, mentre quello che più tardi sorgerà come lingua autonoma, u Corsu, altro non è che la lingua vernacolare, sentita - come avviene dovunque nell'Italia dei mille dialetti - come livello familiare di quella italiana. Dei notabili che vezzosamente ostentano l'impiego dell'italiano toscaneggiante anche nelle conversazioni informali, si dice significativamente che parlanu in crusca, con chiaro riferimento alla celebre Accademia fiorentina, custode della lingua italiana.

Nel 1821 un'ispezione condotta dall'accademico di Francia Antoine-Félix Mourre, stimava che su circa 170.000 abitanti solo circa 10.000 comprendessero il francese, e solo un migliaio fossero in grado di scriverlo. Nel 1823 un prefetto francese in ispezione sull'isola si sente rispondere «noi siamo italiani» dai responsabili del Cantone di Belgodere che aveva appena esortato a propagare nella loro regione la lingua nazionale, il francese.

Ad ulteriore conferma di tale situazione basti pensare che nel Trattato stretto il 18 febbraio 1831 a Parigi tra il generale La Fayette e il comitato rivoluzionario italiano di Parigi nell'ambito delle agitazioni correlate alla Monarchia di luglio, su proposta del francese, si stabilisce lo scambio tra Corsica e Savoia. Il 28 luglio 1835 il còrso Giuseppe Fieschi attenta alla vita di Luigi Filippo di Francia e viene ghigliottinato.

L'uso della lingua italiana, che continuava ad essere impiegato in Corsica anche negli atti pubblici (per un decreto del 10 marzo 1805 che derogava per l'isola l'uso obbligatorio del francese), viene totalmente vietato il 4 agosto 1859, a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione francese, che interviene, con singolare tempestività, non appena Napoleone III rientra a Parigi reduce dalla campagna d'Italia che ha dato una brusca svolta ai progetti d'unità Italiana: difficile non pensare ad un provvedimento politicamente motivato, teso a prevenire una possibile deriva della Corsica verso il costituendo Stato Italiano, mentre Savoia e Nizza venivano cedute alla Francia.

Malgrado qualche riferimento ad un coinvolgimento dell'isola nell'unità italiana da parte, tra gli altri, di Garibaldi, Mazzini e Gioberti, e la partecipazione di alcuni còrsi a diverse battaglie del Quarantotto italiano, la Corsica non è mai stata davvero coinvolta dal processo unitario italiano. Del resto, lungo la storia, il costante ricorrere dei còrsi a chicchessia pur di scacciare il governo straniero che li governava, testimonia della loro atavica volontà di non avere, in ultima analisi, alcun dominatore e del loro genuino - seppure mai davvero soddisfatto - desiderio d'indipendenza.

Restano pertanto come casi tutto sommato isolati gli episodi nei quali dei còrsi combattono come Garibaldini o la parabola di Leonetto Cipriani, di Centuri (Capo còrso) che, protagonista alla battaglia di Curtatone (1848) e poi a quella di Novara, più tardi sarà governatore delle Legazioni pontificie (1860) e senatore del Regno d'Italia. Parimenti, la presenza di italiani esuli in Corsica durante la prima fase del Risorgimento, più che a stimolare un eventuale sentimento pro-italiano in senso unitario-politico - pressoché inesistente - finisce per contribuire alla diffusione di idee liberali presso la borghesia còrsa. In questo contesto, attorno al 1848 nasce in Corsica la società segreta dei Pinnuti, sorta di Carboneria isolana (in Còrso i pipistrelli si dicono topi pinnuti).

Più significativo è, naturalmente, l'impegno dei notabili nel mondo politico parigino, anche come esito della pressione - che si fa sempre più crescente - affinché si integrino nello Stato Francese. Sotto la Restaurazione borbonica, in una Corsica ormai poverissima si è costretti a derogare alle soglie d'accesso al voto basate sul censo, abbassandole quanto basta per coinvolgere i maggiorenti dell'isola nella politica nazionale. Si accentua così la tendenza - già presente da secoli - delle famiglie più potenti a disporre del potere, dando nuova vita al fenomeno che ancor oggi vede i politici autonomisti ed indipendentisti indicare in Corsica come clanisti i politici locali integrati nei partiti nazionali francesi.

Tra le famiglie che incarnano questo processo, le prime sono senz'altro quelle dei Pozzo di Borgo e dei Sebastiani, che iniziano la loro attività all'ombra del nuovo potere centrale già durante il Primo impero, e prima ancora di proclamarsi fedeli alla restaurazione monarchica. Seguiranno gli Abbatucci sotto il Secondo impero e gli Arène nella Terza Repubblica.

Se i còrsi che cercano fortuna in Francia cercano di liberarsi della propria corsitudine così da sembrare francesi, il continente scopre quest'esotica, nuova appendice del proprio territorio grazie soprattutto ai viaggi alla scoperta dell'isola di alcuni intellettuali ed ai romanzi di successo che la Corsica ispira loro. Su tutti, Honoré de Balzac che nel 1830 pubblica La Vendetta (i cui protagonisti còrsi parlano in italiano) e Prosper Mérimée con Colomba (uscito nel 1840), cui seguiranno Alexandre Dumas con I Fratelli Corsi, Gustave Flaubert e più tardi altri autori francesi di rilievo.

[modifica] L'era di Napoleone III

Carlo Luigi Napoleone Bonaparte (1808-1873), figlio del fratello di Napoleone I, Luigi Bonaparte, segna la Storia dell'integrazione della Corsica nella Francia.

L'ingresso di Luigi Napoleone sulla scena politica fa da catalizzatore ad un fenomeno avviato da qualche tempo e che porta al sorprendente esplodere del fenomeno bonapartista in una Corsica che, a dir poco, aveva poco amato il nonno del futuro Napoleone III. Le ragioni di questa evoluzione sono rintracciabili nell'antico meccanismo che tante volte nei secoli precedenti aveva portato i còrsi a riporre le loro speranze in chiunque sembrasse loro potersi opporre al potere cui erano soggetti, guidati dai notabili in grado di sfruttare la generale apoliticità dei contadini.

Così l'ex-imperatore, esiliato anche da morto, riesce a diventare un simbolo di opposizione alla monarchia francese, oltre a poter rappresentare l'ennesimo caso di un Còrso che ha finito i suoi giorni in un esilio condiviso dai superstiti della sua famiglia. Questo simbolo, come una suggestione ipnotica, sarà sfruttato pienamente dal nipote, sulla scia dell'iniziativa, avviata già nel 1834 ad Ajaccio dall'avvocato Costa, di lanciare una petizione per l'abrogazione dell'esilio ai Bonaparte, che coglie il suo pieno successo nel 1848 dopo il trionfale rientro a Parigi delle ceneri di Napoleone (1840).

Luigi Napoleone si fa eleggere ad Ajaccio (senza trascurare di presentarsi in altri collegi continentali) ottenendo un successo straordinario: il 10 dicembre 1848, alle elezioni presidenziali, fa suoi circa 40.000 voti su 47.600 espressi (85%) e la percentuale si trasforma in un trionfo senza pari al plebiscito del 1852, quando ottiene 56.500 "sì" su 56.600 votanti.

Quel che le ragioni sopra descritte non riescono a spiegare diventa immediatamente comprensibile constatando la promozione alle più alte funzioni dello Stato dei capi dei clan còrsi che avevano sostenuto il nuovo imperatore di Francia: grazie a Luigi Napoleone, gli Abbatucci, i Casabianca, i Pietri, fanno carriere spettacolari - se non scandalose - in alcuni settori della magistratura e dell'amministrazione.

La fedeltà alla dinastia Bonaparte viene incentivata da tre visite trionfali di Napoleone III in Corsica (1860, 1865 e 1869), durante le quali viene avviato il culto dinastico attorno alla Cappella Imperiale appositamente costruita ad Ajaccio per ospitare le tombe di membri della famiglia, mentre la capitale dell'isola viene abbellita per fare da degno quadro all'autocelebrazione bonapartista.

