Kahina
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Kāhina (epiteto che in arabo significa "maga, indovina"), è il nome con cui è generalmente conosciuta Dihya[1], figlia di Tatīt, o Mātiya (Matteo), figlio di Tifān (Theophanus). Regina della tribù berbera nomade dei Ğerawa, la principale figura della resistenza all'invasione araba del Nordafrica tra il 695 e il 705. Partendo dai monti dell'Aurès (nord-est dell'Algeria), sede della sua tribù (sembra, di religione ebraica), riuscì a porsi a capo di un'alleanza di tribù indigene di religione sia ebraica che cristiana, che contrastò efficacemente per oltre un decennio l'espansione musulmana.
Indice |
[modifica] Le vicende
Quando la Kāhina avvia la sua esperienza politica era già vedova, e senza dubbio abbastanza anziana. Dopo avere già partecipato al combattimento contro le truppe del Califfo a Tehuda (683), nel corso del quale trovò la morte ‘Uqba b. Nāfi‘, la Kāhina affrontò, alla testa delle sue truppe, i rinforzi arabi inviati da oriente nel 688, sotto il comando del governatore dell'Egitto, Hasan b. al-Nu‘mān, contro i Berberi e i Bizantini. Il combattimento ebbe luogo nel 689 presso il wādī Nini (vicino a Khenchela), gli Arabi vennero sconfitti dalla Kāhina e successivamente inseguiti fino in Tripolitania (l'attuale Libia). La Kāhina fece allora ritorno nell'Aurès, dove adottò uno dei suoi prigionieri arabi, Khālid ibn Yazīd. Le truppe del Califfo si riportarono in una posizione molto più vantaggiosa a partire dal 698 con la presa di Cartagine e la sconfitta dei Bizantini in Nordafrica.
Gli uomini della Kāhina, convinti che gli Arabi fossero attirati nel paese dalle sue ricchezze agricole, si misero allora - secondo il resoconto del Bayān - a fare terra bruciata. I coltivatori della costa, ostili a questa politica, come ricordano Ibn Khaldūn ed il Bayān, abbandonarono la Kāhina e inviarono addirittura, secondo lo storico Ibn al-Athīr, degli emissari all'emiro Hasan b. al-Nu‘mān per chiedergli di intervenire. D'altra parte, il suo figlio adottivo Khālid, che conservava rapporti con il campo avversario, tenne informati gli Arabi degli spostamenti dei Berberi.
Di questo passo, indebolita da queste defezioni, la Kāhina subì un rovescio e cercò rifugio in una cittadella bizantina nei pressi di Biskra. Venne però costretta a proseguire ulteriormente la ritirata, e affrontò l'ultima battaglia a Tarfa. Qui la Kāhina trovò la morte in una località che conserva tuttora il suo nome (Bi'r al-Kāhina, "il pozzo della Kahina").
Alla vigilia del combattimento, la Kāhina avrebbe domandato ai suoi due figli, secondo Ibn Khaldūn, di allearsi al futuro vincitore. Di conseguenza l'emiro Hasan nominò, dopo la loro conversione all'Islam, il figlio maggiore governatore dell'Aurès, e l'altro figlio capo delle milizie Ğerawa. Questa alleanza portò con sé quella di numerosi Berberi cristiani ed ebrei, che si convertirono in massa all'Islam.
[modifica] Le divergenze storiche
Il ruolo svolto dalla Kāhina ha costituito un punto cruciale importante per i suoi commentatori. Le asserzioni di molti di essi sono basate su preconcetti politici che sono tanto più difficili da verificare in quanto le fonti sono poche e questa regina guerriera è una figura in gran parte leggendaria.
[modifica] Gli Ebrei in Nordafrica
Comunque sia, Ibn Khaldūn, considerato il più autorevole non solo tra gli storici del Medioevo (non solo musulmani ma anche cristiani), riferisce: «Tra i Berberi ebrei, si distinguevano i Ğerawa, tribù che abita l'Aurès, e alla quale appartiene la Kāhina» (Histoire des Berbères, tradotta [in francese] dal barone de Slane, t. 1, p. 208, Algeri, 1852-56).
