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Gloria in excelsis Deo - Wikipedia

Gloria in excelsis Deo

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Gloria in excelsis Deo (informazioni)

"Gloria di Lourdes" (J.-P. Lécot) (660 KB)
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Il Gloria in excelsis Deo, detto anche inno angelico o dossologia maggiore (ascolta [?]), è una preghiera della liturgia cattolica. La locuzione latina significa gloria a Dio nel più alto dei cieli.

Indice

[modifica] La frase del Vangelo

La frase è l'acclamazione degli angeli festanti, per annunziare ai pastori la nascita di Gesù (Lc 2,14).

[modifica] L'inno liturgico

L'espressione Gloria in excelsis Deo indica anche l'inno usato nel rito latino dell'Eucaristia tra l'Atto penitenziale e l'orazione colletta. Come è comune nella Chiesa cattolica l'incipit dà il nome alla composizione.

È un testo che, contrariamente a quanto può far pensare il carattere natalizio delle prime parole, è di carattere pasquale. È una lode a Cristo, acclamato come Signore, Agnello di Dio, Figlio del Padre, Santo. Cristo è invocato perché abbia misericordia del suo popolo.

[modifica] Uso

Nel rito romano e nel rito ambrosiano viene recitato o cantato nelle domeniche, nelle feste e nelle solennità. Viene però omesso nei tempi penitenziali dell'anno liturgico:

Viene omesso inoltre nelle Esequie e nel giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti


[modifica] Il testo completo

[modifica] Italiano

Gloria a Dio, nell'alto dei cieli,
e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa.
Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente, Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo,
Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre:
tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi;
tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica;
tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi.
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l'Altissimo: Gesù Cristo
con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

[modifica] Latino

Gloria in excelsis Deo
Et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
Laudamus Te, benedicimus Te, adoramus Te, glorificamus Te,
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam,
Domine Deus, Rex coelestis, Deus Pater omnipotens.
Domine Fili Unigenite, Jesu Christe,
Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris:
Qui tollis peccata mundi miserere nobis;
Qui tollis peccata mundi suscipe deprecationem nostram,
Qui sedes ad dexteram Patris miserere nobis.
Quoniam Tu solus Sanctus, Tu solus Dominus, Tu solus Altissimus, Jesu Christe,
Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.

[modifica] Storia

Risale per lo meno al III secolo, ma secondo qualcuno al I.

Conosciamo il testo latino antico, ma esisteva precedentemente in greco.

Appare in una forma leggermente diversa nelle Costituzioni Apostoliche (VII,47) all'inizio di una "preghiera del mattino", ed ha un sapore subordinazionista[1].

Una forma molto simile si trova nel Codex Alexandrinus (V secolo) e nello Pseudo-Atanasio, de Virginitate (prima del IV secolo), §20[2].

Esteso ulteriormente e senza più tracce di subordinazionismo, viene cantato nel rito bizantina nella preghiera del Orthros (mattutino). In questa forma ha più versi che in latino, e finisce con il Trisagion.

Non viene usato nelle liturgie delle chiese orientali.

La tradizione vuole che fu tradotto in latino da sant'Ilario di Poitiers (morto nel 366). È abbastanza possibile che lo abbia imparato durante il suo esilio in Oriente (360), e che da lì si sia portato una qualche versione dell'inno[3]. In tutti i modi, la versione latina è diversa dalla versione greca attuale. Si corrispondono fin verso il fondo del testo latino, che tuttavia aggiunge Tu solus altissimus e Cum sancto Spiritu. Il greco poi continua: «Ogni giorno ti benedirò e glorificherò il tuo nome per sempre, nei secoli dei secoli», e continua con altri dieci versi, principalmente con espressioni tratte dai salmi, per terminare con il Trisagion e con il Gloria al Padre.