I còrsi non saranno lesti a cambiar bandiera dopo la rovinosa caduta di Napoleone III il 2 settembre 1870 a Sedan, ciò che concentra su di loro la furibonda reazione dei radicali e dei repubblicani francesi che, caduto Napoleone III, si abbandonano ad una violenta quanto franca campagna di razzismo anti-còrso.

Frastornato dalla fine del suo protettore, Vittorio Emanuele II - pur lesto il 20 settembre 1870 a prendere Roma (attirandosi l'accusa di pirateria da parte dalle maggiori potenze europee) - non ha il coraggio di accoltellare alle spalle la Francia (come purtroppo non esiterà a fare il nipote nel 1940) ascoltando chi gli consiglia di estendere il colpo di mano alla Corsica. Eppure nel marzo del 1871, nel pieno della campagna d'odio verso i còrsi, un deputato radicale che farà molta carriera, Georges Clemenceau, propone all'Assemblea Nazionale di negoziare il ritorno dell'isola all'Italia.

Quale sia, ancora anni dopo, la concezione della Corsica anche per i francesi che la guardano benevolmente, ce lo chiarisce Guy de Maupassant che nel 1884 scrive: «Ho fatto cinque anni fa un viaggio in Corsica. Quest'isola selvaggia è più sconosciuta e più lontana da noi dell'America...» (da Le bonheur).

[modifica] La Terza Repubblica

La campagna anti-còrsa riaccende l'istinto degli isolani a ripiegarsi su sé stessi e a far fronte comune, e così il bonapartismo resiste ancora qualche anno come forza di maggioranza in Corsica. Si deve all'opportunismo e all'abilità di Emmanuel Arène, nato ad Ajaccio nel 1856 da una famiglia provenzale, la rottura dello schema che porterà il partito bonapartista a ridursi a fenomeno puramente ajaccino.

Significativamente soprannominato U Re Manuele, Arène, disponendo del totale appoggio del governo centrale, domina la scena politica còrsa con grande abilità a partire dal 1878 (e sino alla sua morte nel 1908), esercitando alternativamente mandati di senatore e deputato nel seno dei gruppi repubblicani moderati. Con Arène s'istituzionalizza definitivamente il clanismo isolano: la politica si fa mestiere e offre l'unico serio sbocco per le classi elevate, sia direttamente attraverso la distribuzione di incarichi amministrativi soprattutto in Francia e nelle sue colonie, sia indirettamente, conferendo loro potere attraverso l'impiego pubblico di concetto (sempre sul continente e nelle colonie, soprattutto nell'esercito) che, offerto ai còrsi meno abbienti, diventa strumento di controllo del voto e leva di controllo politico.

Le classi dirigenti dell'isola sono ormai in larghissima maggioranza attratte nell'orbita nazionale francese, al cui dibattito politico e culturale partecipano attivamente, mentre l'istruzione elementare comincia lentamente - ma inesorabilmente - a diffondere la cultura di Parigi e la francofonia anche nelle campagne, avviando un processo di denazionalizzazione che non avrà più significative battute d'arresto.

Mentre la politica coinvolge e distrae la minoranza abbiente, per la maggioranza dei Corsi si va compiendo il disastro lungamente preparato da quasi un secolo di guerre ininterrotte seguito da un altro secolo di repressione e di sfruttamento: implementato per la prima volta da un'ordinanza del 14 dicembre 1771 (a soli due anni dall'occupazione dell'isola), un sistema doganale iniquo, immutato nella sua sostanza dai successivi interventi in materia, ha asfissiato l'economia dell'isola stretta in un abbraccio che non è troppo ingeneroso definire coloniale.

Proibite esplicitamente o scoraggiate fortemente le esportazioni e le importazioni dall'estero (segnatamente: dalla vicina Italia), queste avvengono, di fatto, solo da o verso la Francia, con dazi che generalmente pesano in media per il 15% sulle merci in uscita dalla Corsica, ma solo per il 2% per quelle in entrata. I prodotti còrsi tradizionalmente esportati escono così rapidamente fuori mercato, specialmente quando lo sviluppo delle importazioni dalle colonie si espande, mentre la Corsica, povera di risorse, diviene strutturalmente dipendente dalla Francia in tutto e per tutto, e collegata ad essa - e solo ad essa - in regime di sostanziale monopolio da un'unica compagnia di navigazione concessionaria di Stato.

Nel contesto europeo che vede la libera circolazione delle merci e dei capitali, e mentre la rivoluzione industriale cresce e giunge a maturità, in una Corsica già di per sé povera l'anacronistica gabbia doganale francese rende vani i passi che pure erano stati mossi per mettere l'isola al passo con i tempi dal punto di vista produttivo.

Così valgono a pochi gli sforzi enormi fatti - avvalendosi anche dell'ingegno di Gustave Eiffel - per dotare l'isola della ferrovia. Una volta annientati gli embrioni industriali e siderurgici impiantati a Toga e Solenzara (raggiunta dalla ferrovia solo negli anni trenta del XX secolo), il treno serve a poco e finisce persino - pur d'essere utilizzato - per trasportare periodicamente le greggi, evitando che la transumanza intasi troppo le strade dell'isola, rimaste in larga parte strette e tortuosissime sino ai giorni nostri.

Sussistenti le barriere doganali sfavorevoli, la produzione olearia e vinicola - che pure s'era espansa durante la prima metà del XIX secolo - non può sostenere l'urto della crescente concorrenza protetta, provenzale prima e coloniale poi. Persino la farina che giunge da Marsiglia costa meno di quella prodotta in loco e i castagneti, divenuti non più redditizi, vengono trasformati in legna e carbone o alimentano effimere officine per la produzione di tannino. Stessa sorte subiscono la sericoltura e l'artigianato un tempo fiorente soprattutto a Bastia, travolto dall'avvento della produzione industriale di serie.

La popolazione còrsa, esangue, emigra in massa in un ventennio o poco più a cavallo tra i due secoli, annullando così anche l'impegno profuso per bonificare in anni ed anni di sacrifici, circa 900 km² di pianure malariche per recuperarle all'agricoltura: abbandonate tornano rapidamente allo stato selvaggio e occorrerà l'intervento decisivo degli Americani, nel 1944, per eradicare definitivamente la malaria dalle piane orientali (ove saranno concentrati i campi d'aviazione da cui partivano gli aerei che bombardavano la Germania e il Nord Italia).

[modifica] Il XX secolo

La gravità della crisi economica non fece che incrementare il malcostume politico, il quale ricorreva regolarmente al voto di scambio come lo strumento di un controllo sociale che giungeva ad usare a fini clientelari e di bottega persino la forte domanda d'emigrazione.

All'alba del XX secolo, se da un lato lo Stato francese conserva le sue responsabilità per la crisi profonda in cui versa la Corsica, dall'altro la sua classe dirigente finisce per essere funzionale a radicalizzare gli effetti della destrutturazione economica, sociale e culturale che frantumano la nazione che aveva acceso le speranze delle menti più illuminate dell'Europa del Settecento. I politici clanisti, integrati nelle formazioni politiche nazionali francesi, oltre a sfruttare cinicamente i mali dell'isola per conservare ed accrescere il loro potere personale, si limitano a rituali quanto vacui appelli a porre mano alla Questione còrsa a livello nazionale.

Di fronte alla disarticolazione delle strutture tradizionali e fondanti della società còrsa, già sul finire del XIX secolo inizia a risorgere e a prendere coscienza sull'isola una sensibilità identitaria che, di fronte al montare della cultura francofona, si coagula attorno alla valorizzazione della lingua còrsa senza rinunciare a denunciare il clanismo, l'indifferenza e il cinismo dello Stato, la desertificazione reale e metaforica delle Corsica.

