Filosofia politica
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La filosofia politica è lo studio delle attività dell'uomo legate a tutto ciò che riguarda gli affari dello Stato. Questa disciplina si occupa, soprattutto, della politica intesa come "l'insieme di mezzi che permettono di ottenere gli effetti voluti": era così per Aristotele, il quale, nel suo trattato (dal titolo Politica) oltre a definire le funzioni dello Stato e le sue forme di governo, formula ipotesi per realizzare il buon governo della città.
Un problema fondamentale affrontato dalla filosofia politica è la differenza tra l'agire politico e l'agire in modo moralmente giusto. L'azione umana riconosciuta moralmente giusta non corrisponde necessariamente ad un'azione politicamente valida; e viceversa. Questo perché il modo di agire della politica si materializza nell'uso del potere, mentre l'azione moralmente valida si realizza facendo riferimento ad un sentire comune che si basa su principi riconosciuti moralmente giusti dalla comunità.
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[modifica] La filosofia politica e suoi maggiori esponenti
[modifica] Platone
Tutta la filosofia di Platone è legata alla riflessione sulla politica. All'interno del suo pensiero è particolarmente importante La Repubblica .
Qui Platone costruisce uno Stato ideale, una città teorica dove vige una giustizia perfetta. Platone costruisce questa città non solo per studiare la migliore città immaginabile, ma anche per scoprire come gli individui dovrebbero vivere al meglio. La città deve avere tre classi sociali: aurea (governanti), argentea (guerrieri), bronzea (lavoratori).
- classe dei lavoratori (popolo, caratteristica la temperanza (sophrosúnê); parte dell'anima: concupiscibile)
- classe dei guardiani (phylakes o guerrieri, caratteristica il coraggio (andreia); parte dell'anima: irascibile)
- classe governativa (filosofi-re, caratteristica saggezza (sophía); parte dell'anima: razionale);
Quest'ultima classe deve essere al potere, in quanto classe di innata sensibilità, di inesauribile curiosità intellettuale; i filosofi vogliono capire e non solo constatare, ma anche far funzionare la convivenza.
[modifica] Plutarco
Plutarco, scrittore e filosofo greco, studiò ad Atene e fu fortemente influenzato dalla filosofia di Platone e dall'idea del filosofo come politico.
Le sue Vite Parallele, pur essendo un'opera biografica, influenzarono le elite per lungo tempo. Esse sono una serie di biografie di uomini celebri, riunite in coppie (un uomo greco ed uno romano), per mostrare vizi o virtù morali comuni ad entrambi. Sono pervenute ventitré coppie di biografie, oltre a quattro biografie spaiate.
[modifica] Niccolò Machiavelli
Niccolò Machiavelli fu il primo a separare la politica (quindi l'agire attraverso il potere) dalla morale (quindi l'agire secondo principi e valori riconosciuti giusti dalla comunità). Secondo Machiavelli la politica era a-morale (cioè priva di morale ma non immorale). Con lui la politica diventa una scienza vera e propria, che non segue più la morale religiosa ma ne ha una propria. Nella sua opera più nota, Il Principe, specifica che chi governa (cioè il Principe) deve fare tutto ciò che è possibile perché i sudditi vivano bene, anche mentire o uccidere. Proprio da questo deriva la famosa massima "il fine giustifica i mezzi". (La frase comunque non è di Machiavelli).
[modifica] Thomas Hobbes
Per approfondire, vedi la voce Leviatano (Hobbes). |
Per Hobbes il potere politico doveva essere concentrato nelle mani di un sovrano assoluto o di un gruppo di uomini, questo perché secondo lui nello stato originario degli uomini (stato di natura) si è perennemente in guerra e non ci si può dedicare ad altre attività.
[modifica] John Locke
Locke invece è contrario al potere assoluto. Ciò deriva quindi da un diverso modo di concepire l'essere umano. Secondo molti, John Locke è stato (inconsapevolmente) l'architetto della moderna concezione di democrazia liberale (fondata cioè sulla priorità della libertà e dei diritti naturali). Le sue idee, espresse nella sua maggiore opera Secondo trattato sul governo civile, hanno esercitato grande influenza sulla formazione della filosofia politica dei padri fondatori delle repubbliche liberali statunitense e francese. Frasi della Dichiarazione di indipendenza e della Costituzione degli Stati Uniti d'America quali <<tutti gli uomini sono creati uguali>> e <<la vita, la libertà, la ricerca della felicità... noi riteniamo queste verità evidenti in se stesse>> sono chiaramente di derivazione lockiana. Chi conosce il pensiero politico di Thomas Hobbes interpreterà meglio Locke, in quanto le sue tesi si oppongono quasi radicalmente all'impianto filosofico hobbesiano, nonostante alcuni punti di convergenza. Intanto, Locke distingue lo stato di natura (o stato pre-politico) dallo stato di guerra; quest'ultimo infatti può manifestarsi anche in società già pienamente strutturate, a differenza del primo. Nello stato pre-politico (che rimane sempre una costruzione filosofica più che un vero e proprio stadio antropologico) gli uomini vivevano senza un corpo di leggi definito, e vivevano in pace, tranquillamente, preoccupandosi esclusivamente della propria sussistenza e del proprio benessere. Così come ipotizza Hobbes, anche nella costruzione lockiana l'uomo nasce libero e uguale agli altri, ma la grande novità è che non possiede più quel connotato, quasi infernale, di homo homini lupus che gli era stato attribuito dal padre del contrattualismo. Ha certamente istinti egoistici ma prova