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Desiderio (re) - Wikipedia

Desiderio (re)

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Desiderio (noto anche come Daufer, Dauferius, Didier, in francese, e Desiderius, in latino) (... – ...) fu re dei Longobardi e re d'Italia dal 756 al 774.

Indice

[modifica] L'ascesa al trono

Originario di Brescia, fu creato da Astolfo duca di Tuscia. Alla morte di Astolfo aspirò al trono longobardo in opposizione al fratello e predecessore del defunto, Rachis, che aveva abbandonato il monastero di Montecassino dove si era ritirato ed era ritornato a Pavia, occupando il palazzo regio. Rachis raccolse inizialmente vasti consensi nell'Italia settentrionale, mentre tutti gli oppositori del casato friulano di Rachis e Astolfo sostennero Desiderio, che si guadagnò anche l'appoggio di papa Stefano III e del re dei Franchi, Pipino il Breve, grazie alla promessa di rispettare le condizioni di pace accettate da Astolfo dopo la sua sconfitta e di ritirarsi dai territori bizantini occupati da Liutprando (alcune città dell'Esarcato e della Pentapoli). Il papa esercitò pressioni dirette sul "re monaco", che si mostrava esitante ed era ulteriormente indebolito dalla defezione di quanti, tra i suoi sostenitori, temevano un nuovo intervento franco. Nel marzo del 757 Rachis rientrò in monastero, spianando la strada all'incoronazione di Desiderio.

Fin dall'inizio cercò di consolidare il potere del regno, in opposizione ai duchi di Spoleto e di Benevento, e di arginare l'influenza dei Franchi sul papato. I due ducati si appoggiarono allora, per riconquistare la propria autonomia, al papato. Spoleto, da Astolfo amministrata direttamente, nominò un nuovo duca, Alboino, sostenuto dal papa e dai Franchi; a Benevento il nuovo reggente Giovanni si schierò, in nome dell'ancora minorenne duca Liutprando, dalla parte di Stefano e Pipino.

[modifica] Il regno

[modifica] La politica espansionistica

Alla morte di papa Stefano III (aprile 757), Desiderio non mantenne le promesse fatte, sfruttando un momento turbolento nella vita della Chiesa (la successione al soglio del fratello di Stefano, papa Paolo I, fu aspramente constrastata). Non soltanto non consegnò a Roma i territori conquistati da Liutprando, ma nel 758 si assicurò l'appoggio diplomatico dell'Impero bizantino per estendere nuovamente i suoi domini.

Attraverso la Pentapoli penetrò nel Ducato di Spoleto e imprigionò il duca Alboino; poi proseguì verso Benevento, da dove cacciò Liutprando e il reggente Giovanni, insediando come duca il proprio genero Arechi. Nel 759 nominò un nuovo duca di Spoleto, che fino a quell'anno aveva amministrato direttamente (come già Astolfo): Gisulfo. In questo modo ripristinò il controllo regio, gravemente compromesso durante gli ultimi anni del regno di Astolfo, sull'intera Italia longobarda. L'opera di rafforzamento del potere regio di Desiderio culminò, nel 759, con l'associazione al trono del figlio Adelchi.

Anche la rete dei monasteri italiani divenne strumento di dominio. Nel 753 con sua moglie Ansa fondò a Brescia, la sua città natale, il monastero di San Salvatore, dotato di un'eccezionale ricchezza e affidato come badessa alla figlia Anselperga. Alla giurisdizione di San Salvatore sottomise un'intera rete di complessi monastici tra Lombardia, Emilia e Toscana, creando una federazione da lui direttamente controllata.

Gli attriti con la Chiesa furono appianati solo nel 763 grazie ad appositi accordi. Memore del precedente di Astolfo, ritenne di poter evitare nuovi interventi dei Franchi a sostegno del papato attraverso una politica di piccole concessioni al pontefice. Nel 757 consegnò al papa Ferrara, Faenza e alcuni possedimenti nella Pentapoli, ma conservò la maggior parte dei territori a suo tempo promessi a papa Stefano III. In quel momento, tuttavia, Pipino il Breve era costretto da problemi interni al suo regno a non impegnarsi nuovamente in Italia, così papa Paolo I sottoscrisse un accordo che accettava la situazione che si era venuta a creare. A sugello dell'intesa, Desiderio si recò a Roma, pregò sulla Tomba di Pietro e garantì i diritti del papa; Paolo, in cambio, avvertì Pipino che Desiderio era il suo difensore contro gli intrighi dei bizantini.

Desiderio intervenne attivamente negli scontri per la successione di papa Paolo I, morto nel giugno del 767. Dal Ducato di Spoleto inviò un esercito a Roma, guidato dal prete Valdiperto, che il 31 luglio riuscì a far elevare al soglio il cappellano Filippo che tuttavia rinunciò il giorno stesso. Divenne così papa, contro la volontà di Desiderio, Stefano IV, il candidato della curia romana guidata dal primicerio Cristoforo.

[modifica] La politica dinastica

Dopo la morte di Pipino il Breve nel 768 riuscì ad imparentarsi con entrabi i suoi figli, Carlo Magno e Carlomanno, dando loro in spose le sue figlie, rispettivamente Ermengarda (in realtà non conosciamo il nome di questa figlia, ma il libro di Manzoni "Adelchi" le diede questo nome Germanico) e Gerberga. In questo modo riuscì a interferire con la politica interna del regno franco, in crisi per una contrapposizione tra i due fratelli che si sarebbe conclusa soltanto nel 771, con la morte di Carlomanno. Un'altra figlia, Adelgerga, di cui era stato precettore Paolo Diacono, si unì in matrimonio con il duca di Benevento, Arechi II, e infine un'altra figlia, Liutperga, sposò Tassilone, duca di Baviera.