[modifica] Da Niccolò Tommaseo alla nascita della letteratura còrsa

Lapide tombale di Pasquale Paoli nella cappella ricavata presso la casa natale a Morosaglia, quando il corpo fu vi fu trasportato in patria nel 1889. La lapide è scritta in italiano.
Lapide tombale di Pasquale Paoli nella cappella ricavata presso la casa natale a Morosaglia, quando il corpo fu vi fu trasportato in patria nel 1889. La lapide è scritta in italiano.

I primi chiari segnali di questo risveglio risalgono agli anni settanta dell'Ottocento, in coincidenza con la crisi del movimento bonapartista. Saltando volutamente il secolo francese sino ad allora trascorso, il movimento rivendicativo si ispira al recupero della tradizione nazionale còrsa del XVIII secolo.

Un gruppo prima sparuto e poi sempre più folto di còrsi slegati dalle formazioni politiche aveva però iniziato un'attività di base che puntava alla difesa della lingua, dell'identità e della storia locali già almeno dal 1838-1839, periodo del soggiorno sull'isola, soprattutto in veste di filologo, di Niccolò Tommaseo.

Tommaseo, con l'aiuto del poeta e magistrato di Bastia Salvatore Viale (1787-1861), studia il vernacolo còrso e ne celebra la ricchezza e la purezza (lo definirà come il più puro dei dialetti italiani), contribuendo al nascere dei primi germi di una coscienza linguistica e letteraria autonoma nell'ambito della élite isolana raccolta attorno al Viale. Questi già nel 1817 aveva pubblicato un'opera eroi-comica, la Dionomachìa, contenente un brano in còrso nell'ambito del testo, composto per il resto in italiano. Si tratta della prima opera di rilievo letterario che impiega il còrso, mentre in precedenza vi sono poche testimonianze scritte di esso, limitate per lo più a qualche poesia (spesso scritte da sacerdoti), mentre sono numerose le testimonianze della ricca tradizione orale dei canti, soprattutto nella forma pastorale antichissima delle paghjelle, polifonie particolarmente studiate e ammirate dal Tommaseo (e recuperate oggi da gruppi musicali còrsi, come A Filetta (la Felce).

Tuttavia anche allora - e lo resterà sino alla fine dell'Ottocento - il vernacolo era considerato adatto solo a soggetti giocosi, farseschi (come la Dionomachìa) o popolareschi (le canzoni), laddove per i soggetti "seri" la scelta di chi rifiuta l'assimilazione francese è istintivamente e naturalmente quella dell'italiano.

Nel 1889, mentre Parigi celebra sé stessa e il secolo del Positivismo inaugurando la Torre Eiffel, i corsisti fanno rientrare in Corsica da Londra, dopo un esilio di 82 anni, le ossa di Pasquale Paoli. Nell'austera cappella ricavata nella sua casa natale, l'iscrizione della lapide che ne sigilla la tomba è significativamente iscritta in italiano.

Si giunge così al 1896 quando appare il primo giornale in lingua còrsa, «A Tramuntana» (la Tramontana), fondato da Santu Casanova (1850-1936) e che, sino al 1914 si fa portavoce dell'identità còrsa e della sua dignità.

Mentre l'italiano, ancora ben vivo all'alba del Novecento, si avvia a scomparire rapidamente dalla scena (anche a seguito del mancato riconoscimento dei titoli di studio rilasciati dalle Università italiane sin dai tempi di Napoleone III, che spinge quasi tutta l'intellighenzia còrsa verso quelle francesi), i còrsi iniziano a valorizzare la loro lingua vernacolare come strumento di resistenza ai misfatti dell'acculturazione francese che ormai minaccia di travolgere l'anima stessa dell'isola. Accanto al processo di promozione del còrso, che lo porterà ad essere sentito sempre più come lingua autonoma e non più come livello familiare dell'italiano, scatta un'operazione di rivendicazione nazionale che porta alla richiesta pressante di autonomia amministrativa e di studio nelle scuole della storia còrsa, in un panorama nel quale ormai tutti gli scolari sanno bene chi sia Vercingetorige, ma ignorano chi fosse Pasquale Paoli.

Accanto a «A Tramuntana» un'altra rivista, «A Cispra» (nome di un lungo fucile pietra focaia, usato sia dai montanari che dai banditi), si fa interprete di uno stato d'animo che coinvolge trasversalmente, sia a livello di convinzioni politiche individuale, sia a livello di strati sociali, tutta quella che oggi definiremmo la società civile dell'isola, mentre i politici clanisti di qualsiasi partito nazionale francese restano fuori dal processo e fedeli al governo centrale e al nazionalismo francese. Ciò malgrado l'agitazione sociale e culturale allarma Parigi e così si moltiplicano le inchieste parlamentari sull'isola, mentre lo stesso presidente Sadi Carnot sente la necessità di visitare la Corsica nel 1896.

L'unico risultato concreto di tanta agitazione è l'alleviarsi, a partire dal 1912, del regime doganiero coloniale che strangolava l'isola sin dalla sua conquista. Ma anche questa misura, isolata ed insufficiente, sarà resa vana dall'incombente tragedia della I guerra mondiale.

[modifica] Dalla prima alla seconda guerra mondiale

La prima guerra mondiale (1914-1918) coinvolge pesantemente la Corsica e rivela il perdurare della disparità di trattamento verso la sua popolazione nel seno dello Stato francese. Per i còrsi sembra non valere la regola che, in genere, vede i padri di famiglie numerose esentati dal prestare servizio militare o dall'esser destinati alla prima linea. Così i montanari dell'isola vengono gettati in massa nel tritacarne delle battaglie sul fronte franco-tedesco, facendo assegnare alla Corsica il poco invidiabile primato di soffrire, percentualmente, circa il doppio delle perdite rispetto alla media nazionale, e il più alto rispetto a qualsiasi altra regione del Paese.

Secondo le stime, circa il 10% dell'intera popolazione dell'isola trova la morte sui campi di battaglia. L'impatto demografico è disastroso e aggravato dall'interruzione, per motivi bellici, dei collegamenti navali regolari con l'isola, che approfondisce la crisi già in atto e spinge la popolazione affamata a ridursi ad un'agricoltura e ad un'economia arcaica, recuperando tecniche di coltivazione del XVIII secolo per sopravvivere.

La situazione in Corsica è tanto disperata che molti reduci preferiscono emigrare nelle colonie o trovare impieghi in continente piuttosto che tornare alle proprie case in una terra sempre più desertificata sotto ogni punto di vista. Questa diaspora sovrappone il suo effetto a quello delle pesantissime perdite (tuttora i monumenti ai caduti in molti paesi di Corsica elencano un numero di caduti superiore al totale degli abitanti attuali), dando un colpo che si rivelerà decisivo all'equilibrio demografico, culturale ed economico dell'isola.

Tra quelli che restano si fa strada la radicalizzazione del movimento rivendicativo e si riallacciano i legami anche politici con l'Italia, che già con il governo Crispi perseguiva lo sviluppo dei movimenti irredentisti e una politica estera avversa alla Francia. In Corsica nasce, per impulso di Petru Rocca, A Muvra (1919), un periodico scritto prevalentemente in còrso e in italiano, con qualche articolo in francese. Attorno al giornale prende vita nel marzo 1922 il Partitu Corsu d'Azione (PCdA, autonomista, analogo al Partito Sardo d'Azione). Alla Muvra (il muflone isolano) si affiancano altre pubblicazioni, in Corsica e in Italia, da dove il quotidiano livornese "Il Telegrafo" diffonde in Corsica, a partire dal 1923, un'edizione per l'isola, che ha ampia circolazione. Oltre alla fioritura di giornali e i periodici si moltiplicano seri studi linguistici (come l'Atlante Linguistico Etnografico Italiano della Corsica di Gino Bottiglioni) e storico-etnografici ("Archivio Storico di Corsica" e "Corsica Antica e Moderna") dedicati all'isola, editi sia in Italia che in Corsica.