Il più grande storico francese del Maghreb, Émile Félix Gauthier, dopo aver metodicamente sottoposto ad un'analisi critica tutte le fonti, giunge alla stessa constatazione: «I Ğerawa non sono più dei cristiani, come gli Awreba, ma sono proprio ebrei». (E.F. Gauthier, Les siècles obscurs du Maghreb, Payot, 1927, p. 245)
Ciò non ha impedito il sorgere, ai nostri giorni, di una corrente che nega l'appartenenza all'ebraismo di questa eroina, per un'evidente difficoltà che provano molti musulmani al giorno d'oggi di ammettere che prima dell'Islam i loro antenati fossero in maggioranza ebrei o cristiani.
Eppure gli Ebrei erano particolarmente numerosi in Nordafrica, in epoca romana, secondo la testimonianza di Strabone. Alcuni vi erano venuti liberamente, nel corso dei secoli, fin da epoca cartaginese, mentre altri vi erano stati deportati in massa ad opera di Traiano, dopo aver tenuto testa a lungo alle legioni romane in Cirenaica. Nessun significato ha invece il fatto che il nome stesso "Kāhina" sia paragonabile al femminile di Cohen "sacerdote" in ebraico. I termini infatti hanno la medesima radice triconsonantica (tipica delle lingue semitiche) <k-h-n> che in tutte le culture semitiche ha il significato di "vaticinatore" e, di conseguenza (per l'oracolarità di molte divinità proto-semitiche, "officiatore di riti religiosi"[2]. L'epiteto di Kāhina quindi non riporta necessariamente a un'origine ebraica, benché questo resti comunque possibile e, nel Maghreb precedente alla conquista islamica, ciò fosse abbastanza normale. Quanto all'ipotesi, avanzata da alcuni autori, che la Kāhina fosse cristiana, perché tra i suoi antenati figuravano i nomi di Matya e Tifan, che sarebbero la deformazione di Mattia e Teofane, anche questi sembrano indizi tutto sommato deboli, poiché entrambi i nomi, Mattia (di origine ebraica) e Teofane (di origine greca), potevano essere portati tanto da ebrei quanto da cristiani, in un'epoca in cui il Nordafrica era soggetto all'impero bizantino.
[modifica] Nomadi e sedentari
La storiografia ha anche posto l'accento sulla politica di terra bruciata che sarebbe stata praticata sotto la Kāhina (secondo Ibn Khaldūn ed il Bayān). Il Nordafrica era in effetti divenuto, dopo la caduta dell'Impero romano d'occidente, teatro di scontri tra Bizantini e autoctoni, come pure tra Berberi nomadi e sedentari.
Negli ultimi tempi è venuto di moda dare il nome Kāhina alle bambine sia tra i Berberi dell'Algeria o del Marocco, sia tra quelli nei paesi di emigrazione.
[modifica] Note
- ^ Di cui Dahyā, Dāhiya, Damya, Dāmiya o Dahya potrebbero essere semplicemente varianti ortografiche.
- ^ Cfr. T. Fahd, La divination arabe, Leyden, E.J. Brill, 1966 (rist. Parigi, Sindbad, 1987); A. Jamme, "La religion sud-arabe préislamique", in Histoire des Religions, IV (1947), pp. 239-307; E. Doutté, Magie et religion dans l'Afrique du nord, Algeri, Typ. Adolphe Jourdan, 1909 (rist. Parigi, J. Maisonneuve-Paul Geuthner, 1984).
[modifica] Fonti e Bibliografia
- Émile Félix Gauthier, Les siècles obscurs du Maghreb, Payot, Paris, 1927.
- Ibn Khaldoun, Histoire des Berbères (traduit de l'arabe, par le Baron de Slane), Tome I, Alger, 1852-1856.
- Le Bayan, Histoire de l'Afrique et de l'Espagne (traduit de l'arabe, par E. Fagnan), Alger, 1901.
- Abdallah Laroui, The History of the Maghrib, An Interpretative Essay, Princetown University Press.