anche compassione e altruismo per il prossimo (sebbene rimangano sentimenti privi di vera e propria moralità). Non ci sono leggi che lo governano, ad eccezione della legge di natura: <<Nessuno deve recar danno agli altri nella vita, nella salute o nei possessi>>, a meno che non sia strettamente necessario alla propria sopravvivenza (e proprio per questo motivo Locke formalizza anche un legittimo diritto all'autodifesa). Tuttavia, sebbene gli uomini vivano pacificamente, è possibile che certi uomini trasgrediscano la legge di natura (la pace non è garantita, così come avviene in Hobbes), ed è qui che nasce la legge civile, ovvero il contratto secondo il quale i diritti individuali vengono garantiti da un'autorità pubblicamente accettata (<<rule of law>>, o stato di diritto). Infatti, nella stato di natura, ogni uomo è giudice di se stesso: la giustizia è dunque soggettiva, il che significa che per alcuni chi ruba deve essere punito col carcere, per altri bisogna tagliare la mano, e così via. Inoltre, nello stato di natura, non tutti possono realizzare la giustizia, e c'è il rischio che chi viene punito si vendichi perché ritiene di aver subito un'ingiustizia: manca un giudice neutrale e obiettivo. Questo concetto è particolarmente importante sulle questioni riguardanti la proprietà, che Locke considera un diritto naturale inviolabile, al pari della libertà. Ma chi decide dove comincia la proprietà? In che momento un uomo può dire "questo è mio"? Nell'impianto filosofico lockiano si distinguono beni naturali e beni artificiali: i primi sono forniti direttamente dalla natura (come la frutta o l'acqua di un fiume), i secondi scaturiscono dall'applicazione del lavoro da parte dell'uomo. Dunque un bene naturale (come una mela) può diventare artificiale dal momento che viene colta, attraverso quindi l'impiego di lavoro umano. In quel preciso istante in cui l'uomo coglie la mela (il <<punto di prima applicazione>>) nasce la proprietà. Con questi presupposti filosofici, Locke mette in relazione (per la prima volta nella storia dell'uomo) lavoro umano e valore dei beni, commisurando quest'ultimo in base alla quantità del primo - tesi che, molto tempo dopo, verrà ripresa e sviluppata dallo stesso Marx nelle sue opere, in chiave del tutto diversa, ovviamente. Per quanto riguarda i limiti del potere sovrano, Locke ritiene, al contrario di Hobbes, che il sovrano stesso sia parte integrante del contratto e quindi non può esser considerato al di sopra della legge; non può violare i diritti naturali di alcun individuo e non si può porre in una condizione assolutista: se ciò avvenisse il contratto decadrebbe e la società piomberebbe di nuovo nello stato di guerra, in cui ognuno è tenuto a giudicare e farsi giustizia da sé. Lo stato di guerra lockiano è, per molti versi, simile allo stato di natura hobbesiano. Inoltre, vi sono una serie di diritti che l'uomo possiede dalla nascita, indipendentemente dalla società, e di conseguenza non possono esser tolti o essere oggetto di limitazione (diritto alla libertà, uguaglianza, proprietà).
[modifica] Jean-Jaques Rousseau
Nel XVIII secolo Rousseau, attraverso l'idea di contratto sociale, afferma la necessità di una struttura politica democratica volta a tutelare al meglio i diritti dei cittadini, realizzando la volontà generale.
[modifica] Edmund Burke
[modifica] Immanuel Kant
Per approfondire, vedi la voce Per la pace perpetua. |
Kant analizza l'uomo e in lui trova una tendenza egoistica, ovverosia una "insocievole socievolezza": gli uomini tendono a unirsi in società, ma con una riluttanza a farlo davvero. Essi si associano per la propria sicurezza e si dissociano per i propri interessi. Ma è proprio questa conflittualità a favorire il progresso e le capacità del genere umano, perché gli uomini lottano per primeggiare sugli altri, come gli alberi: «si costringono reciprocamente a cercare l'uno e l'altro al di sopra di sé, e perciò crescono belli dritti, mentre gli altri, che, in libertà e isolati fra loro, mettono rami a piacere, crescono storpi, storti e tortuosi».
Secondo Kant, il diritto consiste nella «limitazione della libertà di ciascuno alla condizione che essa si accordi con la libertà di ogni altro».
La libertà di ognuno coesiste con la libertà degli altri. Ovviamente l'uomo kantiano non può non avere bisogno di un padrone, ma il padrone non è un altro uomo, bensì il diritto stesso.
[modifica] La libertà e i limiti dello Stato
Kant conosce le tesi di John Locke sul liberalismo ed anch'egli afferma che lo Stato mira a garantire la libertà di ogni persona contro chiunque altro. Lo "Stato repubblicano" che delinea si basa su "Tre principi della ragione":
- La Libertà:
- L'Uguaglianza di tutti di fronte alla legge;
- L'Indipendenza dell'individuo (in quanto cittadino).
Questa visione dello Stato va in conflitto con un qualsiasi dispotismo presente, anche paternalistico. Secondo Kant infatti, «un governo paternalistico è il peggiore dispotismo che si possa immaginare», dato che costringe i sudditi ad attendere che il capo dello Stato giudichi solo mediante la sua bontà.
C'è solo una soluzione a questo problema: «essere liberi per poter esercitare le proprie forze nella libertà».
[modifica] Stuart Mill
[modifica] Karl Marx
[modifica] Filosofia politica oggi
Nell'epoca contemporanea la filosofia politica, oltre ad occuparsi dello studio dello Stato, inteso come il centro del potere politico, analizza e studia tutto ciò che riguarda il pubblico, anche problemi di natura sociale ed economica.
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