Si realizza così il passaggio dalla rivendicazione autonomista ed identitaria a quella più marcatamente indipendentista e nazionalista che, con l'avvento della propaganda mussoliniana, si vena d'irredentismo: il governo fascista non lesina finanziamenti agli indipendentisti còrsi e s'istituiscono persino borse di studio perché i giovani còrsi tornino a frequentare le Università italiane.

La storiografia e la propaganda politica francese hanno sfruttato abilmente (e con notevole successo) l'inquinamento fascista per screditare e obliterare il movimento corsista nel suo complesso, operando una semplificazione che equipara l'autonomismo e l'indipendentismo isolano al fascismo, con tutto il carico di disprezzo che evoca l'implicita accusa di tradimento e di adesione ad un sistema dittatoriale sconfitto dalla storia.

In verità l'avvento di Mussolini in Italia non fa che seguire, non anticipare - né generare - un diffuso e davvero mai del tutto sopito sentimento di estraneità dei còrsi alla nazione francese. La tradizionale ed antichissima tendenza degli isolani a invocare aiuti esterni (con Sampiero s'era cercato aiuto persino presso i Turchi) e a raccogliersi attorno a personaggi forti, nella sfortunata coincidenza storica, spinge il movimento corsista verso un abbraccio fatale con il fascismo italiano. Tale deriva va letta piuttosto come un evento incidentale (ed anzi stimolato dall'indifferenza francese), che come un'adesione piena e realmente ideologica. Del resto Santu Casanova già invocava un uomo del destino sulle colonne della Tramuntana nel 1902, riferendosi a un novello Pasquale Paoli e non certo ad un Mussolini di là da venire.

Oltre a Petru Rocca si distinguono nel movimento corsista altri personaggi, quasi tutti ad un tempo letterati (con produzioni poetiche in còrso e in italiano) e attivisti politici. Alcuni di essi, come i fratelli Ghjuvanni e Anton Francescu Filippini (quest'ultimo, considerato il maggior poeta còrso, fu segretario di Galeazzo Ciano), sceglieranno giovanissimi l'esilio in Italia e finiranno tragicamente per unire il loro destino pubblico a quello del regime fascista. Lo stesso destino segnerà la vita di Marco Angeli e di Petru Giovacchini, condannato a morte in contumacia dalla Francia come disertore e traditore subito dopo la sconfitta dell'Italia nella seconda guerra mondiale.

Marco Angeli, di Sartene, collaborò alla Muvra dal 1919 al 1924, distinguendosi come polemista, poeta e come autore del primo romanzo in còrso (Terra corsa, Ajaccio, 1924). Intensa anche l'attività politica, come segretario del PCdA. Dal 1926, accusato di diserzione in Francia, fu esule in Italia, dove s'era laureato in medicina a Pisa. Dal 1930 sviluppò dalla città toscana un'intensissima attività propagandistica di stampo via via sempre più apertamente irredentista e giunse a creare una rete capillare di attivisti che, raccolti nei "Gruppi d'Azione Còrsa", contava migliaia di aderenti in tutta Italia.

Il temporaneo riavvicinamento tra Italia e Francia frattanto intervenuto condusse nel 1935 allo scioglimento dei Gruppi, che sarebbero brevemente risorti con lo scoppio della guerra nel 1940. Anche in Corsica la simpatia per l'Italia raggiungeva punte impensabili: Santu Casanova (anche lui morirà esule in Italia) produce scritti e poesie celebrative della guerra d'Etiopia e si giunge ad organizzare pubblici festeggiamenti in occasione della proclamazione dell'Impero italiano il 9 maggio 1936.

La maggioranza della popolazione còrsa, tuttavia, restava indifferente (ed in certi casi apertamente ostile) al richiamo indipendentista (quando non annessionista) e, dopo il campanello d'allarme suonato a seguito delle manifestazioni di giubilo per le imprese coloniali mussoliniane, alla rivendicazione ufficiale dell'Italia sulla Corsica pronunciata dal Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, risponde decisa la reazione del governo francese che a Bastia, il 4 dicembre 1938, organizza, di fronte al monumento ai caduti della grande guerra, una manifestazione nazionalista che resterà famosa come il Serment (giuramento) di Bastia: migliaia di persone giurano di «vivere e morire francesi» e di difendere l'appartenenza della Corsica alla Francia a tutti i costi «rispondendo alla violenza brutale con la legittima violenza».

[modifica] La seconda guerra mondiale e l'occupazione italiana

A seguito dell'armistizio del giugno 1940 le principali basi militari in Corsica ricevono la visita delle commissioni militari italiana e tedesca.

L'11 novembre 1942, in risposta all'Operazione Torch alleata, scatta, con l'assenso del Governo di Vichy, l'invasione della Francia meridionale da parte delle forze tedesche e della Corsica da parte di quelle italiane, che sbarcano a Bastia senza alcuna opposizione, utilizzando mezzi e uomini che erano stati preparati in origine per lo sbarco, mai avvenuto, su Malta.

Le forze d'occupazione italiane ammontavano a circa 80.000 uomini. Dal giugno del 1943 si aggiungeranno ad esse circa 14.000 tedeschi della divisione SS Reichsführer. Il comando militare italiano controlla l'isola con una certa facilità grazie all'imponenza della forza d'invasione (la Corsica contava circa 200.000 abitanti) e grazie al fatto che sia la Gendarmerie francese, sia l'amministrazione civile locale, mantengono gran parte delle loro funzioni. L'opposizione della popolazione all'occupazione è dapprima scarsa per non dire inesistente: una parte degli isolani, sebbene minoritaria, accoglie gli italiani come liberatori, e i militari hanno in genere un contegno corretto e persino umano che contribuisce a creare un clima tutto sommato tranquillo.

Poi il pesante intervento dell'OVRA (talvolta affiancata dai Carabinieri) contro i pochi oppositori riesce, assieme alla fame (cui contribuiscono le requisizioni di viveri), a far serpeggiare il malcontento, sul quale fanno leva i capi del nascente movimento di Resistenza, sia quella comunista, sia quella repubblica e nazionalista francese. Charles de Gaulle invia sull'isola un suo uomo di fiducia, Fred (Godefroy) Scamaroni (nato ad Ajaccio nel 1914), per organizzare ed unire le anime della Resistenza, sino a quel momento rimasta puramente platonica. Scamaroni coordina con esponenti locali un piano di sviluppo che prosegue per molti mesi contando anche su rifornimenti clandestini via mare (molti dei quali assicurati dal sommergibile francese "Casabianca") e su aviolanci notturni. Arrestato dai Carabinieri ad Ajaccio e torturato dall'OVRA durante gli interrogatori, Scamaroni - pur di tacere - si dà la morte in carcere il 19 marzo 1943.

Ha nel frattempo luogo qualche attentato che alimenta in una spirale una repressione sempre più impietosa. Si moltiplicano così gli arresti e le deportazioni all'Elba e in Calabria, mentre la Resistenza si raggruppa nell'impenetrabile maquis (macchia) còrso, dando così il nome a tutto il movimento di liberazione in Francia. Il nuovo capo militare della Resistenza còrsa, Paolo Colonna d'Istria, arrestato, riesce a farsi liberare convincendo le guardie d'essere un agente segreto italiano grazie alla sua padronanza della nostra lingua.

Il 27 giugno 1943, ancora ad Ajaccio, l'OVRA arresta anche Jean Nicoli, capo del Fronte Nazionale (Resistenza comunista) sull'isola. Trasferito a Bastia, Nicoli viene condannato alla fucilazione da eseguirsi il 30 agosto. Il suo corpo sarà però ritrovato straziato e decapitato.