Il liber pontificalis dice che «Telesforo, papa dal 128 a circa il 139, ordinò che il giorno della nascita del Signore si celebrassero Messe di notte e che si recitasse l'inno angelico, cioè il Gloria in excelsis Deo, prima del sacrificio»[4]. Dice anche che «papa Simmaco (298-514) ordinò che l'inno Gloria in excelsis fosse recitato ogni domenica e nelle feste natalizie dei martiri». Il Gloria si recitava al posto dove sta adesso, dopo l'introito e il Kyrie, ma solo da parte del vescovo[5]. Si può notare che il Gloria entra nella liturgia natalizia, che è la festa a cui appartiene in maniera propria, e che solo in un secondo momento si estende alle domeniche e a certe grandi feste, ma solo per i vescovi. L'Ordo romanus I dice che quando il Kyrie è finito, «il pontefice, rivolto verso la gente, comincia il Gloria in excelsis, se è il tempo appropriato» (si tempus fuerit), e nota in maniera speciale che i preti potevano recitarlo solo a Pasqua[6]. L'Ordo di santa Amanda[7] concede loro ciò solo la vigilia di Pasqua e il giorno della loro ordinazione.

Il sacramentario gregoriano[8] e il Liber de exordiis[9] di Walafrid Strabo ribadiscono la stessa cosa. Berno di Costanza la ritiene un torto ancora nel secolo XI[10].

Ma verso la fine dello stesso secolo il Gloria era recitato dai preti così come dai vescovi. Il Micrologus dello stesso Berno di Costanza (1048) ci dice che «in tutte le feste che hanno un ufficio completo, eccetto in Avvento e in Settuagesima, e nella festa dei Santi Innocenti sia il prete che il vescovo recitano il Gloria in excelsis» (c. II).

In seguito divenne, com'è adesso, parte fissa di ogni Messa eccetto nei tempo penitenziali. Veniva recitato anche in Avvento, per lo meno fino a che l'Avvento non cominciò ad essere considerato un tempo penitenziale.

Al tempo di Amalario di Metz (IX secolo)[11] era recitato in Avvento «in qualche posto». Ciò si applicherebbe, naturalmente, alle Messe celebrate dal vescovo, nelle domeniche e nelle feste. Così si esprime anche Onorio di Autun (1145), nel XII secolo[12]. Nella Roma della fine di quel secolo, in avvento si usavano paramenti bianchi e si recitava il Gloria[13]. In seguito, l'Avvento venne gradualmente considerato un tempo di penitenza a imitazione della Quaresima. E quindi il Te Deum e il Gloria furono abbandonati durante gli stessi, e si introdusse l'uso dei paramenti color porpora.


[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

[modifica] Note

  1. ^ Testo in Louis Duchesne, Origines du Culte chretien, 2ª ed., Parigi, 1898, p. 158, n. 1
  2. ^ P.G. XXVIII, 275.
  3. ^ Sostengono questo Giovanni Beleth, Rationale divinorum officiorum, c. 36; Duandus Rationale, IV, 13, che pensa che Ilario si limitò ad aggiungerlo alla Messa a partire dal Laudamus te; nota anche che Innocenzo III lo attribuisce a papa Telesforo, mentre altri a Simmaco.
  4. ^ Ed. Duchesne, I,129.
  5. ^ Ibid., 263.
  6. ^ Ed. C. Atchley, Londra, 1905, pp.130, 148.
  7. ^ Duchesne, "Origines", appendice, p. 460
  8. ^ dicitur Gloria in excelsis Deo, si episcopus fuerit, tantummodo die dominico sive diebus festis; a presbyteris autem minime dicitur nisi solo in Pascha
  9. ^ c.22, in P.L., CXIV, 945
  10. ^ Libellus de quibusdam rebus ad Missae officium pertinentibus, c.2, in P.L., CXLII, 1059
  11. ^ De officiis eccl. libri IV, IV, 30
  12. ^ Gemma animae, III, 1
  13. ^ Ordo Romanus XI, 4

[modifica] Altri progetti

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