Questa politica di alleanze matrimoniali, destinata a fallire, trovava fin dall'inizio l'opposizione del papa Stefano IV, che si opponeva al matrimonio della cosi' detta "Ermengarda" con Carlo Magno. Il primo duro colpo alla sua politica di alleanze dinastiche fu sferrato dalla morte di Carlomanno, la cui vedova Gerberga tornò presso il padre a Pavia. Desiderio riconobbe i figli di Gerberga come legittimi eredi.

Nel 771 Desiderio attaccò i territori della Chiesa e invase la Pentapoli, perché il papato si era rifiutato di incoronare i nipoti, figli di Gerberga. Accampatosi nei pressi di San Pietro, appoggiò il partito longobardo capeggiato da Paolo Afiarta, e condannò a morte il capo del partito opposto, il primicerio Cristoforo, pare con la tacita approvazione di papa Stefano IV che si era visto abbandonato dal suo antico sostenitore. Grazie anche alle divisioni interne del regno dei Franchi, Desiderio riuscì così ad assurgere a un ruolo di primo piano nella politica europea del tempo ma, in reazione alla sua politica aggressiva di Desiderio, Carlo Magno, rimasto unico re dei Franchi, ripudiò Ermengarda; e questo fu il colpo definitivo che mandò a monte la sua politica di alleanze dinastiche.

[modifica] La guerra contro i Franchi

Nel gennaio del 772 morì papa Stefano IV, cui succedette Adriano I, che si sbarazzò del capo del partito filo-longobardo, Paolo Afiarta, e appoggiò quello di Cristoforo, cui doveva la sua elezione. Desiderio colse il pericolo di una nuova alleanza tra il papa e i Franchi e tentò di sventarla per via diplomatica. Adriano rimase però irremovibile nella sua richiesta di completa esecuzione degli accordi precedenti, con la cessione al papato di tutti i territori che reclamava; Desiderio passò quindi all'offensiva, tornando a invadere l'Esarcato, riconquistando Faenza, Ferrara e Comacchio e minacciando Ravenna. La pressione militare mirava a convincere il papa a conferire l'unzione regale ai figli di Carlomanno, che avrebbe spezzato il legame tra Adriano e Carlo Magno e creato disordini nel regno franco. Adriano non solo non si piegò, ma procedette all'eliminazione dei capi del partito longobardo a Roma.

Alla fine del 772, Desiderio intensificò la pressione militare occupando Senigallia, Jesi e Gubbio, entrando nel Ducato romano e minacciando la stessa Roma. Adriano scomunicò il re longobardo e chiese l'aiuto di Carlo Magno. Il re franco era all'epoca impegnato nelle guerre contro i Sassoni, ma si risolse comunque a rispondere all'appello perché non poteva permettere che fosse appannato il suo prestigio come protettore del papato. Nella primavera del 773 Carlo radunò il proprio esercito presso Ginevra e lo ripartì in due tronconi: uno avrebbe disceso la Valle d'Aosta, difesa da Adelchi, l'altro, condotto dallo stesso Carlo, avrebbe seguito la tradizionale via attraverso il Moncenisio. Là, alle chiuse presso Susa, Desiderio riuscì a frenare i Franchi, ma il fronte presidiato da Adelchi cedette sotto l'urto dell'esercito guidato dallo zio di Carlo, Bernardo.

Colte dal panico, le schiere longobarde si ritirarono disordinatamente in Val Padana. Adelchi con i figli di Carlomanno si rinserrò a Verona, Desiderio e la moglie si chiusero invece nella capitale, Pavia, mentre i contingenti provenienti dai vari ducati fecero ritorno alle proprie sedi. I Longobardi non erano stati compatti nell'opporsi all'attacco franco; già prima della battaglia diversi non avevano appoggiato Desiderio, alcuni spingendosi fino al tradimento e alla fuga nel regno franco, e dopo la sconfitta del re le spinte centrifughe si intensificarono. I notabili spoletini scesero a Roma, si fecero rasare secondo l'uso romano e chiesero al papa Adriano I la nomina di un nuovo duca; il pontefice scelse Ildebrando, che riprese il controllo del Ducato e lo consegnò a san Pietro. Analogamente, si sottomisero a Roma anche i Longobardi di Fermo, Osimo e Ancona.

Carlo Magno continuò la sua campagna in Italia, conquistando altre città e riuscendo a far prigionieri i figli di Carlomanno, ma Pavia continuava a resistere. Soltanto all'inizio del 774 la città, stremata, cadde. Desiderio fu mandato assieme alla moglie Ansa in Francia, in un monastero, a Liegi o forse a Corbie; Adelchi riparò a Bisanzio, mentre Carlo Magno si proclamò rex Francorum et Langobardorum.

[modifica] Desiderio in letteratura

Desiderio appare nei romanzi del Ciclo carolingio, personaggio delle canzoni che narrano le imprese del re franco nella campagna contro i Longobardi.

Appare come personaggio anche nella tragedia Adelchi di Alessandro Manzoni; in essa il re viene caratterizzato da ardore vendicativo, in contrapposizione con la superiore sensibilità del figlio Adelchi.


Predecessore: Re dei Longobardi Successore:
Astolfo 756 - 774 Carlo Magno I
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Astolfo {{{data}}} Carlo Magno
Predecessore: Re d'Italia Successore:
Astolfo 756 - 774 Carlo Magno I
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Astolfo {{{data}}} Carlo Magno

Discendenti diretti di Re Poto, figlio di Re Adelchi sono i principi Puoti di Castelpoto, da cui anche il marchese Basilio Puoti noto purista.

[modifica] Bibliografia


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