Con l'8 settembre 1943 gran parte delle forze italiane, al comando del Generale Giovanni Magli, si oppongono con le armi al tentativo delle forze tedesche, che come altrove, tentano di renderle inoffensive. Già in serata esplode una battaglia al Porto di Bastia, che i tedeschi cercano di catturare. Magli in un primo tempo tratta con il comandante tedesco, l'abile generale Fridolin von Senger und Etterlin (si distinguerà per il ruolo chiave svolto nella battaglia di Montecassino), che ha a sua disposizione nel Nord dell'isola truppe corazzate di prim'ordine. Di fronte alla minaccia di una tenaglia per lo sbarco, presso Bonifacio, di altre forze corazzate germaniche (90a Divisione PanzerGrenadier) provenienti dalla Sardegna (che i tedeschi evacuano proponendosi di consolidare il controllo della Corsica), Magli prende contatto con Paolo Colonna d'Istria per concordare una linea comune contro i tedeschi.

Agli ordini del generale Henry Giraud (che si trova in Nordafrica), sbarcano frattanto sull'isola i primi soldati coloniali francesi (Goumiers del Marocco) insieme ad alcuni agenti e rangers americani. Il 12 settembre Magli respinge un ultimatum di Albert Kesselring. Dal 13 settembre 1943 gli italiani (salvo ridottissimi gruppi di camicie nere che s'uniscono alle truppe germaniche) combattono fianco a fianco con i circa 12.000 uomini della Resistenza insorti (e con le poche centinaia di soldati coloniali francesi) contro i tedeschi, le cui forze a Sud cercano di raggiungere Bastia, frattanto strappata alla divisione Friuli da un bombardamento della Luftwaffe e da un attacco in forze dei carri armati Tigre.

L'intento di von Senger è ormai quello di assicurarsi il controllo della città e del suo porto per portare in salvo le sue truppe e i suoi carri verso Livorno (da dove dovrebbero andare ad opporsi allo sbarco di Salerno). Mentre Bastia viene tenuta sotto pressione dai Bersaglieri e dall'artiglieria italiana, violenti scontri hanno luogo in tutta l'isola.

Il 17 settembre sbarcano ad Ajaccio nuove truppe coloniali francesi agli ordini del generale Henry Martin, e il 19 successivo la Luftwaffe bombarda il comando di Magli a Corte. Il 21 settembre il generale Giraud raggiunge il comandante italiano. Le forze francesi sull'isola salgono a circa 6.000 uomini. Durante gli scontri i tedeschi minano e fanno saltare numerosi ponti, distruggendo, tra gli altri, il Ponte Novu che era stato teatro dei più accaniti scontri nell'omonima battaglia del 1769 che segnò la fine della Corsica indipendente di Pasquale Paoli.

Dal 29 settembre scatta l'offensiva generale italo-francese. Le posizioni tedesche a Bastia vengono bombardate dalle artiglierie italiane (i francesi quasi non ne dispongono). Il 3 ottobre i Bersaglieri prendono Bastia, ma si ritirano immediatamente, in base agli accordi, per lasciare ai francesi l'onore di sfilare in città come liberatori il giorno seguente. Bastia frattanto subisce per errore un pesante bombardamento alleato, che provoca notevoli danni e numerosi morti tra la popolazione civile.

Il 5 ottobre 1943 si spengono le ultime sacche di resistenza tedesca sull'isola, che diviene così il primo Dipartimento francese liberato e l'unica regione nella quale gli Italiani abbiano combattuto vittoriosamente i tedeschi all'indomani dell'8 settembre.

A testimonianza del decisivo contributo dato dalle truppe di Magli nel liberare la Corsica dalle truppe tedesche è il numero dei caduti italiani nei combattimenti, circa 700, quasi tre volte superiore a quello della somma dei caduti della Resistenza e delle truppe agli ordini dei generali francesi (poco più di 240 morti).

Tra l'8 e il 10 ottobre 1943, la Corsica liberata viene visitata da Charles de Gaulle, che presto destituirà Giraud giudicato colpevole, tra l'altro, di aver lasciato troppo spazio alla parte comunista della Resistenza. L'isola diviene un'importante base di partenza per gli attacchi alleati contro le forze tedesche in Italia e in Germania, oltre che un elemento chiave per lo sbarco in Provenza, nel 1944.

La guerra e l'occupazione italiana hanno decisivamente contribuito, malgrado il riscatto italiano dopo l'8 settembre 1943 (che verrà accuratamente oscurato da grandissima parte della storiografia francese e singolarmente quasi ignorato da quella italiana), ad allontanare la Corsica dall'Italia.

Ancora una volta si è ripetuto lo schema dell'isola occupata che si affida ad un liberatore ed ad un capo, impersonato per di più, in questo caso, da un personaggio dotato del carisma di de Gaulle. La sconfitta del fascismo segna la fine ad ogni aspirazione - comunque sempre minoritaria - di irredentismo, trascinando con sé anche la rottura dei rapporti culturali con la Penisola e ogni prospettiva di un recupero di cittadinanza sull'isola per la lingua italiana.

La Francia crederà per questo di aver definitivamente fatto sua la Corsica anche nell'anima, e d'altronde farà di tutto per vietare di fatto qualsiasi espressione pubblica in italiano o in còrso, subito tacciate di fascismo irredentista, premura particolarmente necessaria dopo che i còrsi sotto occupazione hanno potuto constatare la pressoché totale intercomprensione tra lingue còrsa e italiana. Ma da questo momento in poi la Corsica, anche per i crediti acquisiti grazie alla sua qualità di unico Dipartimento liberato senza l'aiuto Alleato, e fatta madrina della Resistenza nazionale, è di nuovo e più di prima libera di tornare a concentrarsi sui propri valori più originali ed autentici, senza dover temere l'accusa di italianismo e senza subire la soffocante tutela e la deleteria fascinazione dell'Italia fascista.

[modifica] Dal dopoguerra alla nascita del FLNC

Dopo la sua prima visita nel 1943, de Gaulle svilupperà un rapporto particolare con la Corsica e vi compirà altri cinque viaggi, l'ultimo nel 1961.

Forse solo i particolari meccanismi, per lo più inconsci, che hanno sempre conferito successo a chi è sbarcato in Corsica da liberatore, spiegano ciò che sembrerebbe contraddittorio e inspiegabile: un'isola costituzionalmente lontana dall'aderire al centralismo francese e gelosa della propria diversità, tributa tuttavia una ripetuta e calorosa accoglienza all'uomo che, più di ogni altro, ha perseguito la Grandeur e il centralismo statale più spinto nella storia francese del XX secolo.

L'autorità e l'influenza di de Gaulle in Corsica, sono confermati dalla facilità con la quale, il 24 maggio 1958, un pugno di paracadutisti guidati dal deputato còrso Pascal Arrighi ed altri politici gollisti prendono possesso della Prefettura di Ajaccio e, disarmata la Gendarmerie, istituiscono dei Comitati di Salute Pubblica nella capitale dell'isola e a Bastia. Si tratta di un vero e proprio mini-golpe nel più ampio quadro delle agitazioni che condurranno alla nascita della V Repubblica e al mandato presidenziale per il generale il 21 dicembre 1958.

Sgonfiato sin dall'immediato dopoguerra il fenomeno che aveva visto il Partito Comunista francese ottenere - grazie soprattutto all'impegno nella Resistenza - un notevole successo alle elezioni del 1945, verso la fine del mandato presidenziale di De Gaulle la Corsica della rappresentanza politica nazionale torna a replicare in pieno schemi già noti, e i clan dei Giacobbi e dei Rocca Serra si spartiscono il potere nell'isola.

Tale spartizione finisce per contribuire alle prime riforme amministrative cui viene sottoposta la Corsica tra il 1973 (riduzione dei Cantoni a 55) e il 1975 (divisione in due Dipartimenti).

Sul piano economico si ripete in Corsica qualcosa di già visto: lo Stato interviene in modo quasi sempre episodico, quando sollecitato dalle rivendicazioni isolane o da circostanze esterne, ma senza concepire un'azione di risanamento organica in grado di far davvero risorgere una terra dissanguata dall'emigrazione e gravemente impoverita sia sul piano culturale che su quello prettamente economico. Nel 1949 si assiste ad una sterile riedizione del Plan Terrier di quasi 200 anni prima, e che non va oltre la compilazione di un elenco delle risorse dell'isola.

Nel 1957 vede la luce un progetto che individua nel turismo e nell'agricoltura le risorse da sviluppare per il futuro della Corsica. Per il turismo si ipotizza soprattutto un miglioramento delle vie di comunicazione interne (avviato in ritardo: a tutt'oggi sono ancora piuttosto carenti) e un rilancio dei collegamenti con la Francia. Anche in questo caso, si dovrà attendere la metà degli anni settanta perché venga istituita la continuità territoriale (le tariffe agevolate di trasporto da e per la Francia, come avviene ad esempio anche tra Italia e Sardegna). Per l'agricoltura si prospetta ancora una volta il recupero soprattutto delle pianure costiere orientali e la loro coltivazione ad agrumi e ad ortaggi, senza prendere misure particolari nel campo vinicolo.

Per l'avvio del progetto si istituirono due società a capitale misto statale e privato, la SOMIVAC (Société pour la Mise en valeur Agricole de la Corse) e la SETCO (Société pour l'Equipement Touristique de la Corse). La SETCO finì per realizzare ben poco, sia per la mancanza di mezzi finanziari, sia per la fortissima opposizione incontrata nell'isola contro i suoi piani di cementificazione delle coste per la realizzazione di migliaia e migliaia di posti letto. D'altra parte, come altrove, gli investimenti più redditizi nel campo turistico sono stati effettuati da società che tipicamente non reimpiegano nell'economia locale i proventi realizzati.

Nel campo d'azione della SOMIVAC, invece, si assiste a più importanti realizzazioni, accompagnate però da conseguenze forse impreviste, ma non per questo meno negative per l'isola. L'indipendenza dell'Algeria nel 1962 ebbe tra le sue conseguenze il trasferimento in Corsica, proprio sui terreni soggetti a sviluppo, di decine di migliaia di rimpatriati francesi (Pied-noirs), cui furono assegnati il 90% (sic!) dei terreni SOMIVAC originariamente destinati agli agricoltori còrsi. Non essendo state ancora realizzate le opere d'irrigazione necessarie all'orticoltura, si passò così rapidamente ad una massiccia espansione della viticoltura soprattutto nelle terre occupate dai Pied-noires, che per di più godettero di finanziamenti statali aggiuntivi, negati invece agli agricoltori còrsi, che dovettero profondere un impegno enorme per mettere a frutto le coltivazioni di agrumi, dalla quale comunque ottennero buoni risultati, soprattutto nella produzione di clementini.

Nel complesso però, furono i rimpatriati a godere - di gran lunga - dei maggiori vantaggi, avviando una produzione di massa ed essenzialmente speculativa di vini di qualità medio-bassa e realizzando grandi profitti, subito capitalizzati. Questi sviluppi, affiancati dalla sostanziale mancanza di misure e di investimenti atti ad interessare significativamente la rinascita agricola sulla gran parte del territorio non pianeggiante dell'isola (che ricevette sino agli anni settanta solo il 7% degli investimenti), condussero al montare di un senso di frustrazione e di rabbia nella popolazione che si sentì espropriata e sfruttata vedendo le terre più fertili e redditizie (nonché gli investimenti maggiori) andare a favore dei Pied-noirs, che anche in Francia continentale (e non solo in Corsica) venivano sovente considerati come stranieri.

La sfiducia, la crisi e il malcontento iniziarono così a montare nuovamente in modo significativo già nella prima metà degli anni sessanta e ripartì l'emigrazione: l'andamento demografico segna 175.000 abitanti nel 1962 e solo 190.000 nel 1968, ma l'incremento è tutto da ascrivere all'immigrazione (essenzialmente dei Pied-noirs che, per altro, avevano spesso portato con sé lavoratori d'origine nordafricana) e non riesce a coprire il saldo negativo dovuto all'emigrazione dei còrsi.

L'afflusso migratorio dalle ex-colonie prosegue negli anni successivi (e non si è più arrestato) modificando significativamente l'equilibrio demografico e, per conseguenza, il profilo culturale dell'isola, sempre più discaratterizzata. Nel 1975 la popolazione - grazie soprattutto all'immigrazione - giunge a 210.000 abitanti, ma l'anno successivo si registrano più morti che nati e il numero di cittadini nati in Corsica, ma residenti in Francia continentale, supera i 100.000. Tale fenomeno è peraltro ancora in atto in modo massiccio e ha portato l'isola ad occupare stabilmente il primo posto tra le regioni di Francia per popolazione più anziana.

Questi eventi, sommati ad una serie di scandali politici e finanziari, condussero negli anni sessanta alla rinascita di movimenti regionalisti che presto si trasformarono in autonomisti, già che la connotazione irredentista assunta nel passato da tali iniziative - e che aveva costituito sino ad allora un potente freno alla loro rinascita - non riguardava più le nuove generazioni, ormai libere di esprimere senza remore un attaccamento autentico ed originale alla propria terra ed alla propria cultura.

Già nel 1960 la protesta esplode attorno al progetto, ritirato a furor di popolo, di chiudere le linee ferroviarie insulari, dopo che già era rimasta disattivata (e mai sarà riaperta, malgrado lo sviluppo agricolo) la linea che, lungo la piana orientale, collegava Bastia a Porto Vecchio, danneggiata durante la guerra. La chiusura dell'intera rete ferroviaria sarà poi tentata nuovamente in seguito, sino all'esplodere di un'analoga crisi nel 1983, che condusse al risanamento delle linee superstiti.

Nel 1961, mentre si moltiplicano gli scioperi, si tiene a Corte un'assemblea dei còrsi della diaspora, e si registrano i primissimi attentati dinamitardi rivendicativi. Nel 1963 esplode la questione fiscale, mentre monta il dibattito ed il malcontento innescato anche dall'affare dei Pied-noirs.

Nel 1968 nel contesto della protesta mondiale, viene fondato il primo movimento regionalista organizzato del dopoguerra, il FRC, Fronte Regionalista Còrso, che coinvolge molti studenti. Accanto a questo si sviluppa l'ARC, Azione Regionalista Corsa, che mobilita un po' tutti gli strati della società insulare e coagula il maggiore attivismo rivendicativo soprattutto attorno alla questione agraria (da sempre un problema fondamentale nell'isola), aggravata dal fenomeno dell'immigrazione dei Pied-noirs.

In questo quadro l'ARC si radica nella Piana costiera attorno ad Aleria, tenendo in zona i propri congressi (poi spostati a Corte, antica capitale dell'indipendenza còrsa) e denunciando la spogliazione del patrimonio insulare ed il perdurare di condizioni che potrebbero condurre alla morte dello stesso popolo còrso e di ogni suo tratto culturale originale.

Nel 1972 è l'italiana Montedison a sollecitare la risposta violenta dei còrsi: tra il 1972 e il 1973 due navi della società scaricano fanghi rossi altamente tossici nel mare a 35 km a Nord del Capo còrso, senza che vi sia immediata reazione - malgrado le denunce dei pescatori, sia italiani che còrsi - da parte degli Stati. Questa interviene dopo che gruppi clandestini còrsi prendono prima a fucilate e poi minano le navi dei veleni, la "Scarlino I" e la "Scarlino II". I casi giudiziari seguenti, conclusi negli anni ottanta, condurranno all'assoluzione della Montedison in Italia e alla sua condanna in Francia, dando altresì origine al Protocollo di Barcellona sulla protezione del Mediterraneo del 16 febbraio 1976 (Protocol for the Prevention of Pollution of the Mediterranean Sea by Dumping from Ships and Aircraft).

Nel 1975, mentre gli attentati dinamitardi (che saranno sempre eseguiti con una particolare attenzione volta ad evitare vittime umane) risorge imponente, accanto all'esigenza di riacquisire la lingua còrsa, la richiesta della riapertura dell'Università fondata a Corte da Pasquale Paoli e immediatamente chiusa e mai riaperta dagli invasori francesi, mentre il governo di Parigi predispone, sin dal 1974, una commissione interministeriale incaricata di tentare di riequilibrare, senza troppo successo, l'intervento dello Stato centrale in Corsica.

Nello stesso anno, a luglio, l'ARC, trasformatasi nel frattempo in Azzione per a Rinascita Corsa (Azione per la Rinascita della Corsica), tiene un congresso a Corte, denunciando con forza l'azione del governo. La situazione va precipitando e nell'agosto 1975 si giunge all'azione che resterà famosa come i "Fatti di Aleria".

Il 18 agosto 1975 un piccolo gruppo di autonomisti còrsi, guidati da Edmondu Simeoni, medico di Bastia, occupa un'azienda agricola (la Cave Depeille, oggi in rovina) tenuta da una famiglia di Pied-noirs coinvolta negli scandali fiscali e finanziari che caratterizzano lo sviluppo agricolo nella zona, giudicato parassitario e colonialista in natura dai còrsi.

La sera prima Simeoni, portavoce dell'ARC, aveva tenuto un acceso e affollatissimo comizio a Corte (chiusosi al canto dell'inno còrso, il "Dio vi Salvi, Regina"), snocciolando come in un cahier de doléances le rivendicazioni nazionaliste, dal bilinguismo còrso-francese (ancora mai concesso dopo 31 anni) alla corsizzazione degli impieghi e denunciando al contempo la chiusura di fatto della via democratica alle riforme come conseguenza dell'esplodere delle frodi elettorali favorite dall'istituzione, anni prima, del voto per corrispondenza.

L'occupazione della Cave Depeille è eseguita al mattino senza alcuno spargimento di sangue da sette còrsi armati di fucili da caccia, che allontanano i proprietari ed i loro impiegati, e issano la bandiera Testa Mora. La reazione dello Stato è spropositata e furibonda. Il Ministero degli Interni fa circondare l'azienda occupata da 1.200 uomini armati fino ai denti ed appoggiati da elicotteri e carri armati.

Nell'assalto lanciato il 22 agosto, due gendarmi restano uccisi (sembra dal fuoco amico), e due occupanti feriti. I responsabili dell'occupazione sono incarcerati a Parigi, mentre la notte qualcuno incendia la Cave (cantina) Depeille. Il 27 agosto l'ARC viene sciolta. Nella notte tra il 27 e il 28 scoppiano incidenti gravissimi a Bastia (carri armati per le strade e un gendarme ucciso) e il prefetto regionale e il vice-prefetto di Bastia sono rimossi. Lo scioglimento dell'ARC radicalizza verso l'indipendentismo e spinge nella clandestinità il movimento.

A marcare la disparità di trattamento subita dai còrsi, vi è il fatto che, nello stesso periodo, un'analoga azione di protesta nell'area di Parigi - con il sequestro temporaneo di un dirigente industriale da parte di sindacalisti - s'era risolto pacificamente per via di trattative. Nel caso di Aleria la magistratura non apre neanche indagini nei confronti dei gendarmi che hanno sparato (e probabilmente ucciso) senza provocazione.

Nasce così il FLNC, Fronte di Liberazione Naziunale Corsu, nel quale confluiscono il FPCL Fronte Paesanu Corsu di Liberazione, sorto nel Sud dell'isola nel 1973 e Ghjustizia Paolina, fondata nel marzo 1974, che già avevano firmato numerosi attentati sia in Corsica, sia in Francia continentale.

Nella notte tra il 4 e il 5 maggio 1976 ben 22 attentati dinamitardi scuotono la Corsica e arrivano a colpire il Palazzo di Giustizia a Marsiglia, segnando l'avvio di una lunghissima serie di attacchi, tuttora non esaurita. Ancora il 5 maggio i rappresentanti del FLNC tengono una conferenza stampa clandestina presso le rovine del Convento francescano di S'Antonio di Casabianca, luogo carico di significato simbolico in quanto vi era stato proclamato "Generale" della nazione còrsa Pasquale Paoli, il 14 luglio 1755.

[modifica] Dagli anni ottanta ai giorni nostri

Mentre il FLNC (dal 1983 del tutto fuorilegge e poi divisosi) porta avanti la sua campagna clandestina, sorgono diverse formazioni politiche autonomiste ed indipendentiste che partecipano al processo democratico e portano avanti pacificamente le proprie rivendicazioni.

Le campagne dinamitarde non mai hanno fatto vittime (salvo il caso recentissimo del gennaio 2006, quando un giovane attentatore è morto dilaniato dalla bomba che si apprestava a piazzare ad Aix-en-Provence) ed hanno avuto un ruolo importante (a prescindere dalla condanna della violenza) nel preservare il litorale còrso dalla cementificazione, avendo spesso come obiettivo iniziative speculative turistiche, spesso a capitale francese e italiano.

Già negli anni ottanta, tuttavia, una parte degli attentati finisce per essere funzionale a regolamenti di conti privati ed alla riscossione di una tassa rivoluzionaria, di fatto difficilmente distinguibile dal pizzo, a segnalare la deriva mafiosa e le infiltrazioni di cui spesso sono preda i movimenti di liberazione in generale.

Una prova particolarmente imbarazzante del gioco delle parti che si nasconde dietro certe violenze si avrà nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1999 quando un attentato - che si scoprirà ordinato direttamente dal Prefetto dell'isola, Bernard Bonnet - distrugge un ristorante a Coti Chiavari. Bonnet, scoperto, sarà destituito ed arrestato.

Già sul finire degli anni settanta nascono i primi partiti autonomisti e nazionalisti, mentre la politica è occupata da quelli che gli attivisti locali definiscono eredi dei clanisti, ossia i maggiorenti isolani che rappresentano i partiti nazionali francesi.

Nel 1977 nasce l'UPC Unione di u Populu Corsu, partito guidato da Edmond Simeoni, tuttora presente sulla scena politica e di orientamento autonomista. Sul finire degli anni ottanta il FLNC crea un proprio braccio politico, che subisce varie scissioni e che dà vita infine ad alcuni partiti politici indipendentisti. Anche il braccio armato si dividerà in più pezzi, dando luogo ad una certa diminuzione nel numero degli attentati, che sino alla fine degli anni novanta si contano nell'ordine di almeno mezzo migliaio l'anno.

I partiti politici indipendentisti sorti dalle scissioni si riunificano nel 1992, dando vita a Corsica Nazione, oggi una delle forze politiche più importanti dell'isola. In generale - e semplificando oltremodo - si può dire che i partiti autonomisti siano spesso afferenti all'area politica della sinistra, mentre quelli indipendentisti sono piuttosto tendenti a destra; tuttavia vi sono anche partiti indipendentisti d'ispirazione socialista. Quel che è certo è che, a tutt'oggi, la galassia dei partiti e dei movimenti autonomisti ed indipendentisti isolani sconta la sua perenne frammentazione e le sue rivalità e divisioni, non riuscendo mai a conquistare la maggioranza dei voti sull'isola.

La rocca di Corte, antica capitale della Repubblica Paolina, oggi sede dell'Università di Corsica.
La rocca di Corte, antica capitale della Repubblica Paolina, oggi sede dell'Università di Corsica.

Lo sforzo politico ha tuttavia dato alcuni frutti, come la riapertura (1981) a Corte dell'università di Corsica fondata da Pasquale Paoli (chiusa dai francesi nel 1769, non appena ebbero il controllo pieno dell'isola e mai più riaperta) e, un anno dopo (1982) la concessione sotto François Mitterrand, dello Statuto Particolare.

La riforma sarà osteggiata e svuotata in tutti i modi dai conservatori e dai nazionalisti francesi. Si giunge così al 1991, con la nascita della Collettività territoriale di Corsica dotata di un nuovo statuto particolare che trasferisce all'Assemblea di Corsica (eletta a suffragio universale) già creata nel 1982 numerose competenze in materia culturale, economica e sociale.

Durante tutti gli anni ottanta e novanta si susseguono assassinii mirati degni della più antica tradizione della vendetta isolana, vittime sia avversari politici, sia gendarmi, sia poliziotti. Il più grave di questi delitti è certamente l'omicidio del Prefetto di Corsica Claude Erignac, freddato il 6 febbraio 1998 ad Ajaccio. Le responsabilità relative a quest'uccisione non sono state ancora chiarite. Le indagini condotte dalla polizia e dal DNAT (Dipartimento antiterrorismo francese) sono sembrate in varie fasi più politicamente motivate (diversi attivisti sono stati lungamente detenuti sulla base di debolissimi indizi e poi del tutto scagionati) che dirette davvero ad assicurare alla giustizia i veri responsabili del crimine.

Fortunatamente né il delitto Erignac, né lo scandalo sollevato dalle attività terroristiche promosse dal suo successore Bonnet, hanno fermato il pur difficile cammino delle riforme. Per iniziativa del governo di Lionel Jospin già nel 1999 vengono avviate nuove trattative che condurranno, nel 2002 al varo di una nuova Loi sur la Corse (Legge sulla Corsica) che oltre ad estendere i poteri dell'Assemblea di Corsica, prevede un'estensione - sebbene ancora insufficiente - dell'insegnamento della lingua còrsa sia nelle scuole materne che in quelle elementari.

[modifica] I mali della Corsica visti da un politico francese

Il 31 agosto 2000, nell'ambito delle trattative che condussero al varo della Legge sulla Corsica, Michel Rocard, ex primo ministro francese e deputato europeo, è autore, sul giornale "Le Monde", di un memorabile e coraggioso intervento (Corse : Jacobins, ne tuez pas la paix!) a sostegno delle riforme. Riconoscendo con notevole onestà e puntualità il peso delle sofferenze inflitte alla Corsica, nel suo intervento Rocard sostiene, tra l'altro:

«Il ne faut plus que les adolescents et les jeunes adultes corses, dans leur recherche de dignité, découvrent l'histoire de leur région comme celle d'une oppression. (...)

Le droit à la résistance à l'oppression est même un des droits fondamentaux de l'homme et du citoyen. Car il y a eu oppression, et il en reste de fortes traces. (...) Il y a une révolte corse. On ne peut espérer la traiter sans la comprendre. Il faudrait tout de même se rappeler:

  • que lorsque Louis XV acheta les droits de suzeraineté sur la Corse à la République de Gênes, il fallut une guerre pour prendre possession de notre nouveau domaine. La France y perdit plus d'hommes que pendant la guerre d'Algérie.
  • que la Corse est restée " gouvernement militaire " jusque tard dans le XIXe siècle, avec tout ce que cela implique en termes de légalité républicaine.
  • que, pendant la guerre de 1914-1918, on a mobilisé en Corse, ce qu'on n'a jamais osé faire sur le continent, jusqu'aux pères de six enfants. (...)
  • que la tuerie d'Aléria, les 21 et 22 août 1975, a èté ressentie comme la fin de tout espoir d'une amélioration consécutive à des discussions avec le gouvernement de la République et a donné le signal du recours à la violence, parce que tous les Corses (...) ont très bien compris que jamais une riposte pareille à une occupation de ferme n'aurait pu avoir lieu dans l'Hexagone. (...)
  • que (...) à la fin des années 50, le gouvernement créa la (...) Somivac. Elle avait charge de racheter des terres disponibles, (...) d'y tracer voies et chemins, d'y amener l'irrigation (...) puis de les revendre à des paysans corses. Les quatre cents premiers lots furent prêts à la vente au tout début 1962. De Paris vint l'ordre d'en réserver 90% pour les pieds-noirs rentrant d'Algérie. 90%, pas 15% ou même 50%! Ce pourcentage est une incitation à la guerre civile.
  • que l'on fit, en 1984, une découverte ètrange. Le président Giscard d'Estaing, vers 1976 ou 1977, avait pris la sage décision d'assurer à la Corse la " continuité territoriale ", (...) Sept ou huit ans après (...), l'administration avait assuré la continuité territoriale pour les transports de personnes et pour les transports de marchandises de l'Hexagone vers la Corse, mais pas dans le sens inverse! Les oranges corses continuaient d'arriver à Marseille avec des frais de transport plus èlevés que celles qui venaient d'Israël. Pour les vins et la charcuterie, ce fut la mort èconomique.
  • et qu'enfin la Corse, comme la Martinique et la Guadeloupe, a subi pendant bien des décennies un monopole de pavillon maritime imposé par l'Etat, avec les conséquences asphyxiantes que l'on devine. (...)»
    - Michel Rocard, Corse : Jacobins, ne tuez pas la paix!, Le Monde, Paris, 31/08/2000.
«Bisogna che gli adolescenti ed i giovani còrsi, nella loro ricerca della dignità, non scoprano più la storia della loro regione come quella di un'oppressione(...)

Il diritto di resistenza all'oppressione è proprio uno dei diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino. Il fatto è che c'è stata oppressione, e ne restano forti tracce. (...) C'è una rivolta còrsa. Non si può sperare di affrontarla senza comprenderla. Bisognerebbe prima di tutto ricordarsi:

  • Che quando Luigi XV acquistò i diritti di sovranità sulla Corsica dalla Repubblica di Genova, occorse una guerra per prender possesso del nostro nuovo dominio. La Francia vi perse più uomini che durante la guerra d'Algeria.
  • Che la Corsica è rimasta (sotto) governo militare sino al XIX secolo inoltrato, con tutto quel che ciò implica in termini di legalità repubblicana.
  • Che, durante la guerra 1914-1918, sono stati mobilitati in Corsica i padri di sino a sei figli, ciò che non si è mai osato fare sul continente. (...)
  • Che il massacro di Aleria, il 21 e 22 agosto del 1975, è stato sentito come la fine di ogni speranza di miglioramenti prodotti da trattative con il governo della Repubblica, e si è dato il segnale del ricorso alla violenza, poiché tutti i còrsi (...) hanno capito benissimo che giammai una risposta simile a quella di un'occupazione avrebbe potuto aver luogo nell'Esagono. (...)
  • Che alla fine degli anni cinquanta, il governo creò la (...)Somivac. Essa aveva l'incarico di riacquistare le terre disponibili (...) di tracciarvi strade e sentieri, di portarvi l'irrigazione (...) e quindi di rivenderle a contadini còrsi. I primi quattrocento lotti erano pronti alla vendita all'inizio del 1962. Da Parigi venne l'ordine di riservarne il 90% per i pieds-noirs reduci dall'Algeria. 90%, non il 15% o anche il 50%! Questa percentuale è un incitamento alla guerra civile.
  • Che si fece, nel 1984, una strana scoperta. Il presidente Giscard d'Estaing, verso il 1976 o 1977, aveva preso la saggia decisione d'assicurare alla Corsica la "continuità territoriale", (...) Sette o otto anni dopo (...), l'amministrazione aveva assicurato la continuità per il trasporto di persone e di merci dall'Esagono verso la Corsica, ma non nel senso inverso! Le arance corse continuavano ad arrivare a Marsiglia con spese di trasporto più elevate di quelle che venivano da Israele. Per i vini e per la salumeria fu la morte economica.
  • E che infine la Corsica, come la Martinica e Guadalupe, ha subito per molti decenni un monopolio di bandiera marittimo imposto dallo Stato, con le conseguenze asfissianti che si possono indovinare. (...)»
    - Michel Rocard, Corsica: Giacobini, non uccidete la pace!, Le Monde, Parigi, 31/08/2000.

[modifica] Bibliografia

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  • Michel Rocard, Corse : Jacobins, ne tuez pas la paix!, Le Monde, Paris, 2000;

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